SUPERNATURALE è il titolo scelto per la ottava edizione della ben nota rassegna che, ogni anno, nel mese di luglio, anima il borgo abruzzese di Pereto, nata da un’idea di Paola Capata e Delfo Durante. Per questa nuova edizione, realizzata insieme ad Annalisa Inzana, Straperetana coinvolge 17 artisti e artiste, rinnovando la propria collaborazione con l’Accademia di Belle Arti de L’Aquila – tre gli artisti provenienti dall’Accademia: Gaia Liberatore, Giorgio Cesarini e Davide Mariani.
Francis Alÿs, Federica Belli, Nina Carini, Giorgio Cesarini, Davide D’Elia, Hamish Fulton, Agostino Iacurci, Giovanni Kronenberg, Gaia Liberatore, Davide Mariani, Numero Cromatico, Anastasiya Parvanova, Salvo, Tarin, Patrick Tuttofuoco, Nico Vascellari, María Ángeles Vila Tortosa sono stati chiamati a interrogarsi sul loro rapporto con la Natura, e più estesamente sulla possibilità di rintracciare con essa punti di continuità e fratture, elementi perturbanti e nuove sintassi relazionali.
Giordano Bruno vedeva la natura come un’entità unica e vivente, una sorta di organismo universale in cui tutte le parti sono interconnesse. L’anima è per tale motivo parte integrante della natura, intesa come qualcosa di soggetto a un processo di evoluzione e trasformazione continue. Nella individuazione di questo principio vitale, Bruno rintracciava la possibilità di un universo in continuità con l’essere umano e tutti gli esseri viventi. Il suffisso SUPER impiegato nel titolo dell’ottava edizione di Straperetana qualifica così un rapporto molto vicino a ciò che Giordano Bruno ha postulato; il superlativo assoluto evoca una potenzialità, ossia quella del rapporto immersivo, quasi metafisico perché onnipresente, con la Natura declinata attraverso una caleidoscopica pluralità di temi e approcci. Con circa trenta opere – sparse tra Palazzo Maccafani, le strade del borgo e Palazzo Iannucci – il progetto presenta una riflessione espansa su ciò che il rapporto supernaturale con la natura implica nella ricerca di artisti e artiste generazionalmente distanti. Non vi è un affine “sentimento della Natura” bensì una relazione unica e plurale con essa, attraverso elementi che ritmano l’intero percorso.
A Palazzo Maccafani, la relazione che si attiva è con il corpo – considerato alla stregua di un misuratore del tempo e dello spazio; ma è anche una relazione con il paesaggio e il mondo animale che sconfinano nel possibile rapporto immersivo, e mostruoso o ibrido, stabilito con la natura attraverso l’osservazione di fenomeni a metà tra una Weltanschauung romantica, perché macroscopici e, a tratti, spaventosi, e un approccio scientifico.
Hamish Fulton attraversa lo spazio delineando il confine tra corpo, immaginazione e natura attraverso un confronto con la fatica fisica, l’idea di attraversamento e tracciamento del confine tra natura e sé. Salvo, in mostra con un acquerello e gouache su base xilografica e con una serigrafia, ripropone, attraverso una pittura di pura luce e colore, il suo sguardo su uno dei temi più tradizionali della storia dell’arte, per esplorare il potenziale evocativo e percettivo del paesaggio. La scultura in bronzo di Nico Vascellari racconta di un rapporto immaginifico in cui l’associazione surreale tra il gesto – il calco della mano dell’artista – e l’animale – una civetta – delineano i tratti di un totem emblematico della possibile commistione tra l’uno e l’altro. Nina Carini ricrea, attraverso un’installazione sonora e luminosa, uno spazio immersivo: suono (una registrazione in tre atti di versi di animali, sonorità legate alla foresta ed estratti di un’opera di Hindemith) e luce rendono omaggio a l’heure bleu, segnando un momento di passaggio sospeso tra realtà e immaginazione. Patrick Tuttofuoco immagina la cisterna di Palazzo Maccafani come punto di congiunzione tra cielo e terra: il fulmine, segnato da una luce al neon bianca, si colloca ad altezza sguardo, per dominare definitivamente lo spazio.
