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Gli open days di Scuola Piccola Zattere | Intervista a Irene Calderoni 

“La nostra idea è stata quella di concepire un’istituzione al servizio del contesto, che crei connessioni profonde e durature tra la dimensione locale e quella internazionale, offrendo allə operatorə culturali una piattaforma in cui apprendimento e creazione si sostengano reciprocamente.” Irene Calderoni

Victoria Mikhelson descrive con queste parole Scuola Piccola Zattere, nuovo spazio non profit per la ricerca e la formazione continua nel campo delle arti contemporanee, sorto a Venezia nel sestiere di Dorsoduro. Lo spazio adotta una metodologia in fieri, multidisciplinare e circolare: esposizioni, performance, laboratori, seminari e workshop si intrecciano per favorire la produzione e la ricerca. Un progetto che parla alla città di Venezia e che si pone in ascolto della stessa: rivolto in prima battuta ai giovani artisti e agli studenti che la vivono, lo spazio si apre alle ricerche di operatori culturali provenienti da tutto il mondo, al fine di creare sinergie e occasioni di confronto. Con gli open days del 22 e del 23 novembre scorso, la scuola ha dato avvio al suo primo “anno accademico” con One Year Score: primo movimento: ne abbiamo parlato con Irene Calderoni, curatrice e direttrice artistica del progetto. 

Veronica Pillon: ll 22 e il 23 novembre Scuola Piccola Zattere ha presentato il proprio programma culturale: un nuovo spazio a Venezia dedicato a ricerca e formazione nell’ambito delle arti contemporanee. Com’è nata l’idea dello spazio e qual è la mission che lo contraddistingue?

Irene Calderoni: Il nucleo centrale del progetto è il tentativo di dar vita ad un’istituzione artistica che offra insieme ricerca, esposizione, produzione e formazione in modo che le varie componenti siano fra loro integrate, siano poste in dialogo e che si supportino vicendevolmente. Un’idea di un museo, scuola d’arte, spazio di ricerca per le giovani generazioni di artisti. Il concetto è in realtà aperto a diversi ambiti, dalle arti visive alle arti performative, ricerca curatoriale o architettonica, in un campo allargato. Le arti sono intese in senso interdisciplinare e ricerca, esposizione, produzione e formazione rappresentano il nucleo centrale di questo luogo.

VP: Scuola Piccola Zattere si colloca nel sestiere di Dorsoduro, a Palazzo delle Zattere: qual è il legame che intercorre tra lo spazio e la città di Venezia?

IC: Venezia è l’ispirazione per questo luogo che nasce in città, capitale del contemporaneo e fabbrica di mostre. Venezia è anche un centro di formazione artistica, con eccellenze in campo universitario, dallo IUAV all’Accademia di belle arti, luogo di formazione per moltissimi giovani nell’ambito delle arti visive e dell’architettura. Venezia è quindi un centro, da un lato dell’esposizione e della ricerca – si pensi al modello Biennale, istituzione multidisciplinare – dall’altro centro di formazione per giovani. L’idea è quella di creare uno spazio che possa creare sinergia tra questi due poli, una relazione organica tra esposizione e formazione. Uno spazio non solo per guardare l’arte ma uno spazio in cui formarsi, riflettere e sperimentare. 

VP: A cosa si riferisce la scelta di denominare lo spazio “Scuola Piccola”?

