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Storie di designer | Intervista a Elena Salmistraro

Sono figlia degli anni ’80, cresciuta in un mondo pop, in un’epoca in cui il postmodernismo e il radical design segnavano la fine di quel rigore e minimalismo di cui parli. Oggi, credo che il design italiano abbia raggiunto una consapevolezza tale da poter abbracciare molteplici punti di vista senza dover scegliere necessariamente tra rigore e decorazione, tra minimalismo ed espressione.

Conversazioni con i Designer di Oggi
“Storie di designer” è una rubrica di interviste nata con l’obiettivo di dare spazio e visibilità ai giovani talenti del mondo del design. In un’epoca in cui la creatività si intreccia con le nuove tecnologie e le sfide globali, i giovani designer sono protagonisti di un cambiamento culturale e visivo che merita di essere raccontato. Attraverso queste interviste vogliamo esplorare le storie, le ispirazioni e le visioni di chi sta plasmando il futuro del design. Ogni intervista è un viaggio nel percorso formativo e professionale di questi creativi, scoprendo le influenze, i progetti e le sfide che hanno affrontato lungo il loro cammino.

Sara Benaglia: Chi è Elena Salmistraro? Com’è nata la tua passione per il design? Come ti sei formata?
Elena Salmistraro: Sono Elena Salmistraro, una designer milanese laureata in Product Design al Politecnico di Milano. Dal 2009 lavoro con il mio studio nel mondo del design, esplorandone le molteplici sfaccettature: dalla grafica all’illustrazione, dalla moda al prodotto, fino alle installazioni.
La mia passione per il design non è nata immediatamente. Da giovane ero interessata esclusivamente al disegno, l’arte era il mio punto fermo. Certo, alcuni oggetti mi affascinavano, come la cupola di Aldo Rossi che mia nonna aveva in casa, ma non pensavo ancora al design come a una strada da percorrere.
In seguito, mi sono avvicinata alla moda, l’ho studiata e ho anche lavorato in quel mondo, ma mi sono resa conto che non era il mio ambiente: i ritmi erano frenetici, e non mi sentivo a mio agio. Così, ho continuato la mia ricerca fino a scoprire il design di prodotto. L’incontro con Alchimia, Memphis, Mendini, Sottsass e l’opportunità di conoscere Alessandro Guerriero e avere come professore Italo Rota mi hanno fatto comprendere che il design poteva essere affrontato in modo diverso, con un linguaggio trasversale. Da quel momento, ho cercato di combinare tutto ciò che mi aveva formato e appassionato, costruendo un linguaggio personale attraverso gli oggetti, per dare loro una dimensione espressiva e narrativa unica.

SB: Come nasce un tuo progetto? Oltre alla funzione, quanta tecnica, e quanta affettività entrano in un pezzo di design?
ES: Ogni mio progetto nasce in modo differente, perché ogni progetto è unico, anche quando si tratta della stessa tipologia di oggetto. In genere, cerco un elemento che possa fungere da chiave di volta, un punto di partenza capace di innescare riflessioni, parole, idee. È una sorta di escamotage per dare un primo ordine al flusso creativo. Una volta definito il messaggio, il significato e il senso di ciò che voglio realizzare, inizia un lungo processo di disegno e ridefinizione, fino a quando le forme non trovano una loro concretezza. Solo dopo intreccio queste forme con i vincoli funzionali e produttivi.
Tuttavia, il processo non segue sempre lo stesso percorso; a volte l’ordine si inverte. Non mi impongo regole rigide, preferisco lasciarmi trasportare, perché credo che la componente emotiva giochi un ruolo essenziale nella creazione. I ricordi, i colori, le sensazioni sono tutti elementi che, dosati con equilibrio, conferiscono agli oggetti un senso di familiarità e riconoscibilità. Alla fine, tecnica e funzione sono imprescindibili, ma senza affettività, un oggetto rischia di rimanere freddo e privo di anima.

