La mostra Things/Thoughts. Oggetti e concetti dalla collezione Antonio Dalle Nogare è un riallestimento di una parte della collezione dell’omonimo fondatore e collezionista.
Il progetto espositivo di Eva Brioschi, curatrice della collezione, cerca di raffigurare e veicolare “concetti e forme” dell’arte dal concettuale degli anni Sessanta e Settanta fino alla contemporaneità.
La mostra, divisa in due diverse sezioni, una più storica e una legata alle produzioni più attuali (dagli anni Ottanta in poi), offre la possibilità di mettersi a confronto, in uno spazio architettonico molto suggestivo e assolutamente contemplativo, con opere che smuovono il pensiero e una forma di “meraviglia dell’ordinario”.
Si tratta di lavori che mostrano una pratica artistica che, di volta in volta, può essere riflessione filosofica sull’esistenza e sulla sua dimensione temporale o domanda sullo statuto dell’opera d’arte e il suo valore oppure, ancora, residuo di una progettualità e di un’azione incentrata sui materiali della natura e sugli scarti industriali.
Il progetto espositivo si pone come punto di ritorno su un amore pensoso e riflessivo che connota la natura stessa della collezione e della Fondazione bolzanina: in mostra, per esempio, si affrontano le ricerche più puramente concettuali e poveriste con Piero Manzoni, Jannis Kounellis, Roman Opalka, Alighero Boetti, Giuseppe Penone (per fare alcuni nomi) e al contempo, si ragiona con i contemporanei di recente acquisizione come Meuser che lavora tra scultura, installazione e pittura, creando un ibrido di materie scartate industriali, affascinante quanto precariamente ricomposto nella forma.
La Fondazione vuole promuovere l’arte contemporanea, intesa come linguaggio per leggere i cambiamenti della società e come strumento di dialogo, di sollecitazione emotiva e intellettuale, con l’obiettivo di avvicinare al contemporaneo un pubblico ampio che non agisca solamente come spettatore ma che si ponga in quanto pensatore di fronte alle questioni che le opere della collezione mettono in campo.
Atpdiary ha avuto l’occasione di visitare la mostra con l’accompagnamento della curatrice di Things/Thoughts, Eva Brioschi.
Di seguito l’intervista —
Valeria Marchi: Le opere presentate in mostra sono tutte legate da un pensiero forte che nasce con la proposta degli artisti concettuali americani dagli anni Sessanta in poi. L’arte deve essere riflessiva, l’arte deve essere aperta, l’arte è veicolo di meraviglia e di concetti tramite la creazione di forme – spesso nate da materiali ordinari, poveri, comuni e industriali: oggetti che sono quasi degli enigmi da interpretare.
Eva, durante la tua visita guidata, hai parlato di “arte come magia che fa parte del dominio dell’immagine simbolica”. Mi piacerebbe che potessi approfondire questa concezione di oggetto artistico come tramite simbolico in relazione alla collezione Dalle Nogare.
Eva Brioschi: Arte e Magia condividono una particolare efficacia simbolica, poiché esse veicolano “segni” che rappresentano altro da sé. Dopo un generale disincanto del mondo – mondo reso sempre più esangue da un mercato aggressivo e imperante – all’arte compete quanto mai la salvaguardia di questa sfera simbolica, di questa sacca di resistenza capace di re-significare la nostra realtà attraverso immagini, esperienze, sollecitazioni sensoriali e riflessive, in grado di aprirci al dominio del perturbante (uncanny).
Il simbolo, storicamente, era un tessera che divisa tra due famiglie alleate ne sanciva l’unione, attraverso il perfetto combaciare di una metà con l’altra. Era quindi un oggetto che serviva a trasmettere un’idea, una comunione, una collaborazione. E gli oggetti che sono alla base di molta arte concettuale, agiscono allo stesso modo: essi sono il tramite di un pensiero e significano quindi molto più di ciò che sono.
VM: Mi colpisce in particolare il tuo discorso sulle differenze e sulle affinità tra gli artisti americani e gli artisti italiani che lavorano nell’ambito concettuale: da una parte, c’è la radicale poeticità dell’Arte Povera, in tutte le sue differenti declinazioni; dall’altra, l’attenzione e la riflessione tautologica sui materiali, sui linguaggi, sugli oggetti e sul display espositivo negli autori americani e nelle ultime acquisizioni della collezione.
