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Sin Wai Kin. Dreaming the End | Fondazione Memmo, Roma

Dreaming the End è il titolo della prima personale in Italia di Sin Wai Kin (Toronto, Canada, 1991), con la curatela di Alessio Antoniolli, direttore di Gasworks e Triangle Network, che con questa mostra debutta in Italia inaugurando un nuovo corso per la Fondazione Memmo.“Cerco di disfare binarismi e categorie, che vedo come piuttosto arbitrari, […]

Sin Wai Kin, Dreaming the End, 2023, Still – Fondazione Memmo, Roma.
Sin Wai Kin, Dreaming the End, 2023, Still – Fondazione Memmo, Roma.

Dreaming the End è il titolo della prima personale in Italia di Sin Wai Kin (Toronto, Canada, 1991), con la curatela di Alessio Antoniolli, direttore di Gasworks e Triangle Network, che con questa mostra debutta in Italia inaugurando un nuovo corso per la Fondazione Memmo.
“Cerco di disfare binarismi e categorie, che vedo come piuttosto arbitrari, e che sono stati creati nel corso della storia da vari sistemi di potere. Voglio smantellare queste categorizzazioni e dissolverne i confini, come modo per sfidare i poteri che le hanno create e immaginare qualcosa di diverso” [Sin Wai Kin, intervista con il curatore Alessio Antoniolli, contenuta nel catalogo della mostra, Tau Editrice, 2023].
Attraverso l’impiego di mezzi espressivi disparati – video, performance, installazione – Sin Wai Kin forza costantemente il confine tra realtà e finzione ingenerando una sovra-realtà ossessiva e onirica in cui le categorie identitarie perdono una loro univoca familiarità per ritrovarsi stravolte e messe in discussione, dove nulla è chiaramente definito, dove nascere e morire oscillano in un flusso costante. Centro nevralgico del progetto per la Fondazione Memmo è senza dubbio il film inedito Dreaming the End, concepito per la mostra e interamente girato a Roma – tra gli interni di Palazzo Ruspoli, i giardini di Villa Medici e gli spazi del Palazzo della Civiltà Italiana; Dreaming the End si articola attraverso un ritmo narrativo niente affatto sincopato, bensì fluido e inesorabilmente proiettato a tornare su sé stesso: “Everytime the story is embodied it changes a little”, il narratore e lo spettatore sono posti sullo stesso piano, il loro ruolo si interseca fino a divenire intercambiabile, attraverso la generazione di un’atmosfera straniante, per sfruttare al meglio il processo di circolarità e ciclicità della storia che, nei suoi minimi slittamenti di senso, si rinnova nella percezione e nello sguardo di chi si accinge ad ascoltarne la narrazione/fruirne il racconto. Se l’estetica pulp – quella delle affiches poste nell’ingresso dello spazio ad annunciare la proiezione ma anche quella dei trucchi di scena e delle cromie scelte per la fotografia del film – possiede un coefficiente di importanza decisivo nell’orchestrazione delle scene, è allo stesso tempo possibile rintracciare in essa una valenza narrativa e concettuale molto forti: nelle riprese, molto spesso in soggettiva, i personaggi (tutti performati da Sin Wai Kin) subiscono cambi repentini di scena, sovrapposizioni e ripetizioni ossessive delle battute che diventano pattern sonori attraverso cui i ruoli stessi acquisiscono uno spessore psicologico, una rotondità dei caratteri che in poche battute condensano gli elementi fondanti dello storytelling del film.

Installation views “Dreaming the End”, Sin Wai Kin at Fondazione Memmo 2023. Courtesy the artist and Fondazione Memmo, photo Daniele Molajoli
Installation views “Dreaming the End”, Sin Wai Kin at Fondazione Memmo 2023. Courtesy the artist and Fondazione Memmo, photo Daniele Molajoli
Installation views “Dreaming the End”, Sin Wai Kin at Fondazione Memmo 2023. Courtesy the artist and Fondazione Memmo, photo Daniele Molajoli

“name, name, name, name, name, name, name, name”: chi dà un nome? chi definisce univocamente un’identità? “And how do you decide what to do with your body once you are…once you are…once you are one, you are two, and one is not enough, but two is too many”: nell’articolazione del linguaggio – Sin Wai Kin in questo passaggio del film pronuncia, scandendole, vocali e consonanti, quasi a volersi porre in ascolto della propria voce – il personaggio afferma il proprio sé, e nello stesso momento in cui prende coscienza del linguaggio, prende coscienza del corpo, un corpo mutevole che si rapporta ai cambiamenti attraverso un linguaggio incarnato.
La narrazione e la pratica dello storytelling divengono così il principale strumento posseduto dall’essere umano per comprendere sé stesso e il mondo, insieme alla relazione con il proprio corpo. Forse non è un caso, dunque, che l’incontro nei giardini di Villa Medici con l’erma di Giano Bifronte, il dio della soglia, sottintenda un confronto ravvicinato col sé che scivola in una spirale vertiginosa a sospendere lo spazio e il tempo per catapultarci ancora una volta a contatto con un sé rinato.
Oltre al film, busti e parrucche di scena sono stati collocati in una delle sale della Fondazione insieme a una serie di salviette struccanti – incorniciate come fossero delle sacre icone, dipinti contenenti paesaggi e cosmogonie di un’identità che cambia – con le tracce del make-up dei diversi personaggi interpretati da Sin Wai Kin; gli oggetti si fronteggiano e instaurano un dialogo tra di loro e con lo spazio.
Dreaming the End sviluppa perciò una dinamica corale che si ritrova, per perdersi di nuovo senza soluzioni di continuità, nella spirale del racconto, puntualmente contemporaneo per scelte e approccio, piegando il mezzo filmico a una narrazione non egemonica e, per questo stesso motivo, felicemente riuscita. 

Sin Wai Kin, Dreaming the End, 2023, Still – Fondazione Memmo, Roma.
Sin Wai Kin, Dreaming the End, 2023, Still – Fondazione Memmo, Roma
Installation views “Dreaming the End”, Sin Wai Kin at Fondazione Memmo 2023. Courtesy the artist and Fondazione Memmo, photo Daniele Molajoli
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