Il Museo Castromediano di Lecce e il Dipartimento Turismo, Economia della Cultura e Valorizzazione del Territorio della Regione Puglia sono capofila del progetto di cooperazione internazionale The Six Seasons of the White Peacock, presentato al museo Castromediano lo scorso 11 marzo. Insieme al museo, promotore di questa iniziativa e luogo di lavorazione, svolge un ruolo fondamentale nell’ambito della ricerca per il progetto il Polo Biblio-Museale di Lecce. The Six Seasons of the White Peacock, curato da Laura Lamonea e finanziato dall’Italian Council con il programma della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, promuove il dialogo tra gli artisti e le comunità creative locali attraverso mostre, workshop, produzioni artistiche e incontri. Il progetto vede la collaborazione di enti culturali appartenenti a quattro Paesi: la Samdani Art Foundation di Dacca (Bangladesh), l’Adrian Paci e Melisa Paci Art House di Scutari (Albania), l’EMST Museo Nazionale di Arte Contemporanea di Atene (Grecia) e il Museo Civico di Castelbuono (Italia).
Tra le opere cardine del progetto, il video a cui l’artista albanese Driant Zeneli (1983, Scutari) sta lavorando tra il Bangladesh e Lecce: la storia d’amore impossibile tra un pavone bianco e una lacrima, narrazione simbolica per esplorare i sentimenti umani. Una volta ultimata, l’opera sarà presentata a Lecce a settembre e successivamente entrerà a far parte della collezione del Museo Civico di Castelbuono (Palermo).
Abbiamo posto alcune domande a Driant Zeneli in merito al progetto.
Leonardo Ostuni: Come e quando è nato il progetto internazionale The Six Seasons of the White Peacock? Da dove nasce l’idea di ambientarlo nell’affascinante Parlamento di Dacca, in Bangladesh?
Driant Zeneli: L’idea iniziale di The Six Seasons of the White Peacock è nata nel corso di una mia visita a Dacca, invitato da Diana Campbell, direttore artistico della Samdani Art Foundation, che aveva visto nel 2022 a Prishtina per Manifesta 14 la mia trilogia The Animals. Once upon a time…in the present time. Si trattava di tre opere video con animali robotici, costruite interagendo e dialogando con le persone, utilizzando come set il corpo dell’architettura brutalista nel Balcani. Diana mi invitò a visitare un capolavoro dell’architettura moderna, la Jatiya Sangsad Bhaban. il palazzo, progettato dall’architetto statunitense Louis Kahn e inaugurato nel 1982, ospita il Parlamento Monocamerale del Bangladesh. All’epoca dell’inizio dei lavori di costruzione il Bangladesh era ancora sotto la dominazione del Pakistan, poi ottenne l’indipendenza nel 1971. Il Palazzo, che copre un’area di 800.000 m², è un simbolo molto importante della cultura bengalese. Diana mi disse: “Secondo me potresti pensare qualcosa su questa opera”. Il giorno dopo, una visione, un’illuminazione: ho sognato un pavone bianco, non sapevo ancora che fosse un animale strettamente connesso all’immaginario asiatico. Lo raccontai a Diana e tutto iniziò così, un po’ per “caso”, un po’ per magia.



LO: Potresti raccontare brevemente il contenuto dell’opera video? Quali saranno le principali tematiche affrontate?
DZ: C’era una volta un pavone bianco che viveva in un regno, accudito dalle sei stagioni. Da loro riceveva continuamente doni e vedeva realizzato tutto quello che lui voleva. Ma era infelice, l’impossibilità di poter volare via lo frustrava e lo portava ad avere dei rancori. Attraverso i suoi 100 occhi sparpagliati tra le sue piume, cercava ogni giorno di capire come fuggire dall’isola, dove per anni aveva vissuto circondato da un fiume. Una sera decise, all’insaputa delle sei stagioni, di andare verso il fiume chiedendogli di aiutarlo a fuggire. Il fiume si rifiutò, così il pavone, furioso, decise di condannarlo bevendo tutta la sua acqua, e poi… vedrete la fine una volta conclusa l’opera. Ero interessato in quel periodo – e tutt’ora – a lavorare sui concetti del potere, dell’amore e della caduta. Sono elementi che si combinano insieme, il momento del “cadere” in amore e il momento del cadere di un potere, perciò per completare la visione c’era un terzo piano da creare, un terzo personaggio, ed ecco la storia di un pavone che si innamora di una goccia d’acqua. Analizzando le tematiche dell’innamoramento, dell’impossibilità, il lavoro si sta trasformando in qualcos’altro grazie alla co-creazione dell’opera con cinque giovani artisti bengalesi: Md. Tasnimul Izaz Bhuiyan, Pulak K. Sarkar, Rafi Nur Hamid, Sondip Roy, Sumaiya Sultana. Vi posso solo dire che la goccia d’acqua adesso si è trasformata in una lacrima.
