La galleria Thomas Brambilla è un ampio spazio in cui domina il bianco: questa ampiezza e luminosità fanno risaltare maggiormente la concentrazione di opere a parete, un nucleo di 49 lavori affiancati uno all’altro, una chiazza di colore appesa. Thomas Brambilla, direttore, spiega che l’allestimento è un rimando ai “muri di Boetti”, di cui in mostra è presente un multiplo, e alla forza ludica delle composizioni di questo grande artista.
Il titolo, To bid or not to bid, è una citazione di un famoso testo sul bridge scritto da Larry Cohen e della teoria della presa totale, stando alla quale, in estrema sintesi, nel gioco vince chi rischia di più. Senza voler essere polemica, ma piuttosto ponendosi come uno spunto di riflessione, la mostra suppone un parallelismo con il mondo dell’arte e, più nello specifico, con i giochi delle aste, che mai come in questo periodo hanno influenzato gli andamenti del mercato, destabilizzando gallerie, artisti e collezionisti e imponendo al sistema cifre da capogiro e manovre assimilabili alla finanza piuttosto che al mondo dell’arte.
“Il mondo delle case d’asta è una realtà con cui ti devi confrontare, e la galleria deve conoscerne tutti i meccanismi che ci stanno dietro, perché se no non sopravvive. La mostra è organizzata come una sorta di critica velata a questo scontro con le aste, che viene il più delle volte tacitato. Credo sia una situazione che va analizzata e di cui vanno osservati alcuni punti cardine, tra cui quale è il ruolo dei collezionisti”
“To bid or not to bid” diventa quindi una sorta di appello a ricominciare a considerare la galleria il posto in cui fare acquisti, senza andare necessariamente alla ricerca dell’affare. In asta troviamo dei prodotti, diversi di volta in volta, immessi nel circuito ignorando l’artista e la sua ricerca, se non in funzione del loro valore economico.
La galleria è (o meglio, dovrebbe essere) un sede di confronto con gli artisti, con i quali convive professionalmente realizzando delle scelte, in funzione in primis della ricerca e in secundis dei movimenti di mercato. Il collezionista ideale, in senso utopistico, è colui che acquista per il puro piacere di possedere qualcosa di inutile, così come è l’arte, un oggetto superfluo dal punto di vista pratico di cui sceglie di attorniarsi per la sua carica estetico-simbolica: la maggior parte delle volte invece si compera con l’ambizione di fare un affare, e ci si risente se il ranking del giovane artista non aumenta con il passare degli anni.
“Se il ruolo che si prefiggono i collezionisti è quello da predatori di borsa, hanno sbagliato posto, perché nell’arte non c’è niente da predare: non siamo qui a fare un lavoro in cui c’è una finalità, l’economia serve a tutti per vivere, però se uno vuole fare degli investimenti, l’arte non è il posto giusto. L’arte non è esclusivamente finanza”
L’arte da che mondo è mondo è stata oggetto di compravendita e mercificazione, ed ovviamente l’economia di settore è necessaria, ma questo non sarebbe dovuto diventare, così come è avvenuto, l’aspetto preponderante. Il valore degli artisti varia in base a dove hanno fatto le mostre e a chi le ha curate, tant’è che la prima cosa che si valuta è sempre il curriculum dell’artista, prima ancora di averne osservato il lavoro, che pare diventato una componente anziché l’epicentro: questo atteggiamento ha paradossalmente determinato l’esclusione di alcuni grandi artisti dal panorama museale.
Il valore della galleria, anziché dalla qualità degli artisti che rappresenta, è basato sulla tipologie di fiere cui partecipa – fiere che spesso danno un prestigio d’immagine, ma non economico: capita così che “piccole” gallerie aderiscano alle agende fieristiche e rimangano stritolate dal sistema, perché non hanno in scuderia artisti la cui vendita delle opere giustifichino la partecipazioni e certi eventi, indiscutibilmente onerosi.
La fiera dovrebbe esser fatta al fine di conoscere collezionisti e di portarli poi nella sede della galleria, mentre invece la presenza alle tre giornate della kermesse sembra divenuto l’appuntamento principale.
“Lo scopo della fiera per me è squisitamente commerciale. Questa storia delle fiere che devono diventare posti museali è surreale, segno di devianza. La mostra è l’unico posto dove si esprime la cultura. Lì facciamo attività puramente commerciale”
I giochi tra galleria – artista – collezionista dovrebbero essere mossi da fini culturali, non speculativi, ma forse sarebbe sufficiente esistessero entrambe le polarità. “To bid or not to bid” ha un sottotitolo, ‘contemporary curated’: è il nome che viene dato alla sezione di Arte Contemporanea durante l’asta di Sotheby’s.
“mi ha sempre divertito perché lo trovo ridicolo, perché l’asta non è curated, ha dei lavori da vendere”
Nell’accumulo di lavori esposti, troviamo nomi del calibro di Lynda Benglis, Simon Linke, David Novros, Thomas Demand, Fischli/Weiss, Naoto Kawahara, Klaus Rinke accostati ai giovani della galleria, come Edoardo Piermattei ed Erik Saglia, tutti con opere di piccolo formato.
La strategia di avvicinare giovani italiani ad artisti storicizzati come Benglis e Rinke è un’attività che caratterizza la galleria, ed in parte una sfida: l’accostamento può nobilitare i giovani artisti, ma contestualmente li sprona anche a far sempre del loro meglio, per non soccombere al confronto con le opere degli storici.
La scelta dei grandi ricade sempre su nomi consolidati, ma periferici, che rinverdiscono nel dialogo con le nuove generazioni.
“Inserire nella scuderia della galleria artisti storici è un’operazione di ricerca: sono nomi noti, ma non hanno un mercato consolidato, sono laterali. Lynda Benglis forse sta avendo dei riconoscimenti importanti adesso, ma non è Louise Bourgeois. Anche quando ho iniziato con Ron Gorchov, era un artista in una posizione di stallo. Portare qui David Novros è una scelta culturale, in Europa sono pochissimi a conoscerlo. Al contrario, ho selezionato con fatica gli artisti giovani per via di un problema di fondo, ovvero che la preparazione è latitante. Come fai a lavorare nella storia dell’arte se sei ignaro di quello che è stato fatto prima?
Mettere un’opera di un giovane a fianco di quelle di artisti di questo peso significa che li stai mettendo a nudo, li stai esponendo ad un rischio”
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To bid or not to bid – contemporary curated | Galleria Thomas Brambilla
16/12/2017 – 10/02/2018
Phillip Allen, William Anastasi, Lynda Benglis, Thomas Bernstein, Charlie Billingham, Alain Biltereyst, Alighiero Boetti, Greg Bogin, Joe Bradley, Marco Cingolani, Thomas Demand, Peter Fischli/David Weiss, Oscar Giaconia, Ron Gorchov, Thomas Helbig, Raffi Kalenderian, Naoto Kawahara, Tomasz Kowalski, Simon Linke, Simon Morley, Mario Nigro, David Novros, Anatoly Osmolovsky, Angel Otero, Gabriele Picco, Edoardo Piermattei, Lisa Ponti/Giulia Currà, Mary Ramsden, Joe Reihsen, Klaus Rinke, Erik Saglia, Josh Smith, Gert e Uwe Tobias.