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“Cerchiamo la forma che nasce dalle nostre esperienze invece che dagli schemi imposti”

[nemus_slider id=”55264″] “Tappeto verde che cambia con i semi trasportati dal vento”; “Verde in casa: non c’è bisogno di giardini e parchi urbani, basta coltivare piante e pianticelle o arbusti nelle nostre case”; “Con i semi trasportati dal vento piccole...

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“Tappeto verde che cambia con i semi trasportati dal vento”; “Verde in casa: non c’è bisogno di giardini e parchi urbani, basta coltivare piante e pianticelle o arbusti nelle nostre case”; “Con i semi trasportati dal vento piccole e grandi fioriere potranno accogliere le specie volatili”; “Mischiare arredo domestico e urbano”; “Attrezzature per la collettività”; “Cerchiamo la forma che nasce dalle nostre esperienze invece che dagli schemi imposti”; “I tubi di scarico delle acque piovane di Parigi sono un’energia informativa distribuita uniformemente sul territorio”; “L’architettura monumentale è l’estetizzazione delle regole repressive. L’estetizzazione di una società invece della sua realizzazione”; “Gli ambienti sono invisibili!”; “Milano storica: ciò che conta è quello che riusciamo a fare alle sue spalle”. Queste sono alcune delle frasi che si possono leggere sulle opere di Ugo La Pietra esposte al MA*GA di Gallarate, che vanno a configurare il percorso espositivo a lui dedicato, intitolato Abitare è essere ovunque a casa propria. Opere e ricerche nell’ambiente urbano 1962-2016, che sarà allestito fino al 18 settembre 2016. Come si nota leggendo solo questo nucleo di frasi estrapolate, l’aspetto a cui si dà maggior rilievo in quest’occasione è quello, tra gli altri da La Pietra affrontati, dedicato alla relazione dell’uomo con l’ambiente e con lo spazio, sia esso cittadino, naturale, domestico. Attraverso un gran numero di opere, realizzate a partire dal 1962 sino ad oggi, si cerca di dare degna voce ad una ricerca artistica che travalica i territori rigorosamente appartenenti al circolo dell’arte in sé, per scontrarsi con tematiche sociali, politiche, ambientali e con i linguaggi del cinema, della letteratura, delle riviste. Per fare questo, La pietra si è fatto architetto, designer, fotografo, cineasta, musicista, poeta… cercando, sempre, di scappare a gambe levate da ogni qualsivoglia classificazione, categorizzazione, “etichettazione”, per far sì che il suo linguaggio e la sua semantica fossero sempre propulsivi, di ricerca, scardinatori, senza fermarsi ad un risultato certo ed assodato, oltre al quale esiste solo la riflessione su sé, sul già fatto, su uno stile riconoscibile: “Lo stile di La Pietra”, come suggerisce la direttrice del museo Emma Zanella, “è scappato via da se stesso e ha continuato sempre, incessantemente a scappare, provando modi sempre più liberi di fare arte, anche e soprattutto controcorrente e in modo irriverente”. O ancora: “Quando un posto inizia ad assomigliarti, lascialo. E così Ugo ha fatto. Per ritrovare, alla fine, nella fuga e attraverso la fuga, sempre se stesso”.

Le parole del curatore della mostra, Marco Meneguzzo, la dicono lunga sulla pratica di La Pietra: “un’assoluta consapevolezza negli intenti, una capacità di previsione fuori dal comune e, soprattutto, la creazione di un codice linguistico capace di sopportare le trasformazioni storiche e al contempo di interpretarle”.

Ugo La Pietra ha sempre cercato di scandagliare lo sguardo dell’uomo che guarda l’ambiente che lo circonda e, sembrerebbe, lo sguardo di questo stesso ambiente che guarda l’uomo. Insomma, vicendevolmente si influenza e si è influenzati, si è soggetto ed oggetto di una visione. Ma quale sarebbe questa visione? Di chi? Da che punto di vista? Nessuna risposta, ma un’opera emblematica, rivelatoria “di tutto il mio lavoro di ricerca sull’ambiente urbano” (ULP): Il commutatore (1967/70). E’ uno strumento costituito da due assi di legno rettangolari di circa due metri d’altezza unite per un’estremità corta: si viene a creare una sorta di triangolo, sui cui lati sdraiarsi, facendo di quest’azione un’opportunità di mutamento del punto di vista del mondo, ma anche del nostro stare su questo mondo: non c’è una sola possibilità di sguardo e di esistenza. Attrezzature urbane per la collettività (1978), invece, sono degli oggetti domestici di quasi “design alternativo” costituiti mediante l’utilizzo di quegli elementi stradali usati come ostacoli o vincoli, che ricordano a La Pietra una sorta di “violenza della città”. Col mutamento semantico di questi stessi, trasformati in tavolini (i panettoni spartitraffico), box per bambini (le staccionate), lampade (i paletti), divani (le panchine), si elimina la linea divisoria tra spazio privato e collettivo, o meglio si mescidano questi due aspetti. Ben lo rappresenta l’installazione Interno / esterno (1977-1980), in cui “un pezzo di strada entra nella casa e un pezzo di casa nella strada” (ULP): si tratta, in effetti, di una parete ricoperta di carta da parati floreali con una porta bianca, che, una volta aperta, dà su una fotografia che riproduce a grandezza naturale, come se davvero ce la trovassimo davanti, una strada, in questo caso via XX Settembre di Gallarate.