Puoi sviluppare queste tematiche parlandoci delle scelte curatoriali che hai operato?
EB: Sinceramente le mie scelte sono state dettate dal “materiale” a disposizione. Questa non è una mostra con un tema da sviluppare o un movimento artistico da indagare e approfondire. Si trattava di ridare organicità agli spazi della collezione, all’interno della fondazione. Conoscevo la maggior parte dei lavori perché ho contribuito alla loro acquisizione più di dieci anni fa, e quindi per me si trattava di tornare in qualche modo a prendermi cura di essi, lì dove li avevo lasciati. Volevo che la mia stima e la cura verso queste opere potesse manifestarsi attraverso un discorso, che facesse emergere il senso delle scelte operate da me e Antonio durante la loro acquisizione. Quindi mi è sembrato naturale tornare alla radice delle nostre motivazioni e semplicemente esporle, sottolineando alcuni concetti fondamentali, espressi dalle forme e dai concetti delle opere stesse.
Mi sono domandata cosa potesse pensare un visitatore a digiuno di teoria del contemporaneo. Cosa potesse domandarsi un giovane avventore non abituato a frequentare mostre di arte contemporanea. E da quelle domande ho imbastito un racconto quanto più filologicamente accurato, attraverso osservazioni, ipotesi e possibili interpretazioni.
VM: A proposito della figura dello spettatore come pensatore, vorrei che indagassi un po’ meglio per noi il principio di intervento che questa relazione prevede. L’arte concettuale è “un’arte che richiede un commento” – tu scrivi – ma anche un contributo. Quali sono le domande sollevate dalle opere della collezione che hai scelto per la mostra? E quali sono i contributi che ritieni di poter dare alla loro lettura?
EB: Le domande che le opere sollevano beh sono infinite, tante quante sono le teste che le possono pensare. Potrei chiederti quali sono le tue. E qui sta proprio il senso di quella partecipazione necessaria al contemporaneo, che è quanto mai un ambito privo di dogmi, di certezze, di “didascalicità”.
Ma forse la parola più pertinente è “senso” (o come dice Antonio quando domanda incuriosito “qual è il concetto espresso da quest’opera?”, ogni volta che si trova davanti a un nuovo lavoro). Un artista non lavora quasi mai per dimostrare una teoria filosofica o per celebrare un’abilità tecnica, ma tutto quello che egli sa, pensa e prova, finisce in qualche modo nel suo lavoro, consciamente o inconsciamente. E questo vale un po’ per tutti noi, in ogni cosa che facciamo. Quello che rende speciale il lavoro dell’artista è la sua gratuità e necessità. L’arte è meravigliosamente inutile. Essa non serve a niente perché non è serva di nessuno. Eppure parla di ogni cosa, sollecita tutti i sensi, fa vibrare corpo, mente e spirito, e non sempre lo fa tenendoci al sicuro, ma anzi scardinando certezze, pregiudizi e stereotipi.
Io cerco umilmente di dare conto di quelle che sono alcune delle cose che penso di avere compreso, che altri teorici mi hanno aiutato a leggere, che altre opere d’arte mi hanno abituata a vedere.
Non ci sono mai risposte definitive, mentre ci sono infinite domande, che forse sono il vero senso del nostro vivere; esse rappresentano la ricerca, la scoperta, la dialettica, la curiosità…e noi dobbiamo alimentarle, tenerle vive e aperte, perché questo viaggio di ricerca di senso non abbia mai fine.
Ciò nonostante, a chiunque venga a visitare la collezione, forniamo un prezioso strumento per cominciare questa “ricerca”; un piccolo livret di sala dove abbiamo inserito informazioni e nozioni che possono fornire un primo elementare alfabeto per imparare a leggere questo linguaggio, perché per fare domande sensate bisogna quanto meno condividere la stessa lingua.
THINGS/THOUGHTS
OGGETTI E CONCETTI DALLA COLLEZIONE ANTONIO DALLE NOGARE
A cura di Eva Brioschi
Fondazionde Antonio delle Nogare, Bolzano