SB: In un’intervista di qualche anno fa hai parlato delle tue creazioni non solo come a oggetti, bensì come sorta di compagni. C’è una componente animista in ciò che fai?
ES: Sì, ho condiviso un pensiero di Castiglioni secondo cui gli oggetti devono tenerci compagnia. È un’idea che mi ha sempre affascinato e, in qualche modo, guidato nel mio lavoro. Credo che gli oggetti vadano oltre la loro semplice funzione: con il tempo, questa può trasformarsi o persino scomparire, come è accaduto alle macchine da scrivere o alle radio, e come accade continuamente ai nostri telefoni, che cambiano forma seguendo logiche estetico-funzionali in continua evoluzione. Ciò che invece rimane immutato è il legame emotivo che instauriamo con gli oggetti, le sensazioni che suscitano e che, a loro volta, sembrano restituirci. In questo senso, esiste una componente quasi animista nel mio approccio: vedo gli oggetti come portatori di storie, di memoria, di emozioni. Non si tratta solo di progettare qualcosa di utile, ma di creare qualcosa che possa dialogare con chi lo usa, che abbia un’identità, una presenza capace di accompagnarci nel tempo.

Elena Salmistraro – Hotem Chimera CEDIT- ph Vanni Borghi
Elena Salmistraro – Tai Ping-Legami – Pollice

SB: Quando si pensa al design Made in Italy lo si associa a rigore e minimalismo. Il tuo lavoro – penso alle scimmie di Bosa – dimostra con successo che le cose sono cambiate. Come vivi questo salto? Come ti relazioni con il passato? 
ES: Quando penso al Made in Italy, lo associo innanzitutto alla capacità di saper fare. Anche nei periodi in cui il rigore e il minimalismo sembravano predominare, in Italia è sempre esistita una visione trasversale, alternativa, a volte eclettica, frutto di conoscenza, sperimentazione e di una sana ribellione all’omologazione culturale. Sono figlia degli anni ’80, cresciuta in un mondo pop, in un’epoca in cui il postmodernismo e il radical design segnavano la fine di quel rigore e minimalismo di cui parli. Oggi, credo che il design italiano abbia raggiunto una consapevolezza tale da poter abbracciare molteplici punti di vista senza dover scegliere necessariamente tra rigore e decorazione, tra minimalismo ed espressione. Nel mio lavoro porto con me il bagaglio di quel passato, ne ho assorbito i concetti che ho sentito affini, ma sono anche consapevole di vivere il mio tempo, e non nel passato. Per me, il passato va studiato, compreso e rispettato, ma sempre nella consapevolezza che appartiene a un preciso contesto storico. Non ho mai creduto fino in fondo all’idea di “senza tempo” nel design, perché gli oggetti che davvero hanno attraversato le epoche sono quelli che hanno saputo incarnare e definire il loro tempo.

SB: Nei tuoi lavori una componente importante è data dal disegno e dall’uso di colori sgargianti e accattivanti. Il tuo lavoro maximalista ha più che un’aura post-mendiniana! Ti riconosci in questa idea?
ES: Per me è un onore essere associata, anche solo lontanamente, a Mendini. Il suo design mi ha profondamente colpita e formata, e lo sento vicino a me sia per attitudine che per approccio, specialmente nell’uso del colore. Certo, il mio lavoro è meno politico, teorico e rivoluzionario rispetto al suo, ma questo riflette semplicemente la mia natura. Quando ho avuto il privilegio di conoscere Alessandro, mi diede un consiglio che porto sempre con me: “Stai attenta, cercheranno di toglierti lo sguardo del fanciullo, ma tu resisti.” Ecco, questo è esattamente ciò che faccio ogni giorno attraverso il mio lavoro.

SB: Che relazione c’è tra design, arte e decorazione nel tuo lavoro? Che ibridazione hai coniato tra queste tre sfere?
ES: Nel mio lavoro design, arte e decorazione non sono compartimenti stagni, ma elementi interconnessi che si arricchiscono a vicenda. Amo indagare le relazioni tra queste sfere: mi piace giocare al confine, ibridare, sovrapporre, mischiare e perfino confondere i ruoli tradizionali. Per me, affidarsi a un metodo rigido e ripetitivo può eliminare gli errori, ma allo stesso tempo impedisce la scoperta di nuove possibilità. È proprio uscire da quel percorso lineare, accettare di sbagliare, riprovare e cambiare idea più volte che mi permette di trovare soluzioni innovative e arricchire il mio lavoro. Questa ibridazione è il cuore della mia ricerca: un continuo movimento che mi spinge a esplorare, a reinventare e a non lasciare mai che la creatività si fermi.

