È sul tema della casa nelle sue diverse connotazioni che riflette la XIV edizione di Video Sound Art Festival, dal titolo Houses : Homes, in arrivo dal 24 al 27 ottobre. Quest’anno il festival itinerante milanese approda al quartiere Lodi Corvetto, con una serie di videoinstallazioni di artisti italiani e internazionali che trovano ospitalità in botteghe storiche, negozi e circoli ricreativi. La scelta di interfacciarsi con un contesto preciso, scelto ogni anno in funzione delle tematiche affrontate, permette di selezionare su misura i lavori più adatti ad essere messi in rapporto con quella determinata realtà, e di conferire ad essi nuove chiavi espressive. Il titolo adottato in questa edizione gioca evidentemente sulla divaricazione lessicale vigente nella lingua inglese tra “house” e “home”, termini che alludono rispettivamente alla casa nella sua accezione più materiale (e dunque anche a tutti i fenomeni che la interessano su scala urbana) e viceversa nelle sue connotazioni più simboliche, di luogo di origine, di appartenenza o di condivisione degli affetti. La scelta di indagare il tema della casa nelle sue varie declinazioni scaturisce dalle ricerche sul tema della casa condotte negli scorsi anni da Erica Petrillo, che cura questa edizione assieme a Laura Lamonea; queste riflessioni trovano così terreno fertile per essere indagate attraverso il medium dell’immagine in movimento. Il quartiere Lodi Corvetto, periferia sud-est di Milano, si è rivelato essere il contesto ideale per condurre queste riflessioni: abitato fin dagli anni ’70 dalla working class, vicino allo scalo di Porta Romana e a metà strada tra il centro e la campagna, oggi è interessato da una serie di cambiamenti strutturali e sistemici, a causa del fatto che è destinato ad ospitare il villaggio olimpico dei prossimi Giochi Olimpici Invernali, che si terranno nel 2026. Inoltre già negli scorsi anni vi si sono insediate istituzioni come Fondazione Prada e il business district Symbiosis. Queste diverse anime si incontrano e si scontrano, generando un dibattito vivo e attivo. Di pari passo con queste dinamiche si registra una tendenza alla gentrificazione che rischia di alterare in modo significativo gli equilibri sociali della zona; un fenomeno che ha indotto reazioni contrastanti nei cittadini che vi abitano, contrariamente alla narrazione dominante che sostiene questi cambiamenti in nome del decoro e della riabilitazione, ma trattando la questione in modo superficiale.
Il festival intende pertanto fare da cassa di risonanza di tali problemi aperti e nasce pertanto da un dialogo stretto con la comunità, in particolare con il comitato di zona a cui aderiscono esercenti, comuni cittadini ed associazioni. Con essa, le curatrici hanno portato avanti una contrattazione finalizzata a definire degli spazi di convivenza paritaria, per cui le attività commerciali potranno continuare ad operare normalmente nei giorni del festival. Erica Petrillo ci ha parlato di alcuni degli aspetti più interessanti che connotano questa edizione: ” Il dialogo avviato nella comunità ha fatto emergere interlocutori molto differenti tra loro: la realtà del Circolo San Luis 1946, attiva da decenni e molto consapevole della storia del quartiere, si affianca a negozianti trasferitisi da poco che hanno cominciato a partecipare alla vita di comunità, i quali hanno manifestato diversi interessi ed esigenze rispetto alle nostre proposte”. Il festival inoltre si sovrappone parzialmente ai giorni in cui si svolge la consueta festa di quartiere, e le curatrici auspicano una commistione di diversi pubblici, tra gli abitanti di Lodi Corvetto, chi vi si recherà attirato dal festival e chi invece verrà per visitare le bancarelle dei commercianti e le attrazioni della festa: “Vedremo se ci sarà una sinergia tra l’arte contemporanea e i linguaggi più spontanei della festa di paese, oppure una frizione; è interessante verificarlo, per capire se l’arte può reggere il confronto”. Venendo alle opere disseminate per il quartiere, il posto d’onore è riservato alla storica Semiotics of the Kitchen di Martha Rosler, che ruota attorno agli stereotipi che associano la donna alla sfera domestica; l’artista elenca in ordine alfabetico gli oggetti della cucina e li usa per compiere azioni insensate, lontane dalle loro vere funzionalità, le quali tradiscono la rabbia e la frustrazione repressa per la propria condizione di donna oppressa. Per il festival trova alloggio nella vetrina del panificio Meraviglia Di Pane. Anche Birth of a nation di Daya Cahen si colloca in una vetrina, quella della ciclofficina La stazione delle biciclette: le immagini, girate in una accademia militare di Mosca, seguono la vita di ragazze tra gli 11 e i 17 anni che si preparano al mondo prospettato dalla dittatura di Putin, indossando divise e imparando a sparare, ma lasciando trasparire sotto al rigore militare anche le tracce di una purezza residua destinata a spegnersi. Il video sarà visibile anche di notte attraverso le grate delle saracinesche abbassate. Il posizionamento in vetrina lungo un viale molto frequentato del quartiere la rende una delle opere più esposte agli occhi dei passanti.
