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Stefano Arienti. Altana | Repubblica di San Marino

Dopo aver ospitato nel 2021 la Biennale itinerante dei giovani artisti del Mediterraneo, la repubblica più antica d’Europa si apre ad una nuova iniziativa dedicata alle espressioni artistiche della contemporaneità. A San Marino, tre luoghi nevralgici della rocca sul Monte Titano e la galleria privata Claudio Poleschi Arte Contemporanea nel paese di Dogana sono il […]

Stefano Arienti, Palazzo Dario (da Claude Monet), 2021
Stefano Arienti, Nicola Carrino, Salvo, 2022 – Veduta dell’allestimento, Claudio Poleschi Arte Contemporanea

Dopo aver ospitato nel 2021 la Biennale itinerante dei giovani artisti del Mediterraneo, la repubblica più antica d’Europa si apre ad una nuova iniziativa dedicata alle espressioni artistiche della contemporaneità. A San Marino, tre luoghi nevralgici della rocca sul Monte Titano e la galleria privata Claudio Poleschi Arte Contemporanea nel paese di Dogana sono il teatro diffuso in cui si articola Altana, un ambizioso progetto espositivo dedicato a Stefano Arienti (Asola, 1961), con la curatela di Fabio Cavallucci. La mostra, programmata fino al 31 gennaio 2023, si presenta come la prima tappa del programma di iniziative SM-Art. Sensibilità artistiche dagli anni Novanta, del cui comitato scientifico Cavallucci fa parte insieme a Giacinto di Pietrantonio e Angela Vettese. Scopo di SM-Art è avviare una riflessione sistematica su una generazione di artisti che ha segnato un cambio di passo nell’arte italiana, ancora da mettere a fuoco nelle sue dinamiche. Una nuova visione di cui è stato apripista proprio Stefano Arienti, fin dai primi passi compiuti nel circolo di Corrado Levi, alla metà degli anni Ottanta. La direzione intrapresa da Arienti, come evidenzia Fabio Cavallucci nel testo critico che arricchisce la pubblicazione a corredo del progetto espositivo, è stata quella di “non porsi con ambizione demiurgica, come costruttore onnisciente, ma mettersi un poco a lato, sottolineare anziché creare, accennare anziché urlare con la maschia protervia che in quegli stessi anni stavano usando i protagonisti della Transavanguardia e del Neo Espressionismo”. L’artista ha così intrapreso una nuova via concettuale, distante dall’arte politica e grezza degli anni Settanta e piuttosto orientata alla leggerezza e alla “mescolanza di livelli espressivi”. Da allora il percorso è stato lungo e proficuo; la mostra allestita nello spazio espositivo di Claudio Poleschi, recentemente scomparso, ne dà conto con una panoramica esaustiva della sua ricerca, alternando opere realizzate negli anni Ottanta e Novanta ad altre più recenti. Inoltre, i lavori di Arienti sono attivati e risemantizzati dalla loro giustapposizione con una serie di opere di vari artisti presenti nella collezione della galleria (tra gli altri si segnalano in ordine di “incontro” Pino Pascali, Alberto Garutti, Mimmo Paladino, Michelangelo Pistoletto, Sol LeWitt, Julian Schnabel). Gli accostamenti e le composizioni sulle pareti sono da attribuire proprio ad Arienti, che già in altre circostanze si era cimentato nel dialogo con opere facenti parte delle raccolte dei luoghi presso cui esponeva (ad esempio nella mostra del 2017-18 a Villa Croce a Genova).

Stefano Arienti, Vaso di Rose (da Van Gogh), 2021
Alberto Garutti, Ennio Morlotti, Pino Pascali, Stefano Arienti, Nuvolo, 2022 – Veduta dell’allestimento, Claudio Poleschi Arte Contemporanea

