Intervista alla storica dell’arte Bianca Trevisan, curatrice (insieme a Nicola Pellegrini e Ornella Mignone) della mostra antologica Sandro Somarè. L’anse des amis presso la Fondazione Galleria Milano (fino al 30 novembre 2024).
Aurelio Andrighetto – I sette dipinti a spray di Sandro Somarè, scoperti inaspettatamente, mi hanno colpito per la potenza del loro chiaroscuro, che ha suscitato in me la memoria dei disegni titanici e insieme apocalittici di Adolfo Wildt, concepiti come cieli del Giudizio Finale. Mi ricordano anche certe carte fotografiche stropicciate dagli studenti di fotografia in camera oscura, sulle quali la luce disegna paesaggi altrettanto carici di forza espressiva. Se il rapporto di queste opere di Somarè con l’aeropittura può essere ricostruito in senso lineare, non altrettanto si può dire per il rapporto con i cieli apocalittici di Wildt e con quelli temporaleschi delle carte stropicciate. Il futuro talvolta è alla nostre spalle e il passato si riattualizza nel presente, come rileva Salvatore Settis a proposito di Le Corbusier, che riconosceva nello stile dorico un’«impressione di acciaio filettato e polito». Nelle sette opere di Somarè possiamo quindi vedere (in senso filologico) l’aeropittura, ma anche i disegni di Wildt e le carte fotografiche stropicciate.
La pittura entra così, inaspettatamente, in rapporto con il disegno a chiaroscuro e la fotografia attraverso la sperimentazione di una nuova tecnologia: il colore spray appena messo in commercio in Italia (le opere sono del 1962). Inaspettato è stato anche il loro ritrovamento nel corso dello scavo d’archivio, ritrovamento che impone una rilettura della sua opera.
Ho l’impressione che queste sette opere, di cui cinque sono esposte nella mostra antologica che accompagna gli esiti della ricerca sull’Archivio Sandro Somarè, siano interessanti non solo per il modo in cui tecniche e linguaggi entrano in rapporto tra loro, ma anche per le domande che pongono al metodo di interpretazione dell’opera d’arte. Cosa rappresenta per te questo ritrovamento inaspettato?
Bianca Trevisan – Grazie per la domanda e per la tua lettura come sempre sottile e “in ascolto”: delle parole altrui, di ciò che l’artista ha ricercato con le sue sperimentazioni. Il mio lavoro come archivista e curatrice ha un duplice aspetto. Prima di tutto pratico, ovvero di ricerca, organizzazione, scelte, messe e fuoco e impostazione di metodologie e strategie; ha poi un aspetto intellettuale, quindi di elaborazione dei materiali trovati e collocazione all’interno del percorso dell’artista e del periodo storico di riferimento.
Sebbene per alcuni sia un lavoro solitario, per me è un lavoro in relazione: alla Galleria Milano ho sempre avuto interlocutori straordinari. Prima Carla Pellegrini e Toni Merola, che mi hanno mostrato la via, che ho subito riconosciuto come la via – professionale, e non solo – per me percorribile. Poi, nel lavoro su Sandro Somaré, il dialogo è avvenuto con Patrizia Ascari, vedova dell’artista e che ha voluto fortemente il progetto, con Ornella Mignone, esperta archivista del contemporaneo che ha organizzato il lavoro prima di me e poi con me, e con Nicola Pellegrini, figlio di Carla e sempre tra i miei punti di riferimento.
Sto riflettendo sul caso specifico dell’Archivio di Somaré, ma il fatto di essere e di mettermi sempre in relazione è estendibile al mio approccio al lavoro in generale: avere a che fare con la storia, anche quella relativamente recente come quella che tratto, richiede di mettere da parte ego, credenze e pregiudizi per entrare nel mondo vissuto dall’artista, nel suo pensiero e nel suo contesto. Dico spesso: “si crede che l’archivio abbia a che fare con ciò che è irrimediabilmente passato, ma invece l’archivio ha a che fare con la vita”. L’archivio, infatti, e non mi stancherò mai di ripeterlo, è vivo: l’archivio è un tentativo di catalogare e interpretare ciò che è stato, ma ci sorprende sempre perché, proprio quando pensavamo di essere giunti a una soluzione, emerge qualcosa di inaspettato. Roland Barthes ne La camera chiara dice che in ogni fotografia c’è “quella cosa vagamente spaventosa” che è “il ritorno del morto”, ciò che non c’è più, mai più potrà essere in quell’esatto momento dell’esistenza, ed eppure è cristallizzato proprio in quel singolo secondo. Applicando questa considerazione all’archivio tutto, quindi quel complesso di opere, lettere, cataloghi, fotografie, corrispondenza, articoli ed ephemera vari, esso diviene un incredibile strumento per tentare di ricostruire la complessità di un percorso che, seppure sia passato, è vivo e addirittura non di rado pulsante nella sua restituzione.
Arrivo quindi alla tua domanda: le opere a spray di Sandro Somaré sono state come un’epifania: quando con Nicola Pellegrini e Giovanni Oberti le abbiamo trovate nella cassettiera, a pochissime settimane dalla mostra, pensavamo di avere già impostato il progetto espositivo e al contempo io e Ornella Mignone, curatrici del catalogo ragionato, eravamo convinte di aver individuato con esattezza, dopo quasi otto anni di lavoro, i diversi periodi, tecniche, linguaggi affrontati dall’autore. Questo ritrovamento ha scompaginato le carte e ha fatto scaturire un momento di incredulità ed entusiasmo che ci ha fatto decidere all’unisono di dedicare la parete forse più importante della Fondazione a quei meravigliosi lavori a spray, così precoci essendo del 1962.