La città è protagonista anche in L’immagine della città (1979), un insieme di fotografie di varie vetrine di negozi e spazi cittadini, perché “La nostra vita urbana scorre a livello del marciapiede e la nostra percezione è quasi totalmente assorbita dalle merci esposte nelle vetrine arredate illuminate” (ULP); ne L’informazione alternativa (1977), in cui La Pietra fotografa i diversi “messaggi spontanei” collocati sui pluviali parigini negli anni Settanta, quando “la mia generazione ha cercato in tutti i modi di superare ciò che veniva indicato come ‘l’informazione imposta dal sistema’, utilizzando i mezzi alternativi, anche i più poveri”; in Processo di sostituzione (1975), documentando i le diverse fasi di trasformazione del quartiere Navigli di Milano; ne Il monumentalismo (1974), dove riflette come “Oggi sempre di più l’architetto è impegnato a realizzare monumenti a se stesso o alla celebrazione dell’estetica della società invece che la realizzazione di uno spazio in cui la società possa esprimersi”. Per proseguire con le varie riviste (In, Inpiù, Brera flash, Fascicolo), spazi di confronto e dibattito su varie sfere del fare artistico o vere e proprie dichiarazioni artistiche; i film, come La riappropriazione della città (1976), in cui La Pietra indaga modi per interagire con la città facendo di essa un ambiente proto-domestico (appare lui che si fa la barba specchiandosi nelle vetrine, …)…fino a Il verde risolve (2014/15), una riflessione sull’importanza del verde nell’ambiente cittadino e sull’esautorazione dello stesso, sulla possibilità di reinserlirlo con gli orti urbani.

La mostra ha anche una dislocazione presso l’Areoporto di Milano Malpensa, dove è stato allestito Interno / esterno, oltre venti opere pittoriche esposte nelle Sale vip del Terminal 1.

Di seguito gli interventi del curatore e dell’artista, presenti alla conferenza stampa di presentazione.

Marco Meneguzzo

Ho appena trascorso 18 giorni in Cina e le mostre che ho visto lì sono penose rispetto a questa mostra. Soprattutto per i contenuti, che sono sempre il problema. Questa è una mostra esauriente sull’attività di Ugo La Pietra. Si esce non con l’idea di aver conosciuto una persona, l’artista, ma di aver capito qualcosa di più sull’abitare, che è l’Essere ovunque in casa propria. E’ una ricerca sull’umano. Abitare e vivere sono la stessa cosa, soprattutto se si considera l’abitare come l’essere ovunque. Gli artisti giocano sulla consapevolezza del proprio fare. Lui ha la consapevolezza di vivere in un luogo, che è un posto in cui ci sono delle relazioni tra l’osservatore e tutto quello che sta intorno. Essere coscienti di come si vive è una cosa importantissima. Le opere di Ugo appartengono ali anni Settanta, ma li travalicano, perché non sono opere ideologiche, ma sentimentali: il sentimento che si prova nei confronti della propri quotidianità.

Ugo La Pietra

Non si tratta di una mostra antologica, ma solo di una ricerca sull’ambiente urbano. Gli artisti hanno un loro proprio linguaggio, che migliorano, sviluppano, … nella loro volta. Anche contraddicendosi e questo si vede in questa mostra. Negli anni Sessanta noi artisti ci chiamavamo “operatori culturali”, per il sociale: lavoravamo anche per gli altri, o soprattutto per gli altri. Questo ha fatto sì che la mia ricerca non crescesse in me, per me, dentro me, ma per gli altri, con gli altri. Lo si vede in alcune riviste che facevo nel periodo, in alcuni filmati. La seconda cosa che si capisce nella mostra è che la mia attività è stata fatta guardando in modo particolare la città, gli individui, … la città non è fatta da case ed architetture, ma dalle persone e ho voluto comportarmi da sociologo, antropologo, traendo suggestioni e atteggiamenti di analisi del luogo, di non adesione, di critica, di decodificazione non ho fatto altro che avere un ruolo più da intellettuale che da artista. Da tale non ho privilegiato che uno strumento… riscoprire il valore del verde. Che spesso è fatto solo per coprire i difetti o occultare le negatività, ma il verde fino al 1700 era il luogo in c’erano i valori più alti, la concettualità (labirinto).

Il Commutatore,   1970
Il Commutatore, 1970
Interno / Esterno. Un pezzo di strada nella casa,   un pezzo di casa nella strada,   Triennale di Milano,   1979
Interno / Esterno. Un pezzo di strada nella casa, un pezzo di casa nella strada, Triennale di Milano, 1979
Il monumentalismo,   tecnica mista,   80x80 cm,   1972
Il monumentalismo, tecnica mista, 80×80 cm, 1972
CAMONI_ATP-DIARY_250x500