ATP DIARY

Intervista a Bianca Schröder e Pietro Consolandi | Traffic festival – San Lorenzo in Campo 

TRAFFIC – Festival delle anime gentili è un festival di arte contemporanea, performance e teatro alla sua prima edizione a San Lorenzo in Campo, in provincia di Pesaro e Urbino. Il Festival si svolge dal 7 al 9 Settembre ed è ospitato nel Teatro M. Tiberini, ex Chiesa di San Francesco. Gli artisti invitati da […]

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TRAFFIC – Festival delle anime gentili è un festival di arte contemporanea, performance e teatro alla sua prima edizione a San Lorenzo in Campo, in provincia di Pesaro e Urbino. Il Festival si svolge dal 7 al 9 Settembre ed è ospitato nel Teatro M. Tiberini, ex Chiesa di San Francesco. Gli artisti invitati da Pietro Consolandi e Bianca R. Schröder, i due curatori dell’iniziativa, sono: Giuseppe Abate , Vika Adutova,  Andrea Barbagallo,  Majid Bita,  Paolo Bufalini, Filippo Cecconi, Ilaria Fasoli, Tommaso Gatti,  Giacomo Gerboni,  Espen Iden, Espen Kvålsvoll,  Eleonora Luccarini e Sathyan Rizzo, Valgerður Ýr Magnúsdóttir,  Filippo Marzocchi,  Elena Mazzi, Magnus Myrtveit, Mattia Pajè, Leonardo Pellicanò, Ionut Popa, Nuvola Ravera, Andrea Rizzo, Paolo Sallier de la Tour,  Davide Sgambaro e Lisa Perrucci,  M Reme Silvestre,  g. olmo stuppia,  Øyvind Sørfjordmo, Mia D. Suppiej e Agata Torelli.

Mattia Solari ha intervistato i due curatori —

ATP Diary: Come nasce l’idea di un festival di arti contemporanee in un piccolo paese nella campagna marchigiana?

Bianca Schröder: Ho un legame affettivo con il luogo; mi sono trasferita qui circa dieci anni fa, e questo è il primo luogo che mi ha accolta. All’opposto, per via degli studi mi sono ritrovata a vivere e vedere mostre ed eventi artistici in grandi città. Il fatto che queste mostre abbiano luogo in grandi centri di solito porta con sé l’assunto della qualità, quindi l’idea e l’intenzione di creare un festival artistico in un paese di poco più di 3000 anime risponde alla necessità di riportare l’attenzione verso i margini, verso realtà periferiche, raramente coinvolte e toccate dal dibattito contemporaneo. È dare la possibilità di far succedere cose potenzialmente interessanti anche qui.

Pietro Consolandi: C’è da notare comunque anche una sorta di deferenza da parte dei laurentini; un sentimento di marginalità che inesorabilmente si sente quando si vive in piccoli centri, quasi un senso di secondarietà rispetto le persone che vivono in città. L’iniziativa vuol far passare in secondo piano questo sentimento: far sentire le persone del luogo non meno acculturate di coloro che hanno la possibilità di vedere mostre o andare a teatro ogni sera. Abbiamo costituito questo festival con l’intento di attivarsi e di scoprire nuove proposte.
Le persone di qui non devono sentirsi escluse da un certo tipo di cultura perché è una cosa lontana, scomoda o astrusa; Traffic è un tentativo di sopperire e includere nel dibattito anche i luoghi tralasciati. Anche il sindaco Davide Dellonti ha fortemente appoggiato il festival per gli stessi motivi.

ATP: Puoi spiegarci meglio il titolo Traffic – festival delle anime gentili? A chi si rivolge la vostra iniziativa?

BS: Traffic mi è venuto in mente perché, concretamente, una delle cose da realizzare è lo spostamento fisico di un sacco di persone. Per il festival arriveranno qui una trentina di artisti, oltre ad altri professionisti dell’arte che creeranno un dialogo complessivo fra di loro ma anche, si spera, con la cittadinanza. Perciò l’idea è di creare un “traffico” verso San Lorenzo in Campo da altri centri. Quest’idea di movimento però non volevo fosse solo fisica, ma anche traslarla su un piano mentale: è anche un richiamo a trafficare e scambiare le nostre idee, una democrazia del pensiero, un mettersi nei panni altrui.

PC: La seconda parte del titolo è invece una predisposizione al dialogo: la gentilezza è un attributo che favorisce l’apertura allo scambio con l’altro. Sarà anche interessante vedere gli artisti approcciare uno scambio con un contesto non molto abituato all’arte contemporanea, per entrambi sarà un’esperienza nuova. La chiave di fruizione complessiva del festival è la disponibilità, vogliamo suggerire di star a sentire la controparte. Sappiamo che esistono le diversità, non vanno nascoste ma comprese, e forse una predisposizione emotiva gentile può essere una chiave per la comprensione dell’altro.