Del resto, il dialogo con l’arte del passato è fondativo di alcuni tra i nuclei più rappresentativi della sua ricerca, che consistono in interventi di vario genere su riproduzioni di grande formato di opere celebri. In pezzi come Figure in un bosco (da Van Gogh) (1991), Ponte Giapponese (da Claude Monet) (2021) e Vaso di Rose (da Van Gogh) (2021) poster di famosi quadri impressionisti sono il supporto su cui sono applicati grumi di pongo variopinto, così da riesumare e potenziare la plasticità dell’originale impasto pittorico, appiattito dalla fotografia. In alcuni casi, come Pioppi (da Van Gogh) (2021) e Palazzo Dario (da Claude Monet) (2021), la riflessione sottesa al processo di ristrutturazione della materia e di recupero della manualità si affina ulteriormente, dato che ogni immagine si sdoppia in un dittico dalle reminiscenze pop. Altre opere, tra cui Due dame (da Utagawa Konyoshi) (2020-21), procedono in direzione contraria, scarnificando le riproduzioni della loro vitalità residua, quiescente nel colore di stampa: in questi casi è esposto il retro dei poster e l’unico soggetto percepibile sulla superficie bianca è il perimetro traforato con un punteruolo delle sagome delle figure. L’immagine si è rarefatta, si è inabissata, e affiora soltanto la diafana ossatura formale della rappresentazione. Talvolta però le immagini sono implacabili e si ripresentano: in Spiel der Krafte einer Lechlandschaft (da Paul Klee) (2020) è come se dalla superficie crivellata di fori trasudasse il colore a tempera della rappresentazione originaria, così da ricomporre sul retro la composizione astratta. Nella ricerca di Arienti lo stesso approccio di intervenire manualmente su stampe digitali si applica anche ad immagini stock di scorci di paesaggio acquistate nei supermercati di bricolage e a fotografie di fiori e piante scattate da lui stesso, confermando che il suo intento è, come nota Fabio Cavallucci, “lavorare con immagini alla seconda, utilizzarle in modo strumentale più che sostanziale, farle diventare oggetti della sua ricerca in quanto tali, più che veicoli di senso per ciò che mostrano”. In Finestra a Tokyo (2021) interviene sulla stampa spruzzando acqua sulla superficie e applicando poca pittura acrilica: il risultato è una texture di goccioline diffuse, che è come se manifestassero la presenza del vetro della finestra. Nelle opere di formato monumentale Sentiero riva lago a Levico (2021) e Bosco a Levico (2021) interviene invece stropicciando la stampa fotografica, così da conferire nuova consistenza materica alla neve e alla corteccia degli alberi.

Stefano Arienti, Finestra a Tokyo, 2021
Mimmo Paladino, Stefano Arienti, Vittorio Corsini, 2022 – Veduta dell’allestimento, Claudio Poleschi Arte Contemporanea

Nella prima sala, dove compaiono molte delle opere menzionate, sono presenti in teca anche dei lavori degli anni Ottanta, in cui Arienti aveva già sperimentato un simile approccio di piegatura della carta, seppur in quel caso in modo molto più metodico e programmato: le Turbine (1986-1989) e i Pacchetti-ondine (1987) sono infatti sculture-origami che si arricchiscono dei pattern delle vignette di fumetti e delle tabelle fiscali presenti sui fogli impiegati per comporle. Nella seconda sala la struttura a losanghe di una grande opera facente parte di quel corpus, Nuvole fumetti (1989), si fa motivo ordinatore della parete: così due opere di Nicola Carrino e Salvo ed altri due lavori di Arienti, Tenda con palma (2020) e Senza titolo (da Claude Monet) (1992), abbandonano l’allineamento classico e migrano più in alto e più in basso, componendo una scacchiera variopinta. L’allestimento della parete di fronte vede protagoniste altre due stampe digitali di Arienti, alternate a lavori di Ennio Morlotti e Nuvolo, ma in questo caso il trait d’union è la simile palette cromatica che rimanda ai colori del bosco. Nonostante il contrasto di scala che parrebbe relegare in subordine le opere della galleria, è proprio il quadro di Nuvolo ad essere il pivot della composizione: il suo patchwork di tasselli bruni sembra un ingrandimento della corteccia stropicciata dell’albero presente nella stampa Tram giallo (2021), mentre l’estremità di destra della tassellatura va a sedimentarsi sopra Ragnatela Ponte Lambro (2020). Nelle sale successive si incontrano nuovi contrasti giocati sul colore. In un ambiente dominato da due sagome di Mario Ceroli, si costituisce un gioco di alternanze tra bianchi e toni saturi: da un lato i due trafori bianchi Barche a vela (2020) si alternano al dittico Piccolo quadro di Pino Blumen Mythos (da Paul Klee) (2019), in cui l’intervento di Arienti si limita ad introdurre un nuovo elemento compositivo nei mosaici di colori e forme geometriche dell’artista tedesco tramite l’apposizione di due chiusure lampo; dal lato opposto dell’ambiente, il blu oltremare di un quadretto di Osvaldo Licini fa risaltare per contrasto Agnes (2003), una lastra di marmo bianco inciso e traforato.

