


E’ inaugurata da pochi giorni, al Nouveau Musée National de Monaco – Villa Paloma, La sirena di 165 metri e altre storie, un’importante mostra, a cura di Célia Bernasconi, che mette insieme una ventina tra installazioni, film, sculture e fotografie realizzate negli ultimi trent’anni da Shimabuku. Il titolo della mostra trae spunto dalla leggenda medievale giapponese scoperta da Shimabuku a Fukuoka – dove si narra siano state custodite le reliquie di una sirena lunga 165 metri – per aprirsi ad accogliere altre storie. Sviluppandosi alla maniera di un poema epico, e di un racconto collettaneo, la mostra prende avvio ripercorrendo le avventure dell’artista partito alla volta del natio Giappone per giungere nel Principato di Monaco, dopo aver attraversato il Brasile, l’Australia e molti altri paesi.
Il viaggio, l’alterità, l’aleatorietà e il caso divengono per Shimabuku metafore estetiche e parametri performativi attraverso cui si assiste all’inveramento del suo personale approccio all’arte e alla vita, da un punto di vista partecipato, corale, e memore delle tracce esistenziali che hanno guidato l’artista. Come emerge dal testo della Direttrice del Crédac Claire Le Restif – edito in occasione del catalogo co-pubblicato da NMNM e da Manuel Raeder (Bom Dia Books) – “Poiché è cresciuto in Giappone, lo scintoismo deve essere considerato come parte di lui. Questo insieme di credenze, che risale alla storia antica del Giappone, è talvolta riconosciuto come una religione che mescola elementi politeistici e animistici. […] Per Shimabuku una pietra, un ramo o un mattone rosso di Ivry possiede forza vitale. […] Per Shimabuku è il gesto che conta, come erigere semplicemente una pietra o un ramo come scultura”.
Le azioni di Shimabuku, accompagnate da una profonda tessitura narrativa, associano liberamente land art, performance, musica e cucina, dando compiutamente vita una dinamica relazionale in cui si affrontano i temi legati all’alterità, visti da una rinnovata prospettiva, sia individuale che collettiva, nutrita di azioni poetico-filosofiche che si relazionano profondamente con l’idea di cura.
Dalle opere ideate nella regione di Kobe, suo luogo di nascita, alle installazioni realizzate a Monaco, Shimabuku dimostra, come spesso accade nei suoi interventi, un’attenzione profonda per il contesto: attraverso l’appropriazione di elementi provenienti dalla cultura popolare e dal paesaggio, le azioni di Shimabuku combinano performance, musica, cucina.



L’installazione Sto viaggiando con una sirena di 165 metri (1998 – in corso), acquisita dal Nouveau Musée National de Monaco, costituisce il punto d’avvio dell’intera mostra; vero e proprio palinsesto in progress, l’opera si è progressivamente arricchita di nuovi oggetti fatti realizzare da artigiani monegaschi chiamati dall’artista a intervenire all’interno di questa narrazione, facendola propria.
Componendosi di una targa smaltata prodotta a Sidney nel 1999, di una stampa su PVC prodotta a Marsiglia nel 1999, di 3 stampe c-print su cartone, di un insieme di 12 fotogrammi e 2 stampe su carta, di un intarsio, di un monogramma monotipo, di un ricamo, di una calligrafia su carta, di un uovo in cioccolato prodotto su disegno dell’artista, di un video della performance Dormire con una sirena di 165 metri e, infine, di una bobina di 165 metri di corda – una corda che l’artista ha portato con sè in giro per il mondo – l’installazione nasce dall’esigenza di nutrire il racconto leggendario di un sostrato ulteriore che consenta al mito di infondersi di realtà nel contatto ravvicinato con le maestranze chiamate a intervenire nella messa in opera.
Come recita una parte del testo scritto dall’artista in occasione della Biennale di Sidney del 1998 “nel corso del viaggio ho chiesto ad altre persone di realizzare lavori ispirati a lei, in modo da espandere e arricchire la sua leggenda. Per sentirmi più vicino alla sirena, ho comprato una corda di 165 metri”.
“Shimabuku lavora su una descrizione poetica dello spazio dell’Antropocene”, dice Bourriaud, “ridefinisce i parametri filosofici del ruolo dell’artista, inventa una sorta di totemismo sperimentale, ma tutto ciò mentre cammina. Parla con i polpi, organizza incontri tra le specie, fa vivere sperimenti a vegetali e macachi. […] Quello che ci dice l’opera di Shimabuku èche l’alienazione contemporanea deriva dalla nostra mancanza di familiarità con il vivente, da questa separazione originaria che la colonizzazione occidentale ha esportato in tutto il mondo. Inserendosi tra regni o sfere tenute separate dai nostri modi di pensare alienati, ricostituisce i legami che sono stati recisi, affermando così l’unità dell’ambiente in cui evolviamo. Dobbiamo reimparare fuori”.