Potevamo essere molto più didascalici, trattandosi di una mostra antologica, e attenerci ai capitoli del catalogo ragionato. Abbiamo invece deciso di sorprendere il visitatore con questo ritrovamento proprio per mettere in pratica la convinzione profonda che il lavoro filologico e scientifico parte dal rimescolamento delle sue stesse categorie, richiedendo un costante aggiornamento. Chi frequenta la Galleria Milano, ora Fondazione, ci conosce e si fida della nostra visione, che per noi è un privilegio poter condividere.
AA – La mostra dedicata a Somarè inaugura una nuova stagione dedicata agli archivi che, come dici, sono “vivi e pulsanti”. Il tema dell’archivio ha destato l’interesse anche di alcuni artisti, che hanno fatto della loro opera una pratica di appropriazione e di reimpiego dei materiali d’archivio. In parallelo al lavoro filologico e scientifico è previsto anche un approccio di questo tipo?
BT – Sì, il lavoro scientifico e storico è alla base di quello di ricerca, innovazione e immaginazione di nuovi mondi. Un esempio che ti posso fare è Corni da nebbia, la serata di musica ambientale in Fondazione dedicata al ricordo di Toni Merola, tenutasi il 19 settembre nei nostri spazi. La serata è stata ispirata da Musica dell’anno zero (Alga Marghen, 2001), disco di un compositore e artista straordinario, che ha lavorato tanto con noi: Davide Mosconi. Si tratta della registrazione dei corni da nebbia, strumenti di orientamento usati per secoli, fino agli anni Novanta, nelle nebbiose coste del Nord, dove non bastavano i segnali luminosi dei fari per permettere ai naviganti di orientarsi. Siamo partiti dall’opera di Mosconi e dalla sua ricerca, abbiamo dialogato con il suo Archivio, discusso con musicisti che l’avevano conosciuto, letto vecchi ritagli di giornale. Dopo questa prima fase di verifica, abbiamo deciso di suonare il disco riempiendo tutta la sala di fumo, attraverso una macchina apposita, realizzando un’idea di Toni Merola. Il disco di Mosconi ha così avuto una nuova rappresentazione visiva, senza però distorcere la sua volontà.
Applicando questo discorso al nostro archivio, vorremmo permettere ad alcuni artisti, da noi chiamati e selezionati, di confrontarsi con i nostri materiali e la nostra storia, ed è importante, ancora una volta, che con essa venga stabilita una relazione onesta. Ora l’archivio è spesso al centro del dibattito culturale, ma non è sempre stato così. Hal Foster ha parlato di “impulso archivistico”, parlando della pratica di alcuni autori come Thomas Hirschhorn e Tacita Dean, tra gli altri. L’archivio è alla base di una rappresentazione, di una narrazione, che fa vivere ciò che è stato in modi sorprendenti e nuovi.
AA –Tornando al tuo lavoro di archivista e curatrice, quali sono le linee guida della mostra? La poetica di Somaré mi sembra piuttosto articolata. Sperimenta nuove tecniche (spray, ceracolor), adotta linguaggi e generi diversi.
BT – La mostra è concepita come antologica per restituire lo sperimentalismo di Somaré ma anche il suo legame con la Galleria Milano. Il percorso si apre con un dipinto a ceracolor, Qualcosa in più, del 1959, caricato nei nostri archivi come opera n. 1, dunque il primo pezzo ad entrare alla Galleria Milano, quando era ancora in via della Spiga. Somaré “frantuma le immagini”, commentò Luigi Lambertini, e lo vediamo anche nei lavori cubisti della metà degli anni Sessanta dove compaiono, scomposte, figure antropomorfe. La ridotta palette di colori tenui è una costante, e costante è anche la sperimentazione con i materiali: il ceracolor è un miscuglio di tempere, colle e pastelli da lui appositamente studiato per dare più brillantezza ai suoi dipinti. Le opere a spray del 1962 riportano la stessa morbidezza tonale e delle forme e insieme la volontà a non disdegnare tecniche meno tradizionali. Tra la seconda metà dei Sessanta e gli anni Settanta le sue figure sono collocate in eleganti palazzi Liberty del centro di Milano, dove lui abitava e si era formato culturalmente. Questi sono i suoi lavori più ricercati e più noti.
Al piano sottostante, dove abbiamo i nostri archivi, abbiamo deciso di esporre opere su carta, tra cui i suoi pastelli astratti degli anni Sessanta per mettere in luce la sua vasta produzione non figurativa; inoltre sono presenti gli acquerelli di Oceano Nox, la sua ultima serie (2000-2012), ispirata alle coste di Lindos, in Grecia, dove trascorreva le estati con molti artisti e amici, tra cui Carla Pellegrini. La baia degli amici del titolo della mostra (l’anse des amis) rispecchia proprio il suo desiderio di ritirarsi in un luogo amato, con le persone amate.
Non mancano alcune teche con foto dell’epoca, ritagli di giornale, cataloghi delle sue mostre in Italia e all’estero, per dare un assaggio al visitatore non solo della sua ricezione critica, della sua vita e della sua personalità, ma anche dei materiali d’archivio che conserviamo presso la Fondazione.
Il catalogo ragionato è consultabile all’indirizzo: archiviosandrosomare.it
Cover: Sandro Somarè_Senza titolo, 1973, tempera su tela, cm 40 x 80. Collezione privata. Archivio Sandro Somaré e Fondazione Galleria Milano.