Carraro Chabarik + Elena Salmistraro – Metamorfosi – MFCC, FCMA, Living
Elena Salmistraro – The New Poetic Activism – Aequilibrium – Ph. Michele Nastasi
Elena Salmistraro – Polifemo_ph Massimo Gardone De Castelli

SB: Quali materiali prediligi nelle tue lavorazioni? Che cosa è la materia per te?
ES:
Per me la materia è il corpo, la sostanza stessa di ciò che realizzo. Adoro esplorare e confrontarmi con un’infinità di materiali, scoprendone segreti, caratteristiche, suoni e profumi. Ho iniziato il mio percorso creativo con la carta, sperimentando la cartapesta e gli origami, imparando a conoscere la leggerezza e la fragilità. Successivamente mi sono dedicata alla ceramica, lavorandola a mano e rendendomi conto del suo immenso potenziale nel dare vita alle mie prime creazioni. Ho poi ampliato il mio orizzonte lavorativo abbracciando anche il vetro, il legno, il metallo, la pietra e tanti altri materiali. Ogni materiale mi offre una sfida diversa, un significato unico, perché per me la materia va scelta, compresa e soprattutto rispettata.

SB: Che tipo di ricerca visiva e teorica porti avanti? Per esempio, quali libri hai letto mentre realizzavi Mata&Grifo?
ES: Non porto avanti una teoria precisa. Non essendo una teorica, faccio fatica a definirmi in termini teorici. Io cerco semplicemente di rappresentare al meglio il mio tempo attraverso forme ed oggetti, senza sentire il bisogno di supportare il mio lavoro con teorie o definizioni che non mi appartengono. Durante la realizzazione di Mata&Grifo – con Mata creata da Antonio Aricò e io che ho disegnato Grifo – non ho letto quasi nulla. Il mito a cui si ispirava Grifo era molto legato alla Calabria di Antonio, e lui ha condiviso con me quella storia. Essendo sposata con un siciliano, in parte mi sento anch’io parte di quella fusione culturale, e raccontare una storia che unisce Calabria e Sicilia è stato un gioco divertente. Ho letto qualcosa per comprendere meglio la storia e capire come rappresentarla al meglio, ma tutto è stato dettato dal piacere di condividere, dal gioco e dal divertimento. Raccontare un’antica leggenda attraverso l’arte e il design, lasciandomi guidare dalla spontaneità e dalla creatività, è questa la mia ricerca.

SB: So che condividi il tuo lavoro e studio anche con tuo marito. Come strutturi il lavoro del tuo team attorno al design di un nuovo prodotto o una nuova installazione?
ES: Per il design di un nuovo prodotto o una nuova installazione, ho sempre cercato di sfruttare la sinergia e la complementarietà che ho con mio marito.  In pratica, mi occupo personalmente di tutta la parte creativa dello studio, sviluppando l’idea e il concept, poiché il mio lavoro è fortemente autoriale e sarebbe impossibile delegarlo. Mio marito, invece, gestisce tutti gli aspetti tecnici, tecnologici e burocratici, garantendo che le soluzioni proposte siano realizzabili e ben strutturate.
Questa divisione naturale ci permette di lavorare in modo fluido e quasi intuitivo, senza doverci sforzare troppo nella gestione quotidiana. Inoltre, contiamo sul prezioso supporto delle nostre collaboratrici, che arricchiscono il team. Un elemento chiave del nostro approccio è che condividiamo gusti e interessi simili, quindi quando discutiamo di un progetto, portiamo punti di vista differenti ma sempre diretti verso un’unica direzione.

SB: A cosa stai lavorando ora? Immagino tu sia all’opera per il Salone del mobile…
ES: Al momento, i progetti a cui sto lavorando sono davvero tanti. Alcuni verranno presentati al Salone, mentre altri saranno posticipati per non concentrarmi esclusivamente su quella settimana e non rischiare di rendere tutto ripetitivo. Lavorando su più fronti, sono riuscita a superare quella stagionalità che accompagna tradizionalmente il Salone. Ad esempio, quest’anno ho dedicato molto tempo alla mia mostra personale, che si è conclusa circa un mese fa. Questo mi ha permesso di evitare tempi morti e di avere un flusso di lavoro continuo, senza dovermi focalizzare solo su un evento annuale. Per quanto riguarda i nuovi progetti, ci sono quelli con Bosa, Lithea e Flaminia, che sono davvero entusiasta di vedere concretizzarsi. Inoltre, ho lavorato su alcune lampade e su dei cesti realizzati da artigiani del Malawi, un progetto che mi affascina molto e che non vedo l’ora di vedere dal vivo.

Cover: Elena Salmistraro Ambiente, the lounge

Elena Salmistraro – Most Illustrious Bosa
Elena Salmistraro – Grumetto Busnelli
Elena Salmistraro – Sangaku – Driade- still – ph. Iacopo Barattieri