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Sowing The seed of Care | Intervista a Giacomo Pigliapoco

A Siena la collettiva Sowing the seed of care, a cura di Giacomo Pigliapoco, coinvolge Bora Baboci, Adam Bilardi, Enej Gala, Cecilia Granara, Julien Monnerie, Jessy Razafimandimby, Ambra Viviani e rappresenta nel complesso una visione metaforica, simbolica ed educativa delle connessioni tra natura e umanit

La questione ambientale è da sempre una tematica centrale nelle riflessioni che agitano il mondo dell’arte. Un’attenzione espressa anche in questa Biennale, fruibile nel padiglione di Singapore e in quello del Giappone, solo per fare qualche esempio.
A Siena la collettiva Sowing the seed of care, a cura di Giacomo Pigliapoco, coinvolge Bora Baboci, Adam Bilardi, Enej Gala, Cecilia Granara, Julien Monnerie, Jessy Razafimandimby, Ambra Viviani e rappresenta nel complesso una visione metaforica, simbolica ed educativa delle connessioni tra natura e umanità, un’azione collettiva che promuove quell’idea di una cultura aperta alle politiche di cura, alla costruzione di possibili futuri alternativi e alla coabitazione tra specie. La mostra è dislocata tra la Galleria Fuoricampo, il Museo di Storia Naturale dell’Accademia dei Fisiocritici e l’Orto Botanico dell’Università (visitabile fino al 3 Luglio 2024). 
Mai come in questi tempi sentiamo il desiderio di pensare e, soprattutto, di agire per provare a lenire, almeno nel nostro piccolo e con qualsiasi intervento a nostra disposizione, le scellerate politiche ambientali che compromettono quel delicato rapporto simbiotico che connette la sfera umana a quella della natura.

GAA: Nel comunicato stampa della mostra leggiamo questa frase “piantare un nuovo seme, il seme della cura”. Quanto è fattibile in termini concreti, sociali ed economici l’idea di costruire- piantare con l’arte e la cultura un nuovo seme e quali sono le riflessioni sulle quali hai ragionato per costruire il concept?

GP: L’idea di piantare il seme della cura è ambiziosa, ma non utopistica. L’arte ha storicamente un forte potere sensibilizzante ed educativo, a tal punto da essere un catalizzatore sociale. Ho iniziato a interrogarmi quindi sulla necessità di creare uno spazio di dialogo e riflessione, incentrato su politiche di cura e di interdipendenza tra specie. La costruzione del concept della mostra si basa sulla riflessione che la cura non è solo un atto di protezione, ma un profondo impegno etico e sociale verso tutte le forme di vita. Sowing the seed of care ragiona su come le traiettorie di pensiero post-umaniste possano fungere da catalizzatore per un cambiamento di paradigma, passando da una mentalità di sfruttamento dell’altro-da-umano a una di rigenerazione e responsabilità condivisa.

GAA: Come hai strutturato le scelte curatoriali che hanno determinato la presenza delle opere di Bora Baboci, Adam Bilardi, Enej Gala, Cecilia Granara, Julien Monnerie, Jessy Razafimandimby e Ambra Viviani?

GP: Le scelte sono state guidate dalla ricerca personale che mi ha condotto fino alle pratiche di questi artisti. Le loro ricerche e opere esplorano e incarnano il concetto di cura in modi diversi e alternativi. Bora Baboci, con i suoi due interventi, in galleria e l’installazione nell’Orto Botanico, esplora la rigenerazione dei corpi e la connessione delle specie umane e non, con la natura. Adam Bilardi riflette sui complessi legami affettivi non-umani mentre Enej Gala sulla simbiosi e sulla costruzione di nuove forme di vita inclusive, di tipo biomorfo e antropomorfo. Cecilia Granara e Jessy Razafimandimby indagano rispettivamente relazioni di cura reciproca, rapporti uomo/animale basate su prospettive non gerarchiche di dominante/dominato. Julien Monnerie indaga sugli effimeri rapporti tra uomo e cibo, toccando aspetti legati al benessere corporeo e collettivo. Ambra Viviani, con i suoi due interventi, in galleria e nell’Accademia dei Fisiocritici, sfida le tradizionali visioni umanocentriche, proponendo nuovi modi di coesistenza e connessione emotiva, che superino le barriere linguistiche e i costruiti culturali.