LO: Che importanza ha per te la favola? Per quale motivo l’hai scelta nell’ambito di questo progetto?
DZ: Penso a Come il mondo vero divenne favola di Nietzsche: attraverso allusioni e immagini l’autore delinea una breve storia della filosofia come storia della verità che si rivela una falsa idea. Essendo cresciuto tra l’utopia e la distopia, la favola è la forma più naturale che mi riesce narrare senza sfuggire al contesto socio politico, che ci coinvolge e ci trasforma tutti. Non faccio altro che creare e co-creare favole come necessità di scappare dalla banalità del male quotidiano. Parto da piccole storie o da racconti immaginari individuali e collettivi: imbattendomi e riflettendo sempre su contesti diversi, si creano storie e favole come nel realismo magico.

LO: Oggi il Bangladesh vive una stagione di cambiamento con il primo ministro e premio Nobel Muhammad Yunus. Nel 2024, però, le proteste per l’elezione al quarto mandato consecutivo di Sheikh Hasina (poi fuggita in India) sono costate numerose uccisioni e arresti. In quale misura queste vicende hanno condizionato o modificato l’idea del tuo progetto?
DZ: Tutto cambia nel 2024: il Bangladesh vive oggi una stagione di profondo cambiamento, una vera e propria rivoluzione che purtroppo i media internazionali non hanno raccontato tanto, concentrati su altre notizie e sulle elezioni americane. Tragico il bilancio della campagna di disobbedienza civile, nata nella scorsa estate per chiedere le dimissioni del primo ministro Sheikh Hasina, eletta per un quarto mandato consecutivo nel gennaio 2024 in un voto boicottato dalle opposizioni. Oltre 300 le persone uccise e circa 10mila le persone arrestate, fra cui importanti esponenti dell’opposizione. Mi chiamano e mi dicono: “Il Parlamento non è più lo stesso”. Ancora oggi non è in funzione, occupato dai militari. Per questo dico che il “caso” spesso cambia le cose, non possiamo prevedere esattamente come saranno. Il corso degli eventi ci cambia, così come la trama di ciò che abbiamo immaginato.
LO: L’opera video, recitata e cantata, avrà anche una sua colonna sonora. Su quali brani si orienteranno le scelte musicali?
DZ: Sono stato sempre affascinato dalla musica barocca, in particolare dalla storia di Farinelli, figura per me enigmatica. Il periodo barocco rappresenta per me la massima esaltazione del potere in Occidente, ma anche la perdita del centro e la nascita dell’inconscio. Con la bellezza del barocco si cerca di rendere il vero falso, nascondendo ciò che l’esercizio del potere realmente produce. Penso a Le Quattro Stagioni di Vivaldi come l’inno dell’Europa, e mi sono detto che sarebbe bello se proprio dall’Europa nascesse un brano dedicato alle sei stagioni del Bangladesh. Proprio su questa idea lavoreremo a Lecce con il Conservatorio di Musica Tito Schipa, in collaborazione con il controtenore Pasquale Auricchio. Stiamo anche disegnando i costumi con una giovane artista bengalese, Sumaiya Sultana, e con una costumista leccese, Lilian Indraccolo.
LO: Preferisci definire The Six Seasons of the White Peacock un viaggio piuttosto che un progetto. Per quale ragione?
DZ: So cosa mi intriga ad iniziare un viaggio ma non so mai come finirà, perciò la parola progetto è limitata al desiderio e alla scoperta dell’imprevisto. Il mio approccio, il mio modo di lavorare è come quello di un bambino che si trova da solo in casa, circondato da oggetti. Nella sua fantasia questi oggetti si trasformano in personaggi: la bottiglia diventa un animale, il tappeto un fiume, il divano una montagna, la matita un altro personaggio e così via.
LO: Il Museo Castromediano di Lecce è l’ente promotore di questa iniziativa e uno dei luoghi di lavorazione dell’opera video. Che cosa ti colpisce di questo museo e in generale della città di Lecce?
DZ: Particolarmente suggestivo e interessante è il collegamento con il Barocco in relazione alla città di Lecce, con la sua straordinaria storia architettonica. Il Museo Castromediano è un fantastico laboratorio di ricerca e scoperta per un artista, grazie alla sua importante collezione. Fondamentale per l’attività di ricerca di questo progetto è stato anche il Polo Biblio-Museale di Lecce.