IC: L’idea di scuola, la parola scuola, ha origine nell’istituzione “venezianissima” della Scuola Piccola: istituto civico che risale all’epoca medievale e che ha avuto il suo picco in epoca rinascimentale. Oggi la conosciamo soprattutto per il lascito monumentale e storico-artistico delle “Scuole Grandi” ma l’origine delle scuole è da ricercare nella scuola piccola, intesa come un’associazione di cittadini, spesso priva di un luogo fisico di ritrovo. L’ispirazione nasce quindi dal tessuto urbano e dall’idea di città e di cittadinanza, e dall’idea di un’istituzione che non si fonda sullo spazio ma sulle persone. Il rapporto tra spazio e corpo è alla base di questa istituzione e del percorso di ricerca. L’idea di “Scuola Piccola” è quindi un tributo alla storia della città di Venezia, in relazione al percorso pedagogico che esiste ma che è al contempo conseguenza di una dinamica collettiva, dell’incontro in uno spazio comunitario che contribuisce al percorso formativo e alla sfera pedagogica. La scuola è l’esito di questo percorso, ha a che fare con la dimensione collettiva più che alla didattica in sé. 
Un’altra dimensione che mi interessava esplorare è quella della scala: l’idea della scuola piccola che contrasta con la dimensione monumentale e celebrata delle scuole grandi risulta a misura di relazione, il piccolo diventa veicolo di un rapporto tra le persone più funzionale, anche dal punto di vista pedagogico, modello sperimentale dello stare insieme. La scuola piccola diventa uno strumento per esplorare le dinamiche della socialità. 

Scuola Piccola Zattere © Louis De Belle

VP: L’idea della scala si traduce anche nell’intervento architettonico del palazzo ad opera di Fosbury Architecture?

IC: Assolutamente. Il pensiero sugli spazi diventa funzionale a questa sperimentazione del piccolo gruppo, del formato laboratoriale e delle modalità d’incontro. Con i progettisti abbiamo messo in gioco questa idea di spazio performativo che si muove ed è flessibile in relazione alle modalità con cui i corpi stanno insieme. Nessuno spazio monumentale che crei distacco tra stage e pubblico ma uno spazio d’incontro, dell’azione e dell’ascolto in nome della partecipazione. Questa idea guida il progetto architettonico così come la necessità di adattare gli ambienti ad una dimensione laboratoriale, legata al lavoro: è il caso, ad esempio, dello studio d’artista o degli spazi per seminari. 

VP: A partire da questa riflessione sulla modalità relazionale, di incontro e ascolto, si è deciso di denominare l’inaugurazione della scuola “open days”?

IC: Gli open days richiamano ancora una volta il lessico accademico: si voleva evitare il classico opening che metteva in luce esclusivamente  la dimensione espositiva che non ci contraddistingue. Noi tra le altre cose inauguriamo una mostra ma non è l’unico tempo o gerarchicamente superiore alle altre componenti del progetto. Il termine è strumentale a mettere in orizzontale tutte le dimensioni, non è solo l’opening di una mostra ma è il racconto di un progetto formativo, delle metodologie, dei nostri tutor che altro non sono che gli artisti in mostra. C’è un intreccio tra l’esposizione e le altre componenti del programma – workshop, fellowship e talks – in una circolarità di formati e pratiche. Un’opera in mostra può essere punto di partenza per un workshop: la mostra non è gerarchicamente superiore ma è al servizio di altri formati e in dialogo. Gli open days rappresentano quindi le porte aperte, un’ occasione per farci conoscere e raccontare quello che faremo.

VP: Il programma inaugura con One Year Score: primo movimento : non solo un’esposizione collettiva ma un ricco palinsesto di talks ed eventi performativi. Chi sono gli artisti coinvolti e quali sono le tematiche esplorate? 