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ATP: Quali interventi artistici saranno realizzati e come sono stati selezionati gli artisti per la mostra “Ah sì tu io noi (che parte io sarò del re salmone?)”?

PC: L’approccio che ci è sembrato più coerente era selezionare alcuni interventi che aprissero un dialogo con le persone, di avviare un discorso inclusivo. Il titolo della mostra “Ah sì tu io noi (che parte io sarò del re salmone?)” è un verso da una poesia di Claudio Costa, poeta e artista Fluxus degli anni Settanta. Nella sua poetica esistenzialista arte e poesia sono complementari, e sono attività che aiutano a comprendere il mondo. Il titolo fa inoltre riferimento alla difficoltà di relazionarsi col mondo e con gli altri. Questo è un quesito che gli artisti si pongono spesso, interrogandosi sul senso della loro pratica e sul significato che le loro opere possono assumere davanti allo sguardo altrui.
Gli interventi artistici che presenteremo hanno a che fare con questo, come relazionarsi col mondo e attraverso quali modi condividere una visione. Anche i workshop stessi, ad esempio, sono giocosi e pensati per creare un contatto fra i bambini che parteciperanno e gli artisti invitati.

BS: Abbiamo scelto di accomunare nella mostra artisti con ricerche e direzioni eterogenee dal punto di vista tecnico e concettuale. Il senso di riunirli, nonostante le diversità, era anche quello di creare una mappatura, sebbene parziale, della partecipazione artistica dalle principali città italiane e di mostrare al pubblico possibilità davvero diverse di espressione artistica. Una cosa bella è che gli artisti hanno colto qui tante potenzialità di infiltrazione nelle vite altrui: per esempio, i manifesti del festival sono il lavoro di uno di essi e sono cinque conversazioni anonime sull’arte e sulla vita da leggere in strada; qualcun altro invece si sta attivando per far recapitare frasi precise a persone precise senza svelarne la fonte.

ATP: Il festival presenta anche una ricca sezione di proiezioni. Come le avete selezionate?

PC: Le proiezioni sono divise in due aree concettuali: la prima ha a che fare con la didattica, sono dei documentari sull’arte e su alcuni artisti, su come viene prodotta un’opera d’arte – l’idea è di mostrare come si crea, di mostrare quello che solitamente non si vede. Il film principale in quest’ottica è “Il paese dove gli alberi volano” su Eugenio Barba, che ha diretto per oltre 50 anni l’Odin Teatret in Danimarca, un’esperienza fra happening e performance ma ci saranno anche tre documentari che osservano la pratica artistica quando questa si fa pratica quotidiana.
La seconda parte presenta video d’artista sull’approccio alla diversità: un cortometraggio presenta la coesistenza a Gerusalemme fra religioni e culture, un altro ha che fare con una performer che usa il proprio corpo e un trapezio per misurare l’orizzonte di diversi luoghi della sua vita, uno sui diversi ritmi di vita di generazioni diverse, mentre il film principale è “Archipelago” di Giulio Squillacciotti e Camilla Insom, un’opera che tenta di comprendere alcune tradizioni esoteriche in Iran. Quindi lo scopo di questa serie di proiezioni è di portare l’alterità a San Lorenzo, sia come tipo di format sia come contenuti.

ATP: Che tipo di risposta vi aspettate dal pubblico?

BS.: Il fatto è che questo pubblico è potenzialmente composto da chiunque, perciò da persone diverse che reagiranno in maniera differente. In più, gli eventi proposti hanno format diversi: tra spettacoli teatrali, performance, installazioni e workshop forse qualcuno è già naturalmente propenso verso una di queste cose, ma questi tre giorni mostrano come di sensibilità e di risposte ce ne siano tante, anche quando molto diverse tra loro.
Tuttavia, se questo festival è stato pensato per qualcuno in particolare, è per la gente del posto. In un’ottica di osmosi culturale si tratta solo di cercare di innescare qualcosa laddove non c’è ancora o se c’è – come se ne parlerà in una conferenza dedicata ad alcune realtà marchigiane – con quale tipo di accorgimenti inseguono i loro intenti e quali sono le difficoltà di chi agisce in questo territorio da anni.
Se Maometto non va alla montagna si può comunque cercare di attuare il contrario, anche se rimane una scommessa persino per noi capire la reazione di chi si affaccia a quest’esperienza. Io vorrei afferrare l’interesse che può provenire da coloro che apparentemente non l’hanno, o che difficilmente hanno avuto la possibilità di svilupparlo, osservare il cortocircuito e i tipi di confronto che sorgeranno.

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