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The poetry of translation | Kunst Merano Arte

Secondo lo scrittore francese Èdouard Glissant (1928-2011) l’arte più importante del futuro sarebbe stata l’arte della traduzione. Le sue riflessioni sull’identità antillese lo portarono ad allontanarsi dall’atteggiamento binario dei discorsi della Negritudine e a proporre una terza via, un approccio poetico e identitario opaco, un détour della creolizzazione nascosta. Così diceva: “Ogni traduzione suggerisce attraverso […]

Mirella Bentivoglio, Spara sulla parola 1991 – Kunst Meran Merano Arte, The Poetry of Translation

Secondo lo scrittore francese Èdouard Glissant (1928-2011) l’arte più importante del futuro sarebbe stata l’arte della traduzione. Le sue riflessioni sull’identità antillese lo portarono ad allontanarsi dall’atteggiamento binario dei discorsi della Negritudine e a proporre una terza via, un approccio poetico e identitario opaco, un détour della creolizzazione nascosta. Così diceva: “Ogni traduzione suggerisce attraverso il passaggio stesso che compie da una lingua all’altra, la sovranità di tutte le lingue del mondo. E la traduzione, per questa stessa ragione, è il segno evidente che dobbiamo pensare nel nostro immaginario la totalità di lingue”.

La nuova curatrice di Kunst Merano Arte, Judith Waldmann, ispirata a Glissant, propone negli spazi della Kunsthalle meranese un’operazione curatoriale che riflette la condizione multilingue in Alto Adige, ma che apre anche la verbalità linguistica (tradotta) ad altri sistemi segnici artistici (trasposti).

Si potrebbe pensare che lo statement di questa poetica sia condensato nell’opera The Sum of Its Parts (2012), disco in vinile su cui Katja Aufleger ha impresso i cinque continenti, producendo una musica composta dalla morfologia della Terra. O nel lampadario di Cerith Wyn Evans che traduce unità di codice morse in impulsi visivi. Ma condizionare le future visite alla mostra attraverso una scelta monodirezionale tradirebbe l’intenzione espansiva del progetto.

In Disputed Utterance (2019) di Lawrence Abu Hamdan la traduzione è il punto focale di processi legali in cui un errore di pronuncia o una mala comprensione hanno generato delle morti, dei tendenziosi. Di Slavs and Tatars è presente Alphabet Abdal, un tappeto su cui campeggia una scritta in arabo traducibile pressappoco con Gesù, figlio di Maria, è amore (2018). Non era forse il cristianesimo strettamente connesso con l’alfabeto arabo?

Di fronte a quest’opera è installato un video di Christine Sun Kim e suo marito Thomas Mader, Classified Digits (2016), che è una sorta di gioco in cui i due pensando a situazioni sociali specifiche e le traducono in un linguaggio di segni inventato da loro.

The Poetry of Translation curated by Judith Waldmann Foto Ivo Corrà
The Poetry of Translation curated by Judith Waldmann Foto Ivo Corrà

La mostra, che propone opere di oltre trenta artistə è accompagnata da due excursus storici, che ne costituiscono il nucleo centrale da cui la scelta delle opere si espande. La traduzione intesa come processo generativo apre uno spaccato sule lingue artificiali, in particolare esperanto e isotype. L’esperanto fu sviluppato nel 1887 dall’oculista polacco Ludwik Lejzer Lamenhof come lingua “neutra”, un possibile strumento per la pace mondiale. È la lingua artificiale più nota, ed è basata sulle famiglie linguistiche romanza, slava e indogermanica. La sua utopia è nella spinta antinazionale che la accomuna alle diverse lingue artificiali. Isotype, invece, è un sistema di pittogrammi progettato dall’austriaco Otto Neurath nel 1925 per comunicare informazioni, soprattutto di tipo quantitativo e con obiettivi sociali, in modo semplice e visuale, senza l’uso del linguaggio verbale. Le ricerche su questi due linguaggi sono presentate insieme a un’opera di Mirella Bentivoglio, La Profezia (da Babele a Ground Zero) (2001-2002) stampa fotomeccanica su carta – che richiama il libro della Genesi, capitolo 11, 9: “…la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse le lingue di tutta la terra e di là il signore li disperse su tutta la terra” – e a un disegno a gesso rosso di Johann Georg Hettinger, Pfingstein (1712), rappresentante la Pentecoste. Questa inclusione “teologica” riprende gli Atti 2, 2-4: “2 Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. 3 Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, 4 e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi”.