Ambra Viviani – Accademia dei Fisiocritici ©photoElaBialkowskaOKNOstudio
Ambra Viviani – Accademia dei Fisiocritici ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

GAA: L’uomo da sempre cerca di dominare la natura e tutto questo ha creato i disastri ecologici che viviamo oggigiorno. Toni Morrison, scrittrice afroamericana e nobel per la letteratura nel 1993, afferma che «L’acqua ha una memoria perfetta e cerca sempre di tornare dov’era». Secondo alcune ipotesi la natura dovrebbe ritornare a essere padrona della terra per ristabilire, più o meno, un equilibrio nell’ecosistema globale. In che modo gli artisti da te invitati interpretano futuri alternativi? 

GP: Gli artisti invitati interpretano attraverso la lente della cura e della responsabilità ecologica queste vie alternative al presente di costruzione di futuri plausibili. Seppur in modalità differenti, ognuno di essi utilizza installazioni che evocano sia la rigenerazione come atto curativo, simbolo di un futuro in cui l’umanità e la natura coesistono in armonia, che l’interdipendenza tra specie e la necessità di una coesistenza equilibrata, soverchiando le dinamiche di dominio passate e presenti. Alcuni esplorano le connessioni emotive e fisiche tra gli esseri viventi, suggerendo un futuro armonioso basato sul rispetto reciproco. Altri ancora utilizzano elementi naturali e antropomorfi per sfidare le concezioni tradizionali della natura per proporre nuovi paradigmi auspicabili di convivenza.

GAA: Attraverso quali formalizzazioni raccontano il processo artistico?

GP: Le formalizzazioni artistiche spaziano dalla pittura figurativa alla scultura, dal disegno all’installazione audio. Nello specifico Razafimandimby esplora il rapporto tra l’uomo e il cane nei suoi dipinti figurativi, andando a decostruire la tradizionale dinamica di dominazione ed enfatizzando un legame di sostegno reciproco e fusione identitaria. Monnerie utilizza nelle sue sculture “Pumpkin”, “Avocado Egg”, “Peach” (2024) frutti e ortaggi che riflettono una società florida, rigogliosa e primitiva, in contrasto con l’alienazione capitalistica della triade “produci-consuma-crepa”. Bilardi esprime nel suo dipinto il dualismo tra amore passionale e possesso violento, proponendo una rivalutazione delle dinamiche di potere e affetto. Granara utilizza tratti primitivi e colori vividi nei suoi dipinti “Whale” e “Whale (Love)” (2023) per costruire un futuro desiderabile basato su corpi danzanti, liberi da sofferenza e in armonia con gli altri gli esseri viventi, rappresentando un universo visuale che esplora il ventre come spazio trasformativo. Gala utilizza delle marionette composte da materiali di recupero come filo di ferro e segatura di legno per espandere il potenziale dei corpi umani e non umani, presentando figure biomorfe e antropomorfe in coreografie ambigue e precarie. Bora Baboci nelle sue due opere, in galleria con “Walled Garden” (2024), tecnica mista su carta e “Leit-motif” (2024), installazione sonora all’Orto Botanico, riflette sulla condizione ambientale globale, ispirandosi a giardini con risorse nutritive scarse e ai fallimentari tentativi umani legati alla sopravvivenza delle specie naturali. Viviani, con opere come “Petit essai sur le don. La vie érotique de la propriété donnée” (2024) e “Lullaby for nonhuman animals” (2018—), esplora i riti d’amore degli animali e le relative pratiche del dono di oggetti nelle fasi di corteggiamento. I suoi bassorilievi in marmo rosa del Portogallo, esposti in galleria, sono influenzati da forme di fiori e conchiglie, e le sue ninne nanne per animali non umani, creano ambienti di conforto e cura.