Stefano Arienti, Bosco a Levico, 2021
Stefano Arienti, Due dame (da Utagawa Konyoshi), dittico, 2020-2021

I tre interventi site-specific disseminati sulla cima e nelle profondità della rocca del Monte Titano traspongono le tematiche e le modalità protagoniste del lavoro di Arienti in un vero e proprio confronto con la Storia. Si tratta di tre opere che, in modi differenti e su diversi livelli, invitano a guardare le cose dall’alto, per abbracciare una visione più ampia. Viste (2022), il primo intervento, interessa le sale espositive della Galleria Nazionale di San Marino; l’artista ha realizzato cinque disegni ad inchiostro metallico su altrettanti teli antipolvere che sono stati appesi come tende davanti alle grandi finestre. Tre disegni sono stati prodotti a partire da fotografie che l’artista ha scattato durante i sopralluoghi e rappresentano rispettivamente una veduta di Borgo Maggiore, uno scorcio del castello della funivia e un albero spoglio davanti al tetto di una casa. Gli altri due disegni mostrano invece vedute aeree della Repubblica, ma in realtà le fotografie di partenza avevano per soggetto un plastico del Museo di Storia Naturale. Di nuovo, la rappresentazione si fa veicolo di una riflessione concettuale, in cui stavolta è protagonista il cambio di scala: prima il rimpicciolimento dal territorio al modello, poi di nuovo una dilatazione alle dimensioni della finestra. Scendendo nelle cisterne che si celano sotto al Palazzo Pubblico, deputate un tempo a raccogliere l’acqua piovana, ci si trova davanti a Gocce (2022), una grande mappa dell’Europa composta da barattoli e bottiglie di vetro, per una dimensione complessiva di 7 x 8,5 m. La luce radente che fa baluginare il vetro di riflessi, nella penombra dell’ambiente, fa pensare ad una ripresa satellitare del continente di notte. La terza installazione, dal titolo Castello (2022), è collocata in un altro anfratto della rocca, ovvero la Galleria Ferroviaria Il Montale, un tunnel costruito durante il Fascismo per collegare Rimini e San Marino (caduto in disuso dopo il 1944, è stato poi messo a disposizione dei cittadini). In un ramo laterale della galleria, che termina con un affaccio panoramico sulla valle, è stata costruita una struttura cubica composta da strati sovrapposti di lastre usate per la manutenzione delle strade di San Marino e di libri donati dalla comunità, mattoni di conoscenza dal contenuto ormai inaccessibile. Arienti l’ha completata aggiungendo sulla sommità una piccola quantità di miele e strutto, componente organica e naturale che consegna l’opera alla giurisdizione della natura; un omaggio alla pratica artistica di Joseph Beuys e, velatamente, anche alla sua proposta di concepire Europa e Asia come un unico continente, nel quale l’umanità dovrebbe riscoprire le proprie origini e un senso antico di fratellanza. Di nuovo un invito a salire in alto per vedere più lontano.In fondo la Repubblica di San Marino, come un’“altana” svettante sul centro storico di una città, da sempre si staglia neutrale e distaccata sull’Europa consumata dai conflitti. In un periodo complesso e privo di riferimenti, forse l’unica cosa da fare è salire abbastanza in alto da essere in grado di abbracciare con lo sguardo un continente che nella notte più buia si illumina all’unisono.

Stefano Arienti, Viste, Castello della funivia, 2022 – Veduta dell’installazione, Galleria Nazionale di San Marino
Stefano Arienti, Gocce, 2022 – veduta dell’installazione Antiche Cisterne di Palazzo Pubblico, San Marino
Stefano Arienti, Castello, 2022 – veduta dell’installazione Ex Galleria Ferroviaria Il Montale, San Marino