Tra le anteprime mondiali presentate nell’ambito del festival Lo Schermo dell’Arte di Firenze, sarà presentato Fuori dai Teatri (2021), l’ultima opera video di Rä di Martino. Dedicato alle origini del Piccolo Teatro di Pontedera e del CSRT – Centro per la Sperimentazione e la Ricerca Teatrale di Pontedera, il film d’artista ripercorre le tappe di un’esperienza straordinaria, nata negli anni Settanta nel piccolo contesto della cittadina in provincia di Pisa e divenuta emblema di un nuovo modo di intendere il teatro – aperto al pubblico e all’innovazione, comunitario e formativo, frutto della commistione di differenti linguaggi. Dopo un lungo lavoro di ricerca svolto sul materiale d’archivio del CSRT, immagini e testimonianze dei protagonisti, tenute insieme dalle voci degli attori Lino Musella e Anna Bellato, riaccendono la memoria individuale e collettiva di una narrazione ancora tutta da scoprire. Nell’intervista che segue, l’artista racconta gli sviluppi del suo lavoro.
Com’è nato Fuori dai Teatri? E perché proprio l’esperienza di Pontedera?
Il progetto è nato da una commissione e, in particolare, dalla volontà di Luca Dini, attuale Direttore del Centro per la Sperimentazione e la Ricerca Teatrale di Pontedera, di voler realizzare un’opera video, non un documentario, che raccontasse questa esperienza. L’intento, quindi, è stato quello di affidare l’esplorazione dell’archivio allo sguardo di un artista visivo, senza ricorrere necessariamente a una visione di tipo didascalico. Mi sono trovata, così, a confrontarmi con centinaia di fotografie, bobine e nastri: un repertorio che, dal 1975 a oggi, si manifesta attraverso la testimonianza dei 16 mm, dei Betamax, dei Betacam e dei MiniDV. È stata un po’ una sorpresa, perché, a seguito della digitalizzazione di tutto il materiale, soltanto dopo alcuni mesi sono venuta a conoscenza della sua reale consistenza. Poi, dall’archivio, ho deciso di prelevare soltanto le testimonianze che raccontassero della nascita del CSRT, risalente agli anni 1974-77. Mi sono concentrata, quindi, sulla nascita del primo gruppo di attori, che in realtà era costituito da non-attori, in quanto svolgevano lavori molto differenti – un po’ quello che succedeva in tutta Europa in quel periodo, con la formazione di realtà autogestite che a volte venivano supportate dai comuni. Col passare del tempo l’esperienza si è ingrandita, arrivando a conquistare tutto il mondo, soprattutto a seguito della fondazione del centro di ricerca.
Com’è stato addentrarsi nella storia di un luogo che ha del mitico? Quali sensazioni hai provato nel lavorare sull’archivio?
C’è sempre qualcosa di bello nell’andare alla scoperta di un archivio: è un po’ come andare alla ricerca di un tesoro nascosto. Allo stesso tempo, si prova una certa sofferenza nel constatarne l’inevitabile parzialità, soprattutto quando si vorrebbe trovare qualcosa in più. C’è da dire, però, che costituisce già un miracolo ritrovarsi davanti a dei video girati in pellicola, considerati i costi proibitivi dell’epoca e il tempo trascorso. Rispetto all’archivio del CSRT, fortunatamente abbiamo recuperato anche delle testimonianze dei primi anni: sono dei piccoli frammenti, simili a quando si prova a guardare dallo spioncino di una porta.
La memoria, aspetto che indaghi spesso nei tuoi lavori, ha più a che fare col presente, sebbene si configuri come un qualcosa di già passato. Qual è il tuo rapporto con essa?
L’aspetto interessante, connesso ai cinque fondatori che ho intervistato nel video – Roberto Bacci, Luca Dini, Dario Marconcini, Carla Pollastrelli e Maria Teresa Telara – è che tutti hanno dei ricordi abbastanza simili, ma che risultano, comunque, diversi, essendo vissuti in base alla propria esperienza. Mi piaceva, quindi, l’idea di provare a paragonare queste memorie – andando a recuperare il momento in cui si sono conosciuti, il primo viaggio che hanno intrapreso, ecc. – costruendo un racconto che, seppur colorato dalle sfumature di sentimenti personali, riesce comunque a trasmettere un qualcosa di universale. Questo, quindi, il mio intento: rendere universale la memoria collegata a una specifica esperienza. Le testimonianze degli intervistati sono state, inoltre, recitate da due attori, Lino Musella e Anna Bellato, ricorrendo alla tecnica verbatim, ossia ascoltando l’audio in cuffia e riproponendolo sincronicamente – una tecnica che ho già utilizzato in passato. Si assiste, così, a un ulteriore passaggio che si aggiunge a quello delle voci dei protagonisti, rappresentato dalla loro interpretazione, che, seppur fedele, costituisce comunque un qualcosa di personale. Il video consiste, dunque, in un tessuto recitato di interviste, combinato a immagini di repertorio prelevate dall’archivio.
Fuori dai Teatri, oltre a focalizzare la propria attenzione sull’esperienza teatrale in sé, si concentra, soprattutto, su ciò che questa ha comportato nel contesto di Pontedera e non solo. Quanto è importante sostenere l’operato di un settore che, in particolare in quest’ultimo anno e mezzo, ha passato, forse, il suo periodo più difficile?
Trovo buffo constatare che, una volta riaperti i teatri a seguito della pandemia, ci siano molte più persone felici di ritornarvi – è un qualcosa a cui non assistevo da tempo. Inoltre, noto una grande attrazione per gli eventi dal vivo, diretta conseguenza del periodo di chiusura che abbiamo vissuto e che spero non ritorni più. È un discorso che riguarda anche il cinema, perché nell’ultimo periodo siamo stati abituati a fruire tutto online. Ovviamente, lo spettacolo dal vivo ti trasmette emozioni del tutto diverse, e spero, pertanto, che questo bel momento duri ancora.
A proposito delle interviste contenute nel video, c’è un momento che mi piace molto in cui i protagonisti, verso la fine, raccontano di questa osmosi tra loro e il pubblico in strada: dalle immagini si nota, infatti, quanto si cercassero a vicenda, e quanto le persone fossero coinvolte da quelle esperienze. Si tratta di un qualcosa che risale a quarantacinque anni fa, ma che sembra lontano un secolo, considerate le difficoltà del nostro tempo e il differente approccio. È un aspetto che trovo molto commovente e nostalgico, e che mi fa capire quanto sia distopico il futuro in cui viviamo attualmente.