Come in un viaggio ad alta velocità, c’è un tempo per l’azione e c’è un tempo per il ricordo. Sono attimi frammentati, elementi sconnessi, tra loro non logicamente e storicamente consequenziali, eppure armonici, ilari, intrisi d’un realismo un po’ fanciullesco e un po’ pressapochista.
Come suggerisce il titolo della mostra, quel che accade è un’immersione in una galleria adibita quasi a vera e propria trattoria (con il suo programma di cene serali con spaghetti al pomodoro e vino rosso). Un luogo nato per accogliere, una mostra per la convivialità.
Il pensiero, seppur divertito, si fa discreto, non gridato. Le opere sono sette, il rapporto con lo spazio è ben ponderato, ricco di pause. Neon e idropittura, tavolini-fumetto, bottiglie di vetro e polistirolo stuccato. Gli interventi sono bilanciatissimi, delicati, eppure tutto si fa ambiente, e moltiplica il suo potenziale espressivo in un gioco di rimandi tra materiali, e significati.
Da Arrivada, le cosmogonie di Claudio Corfone sono tutte frutto di incontro, un vissuto personale rimodellato e riconfigurato in un paesaggio immaginario. Eppure parla di noi, eppure ci ricorda qualcosa. Dai riferimenti agli acquedotti romani, riletti attraverso una depurazione della forma e una giustapposizione di materiali, agli affreschi sgrammaticati e decorativi di una catacomba che si rinnova nell’attualità, fino ad arrivare alle vetrate delle antiche cattedrali, che finiscono per diventare un autoritratto dell’artista.
Una centrifuga visiva, emozionale e biografica che ho deciso di commentare attraverso alcuni estratti del testo critico da me scritto per Dipinto in Italia, mostra personale dell’artista curata da Matilde Galletti nella città di Jesi, a Palazzo Santoni. Segue il testo –
Avete presente un imbuto? Per parlare delle opere di Claudio Corfone vorrei ricorrere proprio a quest’immagine. Potrà sembrare inusuale, non lo metto in dubbio, eppure questo oggetto, e la sua funzione, rappresentano in modo calzante la sua azione poetica: un’osservazione del reale tradotta per deduzione ed elaborata attraverso l’immaginazione.
Percorrendo “Dipinto in Italia” si potrebbe pensare ad un itinerario attraverso il Bel Paese, e quindi ad un viaggio che ci accomuna e parla di noi tutti, della nostra Estate Italiana; e questo, le opere presentate – così come i loro toli, distillati di mondi tra gioco e curiosità – lo comunicano in maniera intuitiva, con uno stile asciutto e pulito.
Pensando alla pratica di Corfone non a caso parlo di deduzione, intendendola in termini aristotelici come un vero e proprio metodo: partendo da due affermazioni generali, l’artista giunge a una conclusione particolare, personale e immaginata, che entra a far parte del suo universo simbolico e semantico.
Negli stessi termini, ma con esempi propri della nostra quotidianità, si può parlare del funzionamento di un imbuto, di uno strumento il cui processo consiste nel facilitare il travasamento da un contenitore ad un altro di una sostanza liquida; allo stesso modo, l’artista “traduce”, da un contesto all’altro un momento, una percezione o un oggetto. Si tratta di elementi sfuggenti, destinati ad essere dimenticati e a riaffiorare solo come memorie involontarie e inaspettate.
Queste opere riportano in vita sensazioni e ricordi, ci parlano della necessità di trasformare tutto ciò in azione creativa, facendo emergere una possibilità poetica nascosta, presente solo in potenza – per coerenza, continuo ad usare categorie aristoteliche.
Fermare l’istante, dare valore e potenziale a ciò che per convenzione non ne ha, esprimere prospettive ribaltate sondando la convenzione della cultura popolare, dove ‘popolare’ non ha un’accezione nega va ma al contrario sublimatoria: si parla della realtà di tutti, quotidiana.
Attraverso queste considerazioni il contenitore in cui l’artista tramuta la realtà, e i linguaggi con cui comunica, sono state setacciate; gli oggetti sono diventa simboli, i paesaggi si sono trasformati in forme minimali, un po’ ironiche e un po’ concettuali. L’imbuto si è rovesciato, e ora l’oscillazione tra i due mondi comincia ad orientarsi in senso contrario: è lo spirito fanciullesco di noi osservatori che riemerge davanti alle opere, che diventano quasi un fermo immagine di racconto più ampio. Percepiamo il rumore dell’accartocciarsi della scultura Carta roccia, davanti ad Aghi di pino sentiamo il loro odore e la brezza di mare che deriva dal paesaggio circostante. Quasi fossero un DNA culturale che attraversa lo Stivale, questi lavori ci dicono qualcosa, qualcosa che non è nient’altro da noi stessi.
Immagino l’artista mentre passeggia a piedi per i sen eri dei suoi amati Appennini, o mentre intraprende un viaggio in auto. Lo immagino aggirarsi per il centro Italia, magari proprio girovagando in un paesino come Jesi, e mi viene in mente l’uomo di latta in “Il Meraviglioso Mago di Oz”, il romanzo di Frank Baum; questo personaggio come copricapo indossa un imbuto rovesciato. Anche lui intraprende un viaggio, un viaggio alla ricerca del cuore.
Trattogalleria – Claudio Corfone
A cura di Samuele Menin
Testo di Rossella Farinotti
Arrivada
Fino al 10 febbraio 2020