SOWING THE SEED OF CARE – Orto Botanico ©photoElaBialkowskaOKNOstudio
SOWING THE SEED OF CARE – Orto Botanico ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

GAA: Le opere vengono presentate nella sede della Galleria Fuoricampo, negli spazi dell’Orto Botanico e nel Museo Storia Naturale, Accademia dei Fisiocritici. Cosa ti ha portato a ragionare in dialogo con il territorio e che relazione troviamo tra gli spazi e le opere degli artisti in mostra?

GP: Posso dirti che il territorio con le sue sedi espositive è stato fondamentale per creare un’esperienza olistica che fosse profondamente radicata nel contesto locale e che valorizzasse le specificità dei luoghi. Oltre alla Galleria Fuoricampo che mi ha invitato a pensare un progetto nei suoi spazi, la scelta dell’Orto Botanico e dell’Accademia dei Fisiocritici risponde all’esigenza di creare un percorso narrativo che collega tre punti fondamentali del progetto, la parte centrale più artistica, in galleria appunto, dove avviene un vero e proprio confronto sfaccettato sul tema e un avvicinamento tra le pratiche, quella legata alla sfera naturalistica all’Orto e quella più vicina all’animalismo ai Fisiocritici. Ogni spazio costruisce con i lavori una relazione simbiotica, amplificando le opere in mostra: la Galleria Fuoricampo diventa luogo centrale e generativo di confronti e riflessioni tra tutti gli artisti invitati; l’Orto Botanico, con l’intervento di Baboci è simbolo di rigenerazione e connessione con la natura; con l’intervento di Viviani, l’Accademia dei Fisiocritici, museo di storia naturale fondato nel 1816, diviene un ponte tra il passato scientifico e le desiderabili prospettive di vita futura.

GAA: Ci sono delle comunanze o lontananze artistiche e intellettuali che legano gli artisti in esposizione?

GP: Gli artisti invitati condividono una visione comune di cura e interdipendenza tra specie, ma ciascuno esplora questi temi attraverso differenti linguaggi e sensibilità. Il principale punto di contatto tra le pratiche risiede nell’impegno verso la costruzione di un futuro differente e nella sfida alle visioni antropocentriche e di dominazione che caratterizzano il presente. Tuttavia, ci sono anche delle differenze significative nei loro approcci. Alcuni adottano una prospettiva più direttamente ecologica e naturalistica, mentre altri esplorano le dimensioni emotive e relazionali della cura. Altri ancora propongono visioni più concettuali e speculative, sfidando le convenzioni e invitando a immaginare nuovi paradigmi di coesistenza.

GAA: E per quel che riguarda le opere?

GP: Le opere esposte si rifanno anche indirettamente a varie riflessioni, ad esempio alcune propongono un decentramento dell’umanità e un’inclusione di altre forme di vita, un concetto caro alla filosofia post-umanista, risuonando con il pensiero di Rosi Braidotti sulla soggettività post-umana. Altro aspetto, quello dell’interdipendenza tra esseri umani e non umani, riconducibile alle teorie di Donna Haraway, sulle “ecologie di coabitazione” e dei “mondi che si compongono insieme”, incoraggiando una lettura delle relazioni interspecie come intricate e interconnesse. E ancora altre pratiche si legano al pensiero di Manuela Macelloni sugli animali, e più precisamente all’analisi della figura del cane. La cura dell’ambiente come forma di auto-cura per l’umanità, si ispira invece al pensiero di Bernard Stiegler e al suo “pensare come curare”. Nell’epoca dell’Antropocene e delle accelerazioni imposte dal digitale, Stiegler propone un pensiero che sia anche pensiero della cura. Le differenti metodologie e tematiche trattate offrono una varietà di prospettive di discussione. Sowing the seed of care è una mostra ricca di opere, contrasti e dialoghi, ma afferma un sentire comune ovvero il bisogno di cambiare rotta, il bisogno di utopia: senza, il mondo è invivibile, in tutti i sensi.

Installation view – Galleria FuoriCampo ©photoElaBialkowskaOKNOstudio
Bora Baboci e Ambra Viviani -Galleria FuoriCampo ©photoElaBialkowskaOKNOstudio