IC: One Year Score indica una cornice temporale espansa, quasi un anno accademico. L’anno è una misura che richiama il periodo scolastico ma è anche un prologo, un primo passo che fa prevedere l’avvio di un percorso, quasi appropriandosi della terminologia musicale e coreografica. La partitura ha sempre una relazione aperta con la dimensione performativa, del movimento dei corpi in una dimensione circolare tra la partitura dell’azione e l’azione stessa, influenzando la scrittura dello score. Questa circolarità e l’andare per tentativi individua la metodologia adottata, in fieri e in ascolto. Gli artisti coinvolti hanno un interesse nelle loro pratiche di indagare la relazione tra spazio, corpo, architettura e dimensione performativa, unitamente all’attenzione all’aspetto educativo inteso come componente della loro pratica. Per fare un esempio, Andrea Canepa – prima artista in residenza – ha ricevuto la committenza di un’opera site-specific per inaugurare lo spazio. Un’artista che indaga la relazione tra corpo e oggetto in una dimensione coreografica, indagando come il corpo abita lo spazio e come l’oggetto definisca la relazione tra corpo-spazio-altri corpi. Allo stesso tempo è interessata alla pedagogia dell’infanzia e all’educazione, come si iscrive all’interno dello spazio e degli oggetti. 
La ricerca degli artisti si è quindi configurata in tal senso e per quest’anno di lavoro i temi ricorrenti saranno questi, anche nelle fellowship presentate in occasione degli open days. L’idea è quella di porre in dialogo persone che abbiano dei punti in comune, degli ambiti di interesse in comune. Nei prossimi anni esploreremo altri temi, senza definire a priori le dimensioni della ricerca, ma lasceremo che sia il percorso a suscitare dei filoni e delle tematiche da esplorare.

Scuola Piccola Zattere © Giacomo Bianco

VP: Quali sono i formati dei programmi e le proposte che Scuola Piccola Zattere offrirà alla città nel corso dell’anno? 

IC: I workshop degli artisti e delle artiste in mostra definiranno la programmazione di questi primi mesi. Ai partecipanti alla mostra è stato chiesto di progettare un’esperienza formativa collegata: si pensi ad esempio a Ludovica Carbotta, che realizza un’installazione formata da diversi elementi a comporre un padiglione europeo ideale che riflette simbolicamente sui temi di diritti, mobilità e cittadinanza. E’ un’installazione che si lega a percorsi di incontri e workshop a cui partecipano esperti di diversi discipline e partecipanti selezionati tramite bando. Nel corso del workshop ci sarà un’occasione di confronto e di produzione di materiali legati al progetto di ricerca dell’artista, sviluppandola ulteriormente. Fondamentale quindi la relazione tra esperienza formativa e pratica artistica. 
Altro lato del programma della scuola è il public program composto da incontri e performance, alimentando ulteriormente i programmi di ricerca. Gli artisti e i fellow sono quindi coinvolti nella programmazione di questa parte di attività del calendario della scuola con l’obiettivo di creare una sinergia tra lo sviluppo della pratica individuale e la messa in comune con altri partecipanti ed esterni.
Le residenze saranno strutturate in residenze di produzione, come quella frequentata da Andrea Canepa, e su invito da parte dell’istituzione sulla base delle ricerche artistiche coerenti con i temi esplorati, e le fellowship, alcune ad invito, altre ad open call. Le fellowship saranno in parte dedicate a chi opera a Venezia e a chi opera in Italia e all’estero. L’idea è sempre quella di una messa in comune, di sinergia e relazione. 
L’”anno accademico” avrà un punto di partenza e un punto d’arrivo che si tradurrà in due momenti espositivi, che rappresenteranno il punto di inizio e la restituzione di un percorso di ricerca. Il programma inizia in corrispondenza della chiusura della Biennale arte e la mostra successiva inizierà con Biennale architettura, seguendo il corso del calendario espositivo della città.

Scuola Piccola Zattere
Dorsoduro 1401, Venezia 

Programma 
One year score: primo movimento 
Artisti coinvolti: Ludovica Carbotta, Tomaso De Luca, Reto Pulfer, Maryam Hoseini, Anna Witt e Agnieszka Mastalerz

Residenze
Prima residenza, da novembre 2024 a febbraio 2025: Andrea Canepa

Seconda residenza, da febbraio a maggio 2025: Gaëlle Choisne

Da novembre 2024 a maggio 2025
Edoardo Lazzari

Da gennaio ad aprile 2025
Diana Anselmo

Scuola Piccola Zattere © Louis De Belle
Agnieszka Mastalerz, no mental scars, no nursed grudges, 2022, Film still. Courtesy of the artist and eastcontemporary
Tomaso De Luca, A week’s notice, 2020, film still. Courtesy of the artist
Andrea Canepa, An interior motion, 2022, Film still. Courtesy of the artist