In altri casi invece i lavori sono posti in ambienti più raccolti. Nel Circolo San Luis 1946, uno dei luoghi principali del festival, sono ospitate due declinazioni della ricerca dell’artista iraniano Arash Fayez, molto legate alla sua esperienza autobiografica di immigrato che si è visto negare il visto dagli Stati Uniti, dopo anni di tentativi burocratici rivelatisi di fatto totalmente inutili. Nel Circolo è consultabile Apolis, un’autobiografia visiva che raccoglie tutti i documenti prodotti nello svolgimento della pratica, in cui le sue informazioni personali e sensibili sono state occultate da una serie di fotografie. Nel film I Can Only Dance to One Song, girato a Barcellona, riprende invece alcuni immigrati di varia provenienza mentre ascoltano e cantano canzoni delle proprie terre di origine, dando corpo al detto persiano che dà il titolo al film, che esprime tutta la nostalgia struggente dei membri della diaspora. Per l’occasione l’opera diventa multicanale, accentuando la polifonia del video grazie alla riproduzione in simultanea dei canti degli immigrati; la musica diviene lingua franca per parlare della distanza da casa. Sempre presso il Circolo San Luis 1946, Video Sound Art rinnova il proprio impegno nel dialogare con il mondo dell’editoria indipendente, ospitando la rivista ArabPop, specializzata in arti e letterature contemporanee dei paesi arabi, che propone una estensione tridimensionale del proprio numero 4, incentrato proprio sul tema della casa. Frozen memories V, Are we really all looking at the same sky? di Mara Palena, presso il Ristorante Sottobosco, mostra il lento processo di scioglimento di un blocco di ghiaccio al cui interno sono state intrappolate le tipiche stelline luminose che si usa applicare sui soffitti delle camere dei bambini, rappresentando metaforicamente la progressiva riemersione di un ricordo intimo e familiare, che l’artista offre alla collettività.
Lose Voice Toolkit di Adele Dipasquale si presenta come un’esplorazione ludica del linguaggio dei bambini, una volta che questi perdono la capacità di comunicare verbalmente a causa di fantomatici magneti ruba-lingua o caramelle perdi-voce; ne risulta un nuovo sistema di segni corporei, che consentono di generare degli spazi di autonomia dai canoni comunicativi imposti dagli adulti. Il film è ospitato nella Cartoleria e Tipografia Bonvini 1909, sotto forma di installazione immersiva che riproduce la scenografia utilizzata durante le riprese. Nella stessa sede trova collocazione anche Oltremare Studio di Nicoletta Grillo, che espone le fragilità del territorio delle province di Vibo Valentia e Reggio Calabria, muovendosi tra gli ambiti della storia geologica, le migrazioni umane verso l’Argentina e il Nord Italia e i movimenti delle acque che hanno influenzato sia il paesaggio che i suoi abitanti. Presso Eldodo Booksellers & Stationers è ospitato infine O Caseiro (The Housekeeper) di Jonathas de Andrade. Lo schermo giustappone immagini tratte dal film O Mestre de Apipucos (The Masters and the Slaves) del 1959 di Joaquim Pedro de Andreade, incentrato sulla vita dello scrittore e sociologo brasiliano Gilberto Freyre, e un altro filmato originale che invece mostra il custode della ricca residenza di Recife del sociologo mentre compie azioni del tutto similari, ma legate ad un diverso gradino della scala sociale. La giustapposizione permette di riflettere sul tema delle differenze di classe, al centro degli studi dello stesso Freyre. Al circuito di installazioni si associa anche un denso public program che associa momenti conviviali ad altri più incentrati sulla riflessione, grazie alla partecipazione di studiosi di diversi ambiti disciplinari che si confronteranno intorno ai temi del festival. Un importante appuntamento è la listening session del Palestinian Sound Archive raccolto da Mo’min Swaitat, fondatore dell’etichetta discografica e piattaforma di ricerca palestinese Majazz Project. L’archivio si configura come una preziosissima raccolta di registrazioni di musica del proprio paese: dalle canzoni popolari al jazz, dai canti dei matrimoni beduini agli album rivoluzionari della Prima e della Seconda Intifada.
Cover: Arash Fayez, still I Can Only Dance to One Song, 2021, single channel 4K UHD video, sound, color, 10’56”.