Il percorso prosegue, all’esterno di Palazzo Maccafani, con “Il vento ti porta con me”, un’installazione di Numero Cromatico composta da sei bandiere in cui gli statement – versi poetici, suggestivi e programmati, ottenuti con l’ausilio della AI – generano una crasi tra lo spazio del borgo e la iper-tecnologizzazione che incalza. Le due stampe su carta da affissione di Federica Belli, dalla serie “Mimesis”, sembrano in qualche modo rispondere alla saturazione del rapporto tra essere umano e tecnologia; fotografando il proprio corpo nel paesaggio, di cui l’artista imita movimenti e forme, Belli ricompone una visione organica del proprio rapporto con esso. In Corso Vittorio Emanuele, Agostino Iacurci ha realizzato un wall painting sulle mura di una casa di Pereto, in continuità con la tela dal titolo “Matrice”, collocata all’ingresso di Palazzo Iannucci. Iacurci rielabora riferimenti letterari e racconti vernacolari, stabilendo così una relazione intima e serrata con gli spazi e le architetture, con l’esterno e la storia del borgo.
Gli interventi di Gaia Liberatore, Giorgio Cesarini e Davide Mariani, i tre artisti dell’Accademia di Belle Arti de L’Aquila, si collocano al pian terreno di Palazzo Iannucci; un lavoro video e due installazioni site-specific si confrontano con gli spazi interstiziali del Palazzo, dimostrando la capacità di indagare le potenzialità ambientali dello spazio espositivo, con rigore e intraprendenza. Liberatore impiega un materiale deperibile come l’argilla cruda per dare vita ad un’installazione modulare che ricrea un pattern irregolare, a metà tra organico e inorganico; Mariani, nel video “Waiting at the gate”, trascina faticosamente per le strade del borgo di Pereto un trolley, risignificando lo spazio, e il rapporto con esso, attraverso una duplice tensione, al radicamento e all’appartenenza, ma anche allo sradicamento e alla ricerca à rebours; infine, Cesarini, costruisce un’installazione immersiva in cui lo spazio, dominato da oggetti residuali, è punteggiato dalla presenza, quasi impercettibile, di piccoli ciondoli appesi a dei cavi elettrici a ristabilire un rapporto “naturale” tra infanzia e ricordo.
Salendo le scale, María Ángeles Vila Tortosa presenta il suo “Herbario de Vida”, una sequenza di immagini racchiuse in un delicato cammeo in cui il ciclo vitale di una pianta, dal seme alla sua morte e rinascita, celebra la fertilità femminile e la continuità con la Natura. Questa prospettiva di comunione e legame ancestrale ritorna anche nella selezione di stampe Giclée di Tarin che affianca corpo e paesaggio per ristabilire una continuità dello sguardo e del rapporto con l’esterno. Fa da interessante contrappunto a questi aspetti l’archeologia perturbante di Giovanni Kronenberg per il quale l’oggetto – una sineddoche della Natura (la foglia, il corno d’alce, la spugna marina) – subisce uno slittamento progressivo del senso dato da incursioni repentine e impercettibili (il ditale in argento, la fragranza marina spruzzata sulle spugne, il colore oro passato sulle foglie secche); all’interno dello spazio domestico – la cucina della Casa del Prete – Kronenberg reimmagina un paesaggio distopico in cui la comprensione del mondo e delle cose è costantemente rimessa in discussione.
Anastasiya Parvanova e Davide D’Elia declinano il tema impiegando in modo del tutto personale il linguaggio espressivo della pittura come tramite tra sé e mondo-natura. Parvanova realizza due tele in cui l’esplorazione del reale è associata a un filtro dato dall’immaginazione che distorce forme e colori quasi in un’indagine psichedelica del rapporto con la natura e il mondo. D’Elia, che dal 2014 ha implementato l’utilizzo della pittura antivegetativa all’interno dei propri interventi, dà vita a uno spazio ambientato in cui la pittura non serve più a restituire uno sguardo mimetico sul mondo, bensì a ricreare uno spazio di inversione del tempo e della memoria. Idealmente, il percorso della mostra è chiuso da un video di Francis Alÿs, “The Collector” (1991-1992 – Mexico City), una performance che esplora le tensioni urbane e la geopolitica emergendo nello spazio interdisciplinare tra arte, architettura e pratica sociale. Alÿs mette in scena dei paseos, delle passeggiate che resistono alla sottomissione dello spazio comune contrapponendo il tempo geologico e tecnologico con tematiche sociali che esaminano la memoria individuale e la mitologia collettiva.