Una prospettiva storica è inoltre dedicata alla poesia visiva degli anni ’60 e ’70, riproponendo la ricerca curatoriale e artistica di Mirella Bentivoglio (1922-2017), in particolare Materializzazione del linguaggio, presentata nel 1978 alla Biennale di Venezia. Tale mostra consisteva in un’indagine sul rapporto tra donna e linguaggio, oltre i documenti fondati sul solo codice linguistico, verso “sperimentazioni d’innesto che mirano a un’espressione non condizionata”. Tra le «operazioni poetiche» qui ripresentate vi sono i primi gesti desemantizzati espressi da Ketty La Rocca in Appendice per una supplica (1972), alcuni Radical Writings (primi ’80- primi ’90) di Irma Blank – in cui l’artista riduce la scrittura a puro segno astratto –, le rivisitazioni delle lettere alfabetiche attraverso gli atteggiamenti del corpo di Tomaso Binga, Libro-nido (1980) di Elisabetta Gut e Andante – Adagio (1982) di Anna Esposito.

Anri Sala_Answer Me_2008_Kunst Meran Merano Arte_The Poetry of Translation
Anri Sala, Answer Me, 2008 – Kunst Meran Merano Arte, The Poetry of Translation
The Poetry of Translation curated by Judith Waldmann Foto Ivo Corrà

Sono installate in questa sezione anche altre opere non incluse nella Biennale del ’78, ma che presentano un’uscita dagli schemi delle avanguardie acquisite per incedere nella zona di frontiera fra codice linguistico e altri codici: sono Poema (1980-1990) di Lenora de Barros – in cui il muscolo della lingua interagisce con lo strumento di scrittura automatica più popolare del tempo, la macchina da scrivere – Belvedere 373 (1963) di Carla Accardi, la cui cromia pare distorcere una riconoscibilità alfabetica, e J’accuse (1982) di Marilla Battilana. 

Gli altri autori in mostra – Amelia Etlinger, Annika Kahrs, Anri Sala, Augusto De Campos, Babi Badalov, Ben Vautier, Ettore Favini, Franco Marini, Franz Pichler, Freundeskreis, Jorel Heid & Alexandra Griess, Heinz Gappmayr, Jorinde Voigt, Kinkaleri, Lawrence Weiner, Leander Schwazer, Lena Iglisonis, Lucia Marcucci, Maria Stockner, Michele Galluzzo & Franziska Weitgruber e Siggi Hofer – sono pensati come traduttori, capaci di inventare un linguaggio tra una lingua e l’altra, un linguaggio comune a entrambe ma per le stesse imprevedibile. Le loro opere sono un linguaggio capace di produrre l’imprevedibile.

Uno degli ultimi lavori che si incontrano lungo il percorso espositivo è Nature /Mimesis as Resistance (2013) di Kader Attia. L’uccello Lira australiano ha la capacità unica di imitare molti suoni, tra cui i canti di altri uccelli. Durante la stagione dell’amore questo volatile li riproduce insieme al rumore del clic delle macchine fotografiche, all’allarme di automobili ed anche al suono delle motoseghe che stanno distruggendo il suo habitat. La lira include così nell’accoppiamento il germe della propria distruzione.

Nel contesto altoatesino, quale lingua domina e quale è dominata? E quali riformulazioni possono esorcizzare queste posizioni storiche e politiche? In qualche modo questa mostra cerca di portare la presenza di lingue e codici altri nella pratica della/e propria/e seppur in un paesaggio non irrué. Suggerendo un pensiero non sistematico che esplora l’imprevedibilità. L’identità, come sosteneva Glissant, è un rizoma, una radice che incontra altre radici. E l’atto poetico è fra gli elementi della conoscenza del reale che possono mettere in atto un mutamento della falsa universale dei pensieri. Anche in Europa, dove per tradizione la funzione letteraria è inconsciamente percepita come una funzione che deriva dal dettato di un dio.

THE POETRY OF TRANSLATION
13.11.2021-13.02.2022
A cura di Judith Waldmann
Kunst Meran / Merano Arte

Jorinde Voigt, Ludwig van Beethoven, Sonate Nr_2, 2012 – Kunst Meran Merano Arte, The Poetry of Translation
Slavs and Tatars, Szpagat, 2017 – Kunst Meran Merano Arte, The Poetry of Translation
Katja Aufleger, SUM OF ITS PARTS – COVER, 2012 – Kunst Meran Merano Arte, The Poetry of Translation