Una sfera sfocata sta in sospensione nella parte superiore dell’immagine. Anche il cielo partecipa alla sua sfocatura. Il globo ha un ruolo principale, visto è in primo piano, ma il soggetto a fuoco è una statua marmorea, che si staglia sul fondale degli alberi presenti sullo sfondo. La statua pare un Atlante-Sisifo, col capo chino. Procede verso qualcosa o un altrove, che non è più il fine del suo mito. Non reggerà ancora le sorti del mondo e nemmeno continuerà a portare sulla cima del monte il suo “blocco” di pietra. Ora la sfera si regge da sola in sospensione nello spaziotempo. Ma in quella separazione tra mito e mondo, qualcosa è andato perduto. Inoltre qualcosa vibra nel rapporto dimensionale tra il vicino e il lontano percepiti frontalmente da uno sguardo esterno all’immagine. Noi fruitori guardiamo i due soggetti contenuti nella fotografia come se fossero una unità inscindibile, nonostante abbiamo la certezza che sono distanti l’uno dall’altra. La statua sta in secondo piano, mentre la sfera è davanti al nostro osservare l’insieme.
Mi sembra un’immagine che porta un po’ più in là, verso le metafore del nostro tempo, la tradizione indagata da Magritte, per esempio in Les valeurs personelles (1952), dove oggetti fuori scala sono posti all’interno di una stanza tappezzata di nuvole. La sfocatura rende visibile qualcosa che forse i nostri occhi non riescono a vedere quando guardano i fenomeni del mondo. Forse è una traccia dei mescolamenti molecolari nella realtà, spazi in cui sono presenti percentuali di tempo e di energia. Rappresenta un’altra configurazione, contenuta dentro il resto dell’immagine che è a fuoco. Una visione sfocata del mondo può innescare un’energia che è in grado di generare un altro spaziotempo.
In L’origine del tempo, Carlo Rovelli scrive: «[…] un tempo viene determinato semplicemente da una sfocatura. Boltzmann ha capito che il comportamento del calore viene compreso nei termini di una sfocatura: dal fatto che dentro un bicchiere d’acqua esiste un mare di variabili microscopiche che non vediamo. Il numero di possibili configurazioni microscopiche dell’acqua è l’entropia. Ma è vero anche qualcosa di più: la sfocatura stessa determina una variabile particolare, il tempo».¹
Rovelli si riferisce al tempo termico² , uno dei diversi tempi individuati dalla fisica quantistica. Non so se sia corretto trasferire i passaggi scritti dallo scienziato nella sfocatura presente nella fotografia di Pino Musi, ma qualcosa sembra vibrare in consonanza. Ci sono configurazioni microscopiche ed entropia anche nella zona sfocata della fotografia?
Sul piano artistico mi sembra interessante considerare le zone sfocate come dimensioni in cui esistono altri tempi. Quale posizione hanno le molecole della realtà nelle parti a fuoco della fotografia e quale struttura hanno invece le zone sfocate? Nell’immagine di Pino Musi pare che siano stati fissati due eventi diversi, attraverso il dispositivo della macchina fotografica e tramite un’intuizione metafisica. Forse dovremmo osservare più attentamente anche l’interazione fra le due possibilità contenute nell’immagine, ovvero tra le zone sfocate e quelle a fuoco. E l’interazione fra le due parti fa pensare che vi possano essere presenti effetti derivati da tempi diversi contenuti nell’immagine, ovvero che nelle zone sfocate vi siano presenze microscopiche soggette all’azione di un altro tempo (forse qualcosa di simile a quello termico o a quello quantistico), diverso rispetto a quello che pensiamo di vivere nel nostro universo reale. Come possiamo misurare quei due tempi diversi attraverso i nostri sensi limitati? Come dobbiamo rapportarci dunque con le sfocature che la fotografia ci ha reso visibili?
Rovelli scrive che «l’indeterminazione quantistica intrinseca nelle cose produce una sfocatura, come la sfocatura di Boltzmann, la quale fa sì che – contrariamente a quanto sembrava indicare la fisica classica – l’imprevedibilità nel mondo resterebbe anche se potessimo misurare ora tutto il misurabile. Entrambe le sorgenti di sfocatura – quella dovuta al fatto che i sistemi fisici sono composti di zilioni di molecole, e quella dovuta all’indeterminazione quantistica – sono al cuore del tempo. La temporalità è legata profondamente alla sfocatura. La sfocatura è il fatto che siamo ignoranti dei dettagli microscopici del mondo».
Come dobbiamo rapportarci dunque con l’indeterminazione presente nella sfera sfocata?
Nella fotografia di Musi convivono allora il tempo della sfocatura e quello che l’autore pensava di vivere o vedere mentre stava scattando la sua versione della porzione di mondo. Osserviamo le cose della realtà dall’interno del nostro corpo, interagiamo con le innumerevoli variabili dell’universo. Perlopiù misuriamo l’entropia che sta tra due o più punti di ciò che desideriamo conoscere o sapere.
Nel romanzo fantascientifico Le Théâtre quantique, la protagonista riesce a vedere direttamente, per pochi istanti, il tutto che sta oltre il tempo, la sua finitezza spaziotemporale, per poi ritornare di nuovo nella consuetudine dello scorrere in divenire: «Questa emergenza del tempo mi è sembrata come un’intrusione, una sorgente di confusione mentale, di angoscia, di paura, di dissociazione».
Forse è proprio questa intrusione il soggetto fantasma dell’immagine, il mistero che sta tra la statua in secondo piano e la sfera sfocata.
¹ Carlo Rovelli, L’origine del tempo, Milano 2017, p. 119.
² Il tempo termico è connaturato alla termodinamica e non dobbiamo considerarlo simile al tempo della nostra esperienza perché è senza orientazione, ovvero non è legato al flusso tra passato e futuro. Ma in forma astratta può essere interessante immaginare un tempo simile a quello termico contenuto dentro le zone sfocate di una fotografia.