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Roméo Mivekannin. Black Mirror | Collezione Maramotti, Reggio Emilia

Un ciclo di dipinti su velluto nero reinterpreta immagini dalla storia dell'arte, del cinema e della fotografia di reportage in un caleidoscopio attraverso cui l'artista, afrodiscendente, rivendica il suo posto nell'immaginario occidentale.
Roméo Mivekannin, Black Mirror, veduta di mostra, Collezione Maramotti, Reggio Emilia | © Roméo Mivekannin, by SIAE 2025. Courtesy of the artist and Galerie Cecile Fakhoury (Abidjan, Dakar, Paris). Ph. Roberto Marossi

In due ambienti espositivi al piano terra della Collezione Maramotti, a Reggio Emilia, si dipana un ciclo di dipinti di grandi dimensioni su velluto nero. Il corpus di opere è stato appositamente realizzato dal pittore di origini beninesi Roméo Mivekannin (1986, vive e lavora tra Tolosa e Cotonou, Benin), a conclusione di un progetto biennale, per questa sua prima mostra personale in Italia, che prende il titolo di Black Mirror (fino al 27 luglio). I circa venti dipinti esposti, più affini a degli arazzi che non a dei quadri tradizionali perché privi di telaio e caratterizzati da una certa ricchezza materica, sono ispirati ad un vasto repertorio iconografico, che include quadri più o meno celebri della storia dell’arte europea, fotografie ricavate da reportage, immagini iconiche della storia del cinema e archetipi della danza contemporanea. Hanno contribuito all’arricchimento del suo bagaglio di riferimenti anche le visite condotte in Emilia-Romagna, dato che è consuetudine per la collezione Maramotti offrire agli artisti invitati a preparare dei progetti espositivi la possibilità di entrare in contatto con la storia e la cultura della regione. Così si susseguono nelle ampie sale vetrate rielaborazioni della Cacciata di Adamo ed Eva dall’Eden di Masaccio e di celebri dipinti di Caravaggio, ma anche di inquadrature iconiche di film di Pasolini, Paradjanov e Leos Carax. Le fonti iconografiche sono sempre dichiarate nei titoli delle opere e mai dissimulate, perché è proprio il legame con i relativi referenti che dà risalto agli elementi inconsulti, uno su tutti il fatto che i dipinti sono sempre caratterizzati dalla presenza ricorrente dell’autoritratto dell’artista, incorporato al posto del personaggio principale di ciascuna scena o di uno o più comprimari.

Roméo Mivekannin, Black Mirror, veduta di mostra, Collezione Maramotti, Reggio Emilia | © Roméo Mivekannin, by SIAE 2025. Courtesy of the artist and Galerie Cecile Fakhoury (Abidjan, Dakar, Paris). Ph. Roberto Marossi

In questo modo Mivekannin si insinua all’interno delle scene sacre e storiche, e dunque si ritaglia un posto in quanto individuo afrodiscendente nell’immaginario occidentale. Il suo sguardo è perturbante: fisso sull’osservatore, balugina nella densissima e rifulgente oscurità ottenuta grazie all’impiego di un velluto nerissimo, che porta all’estremo il contrasto chiaroscurale con i volti illuminati. La pittura viene assorbita dal tessuto in un addensamento variamente coeso, sfrangiato o crettato, in funzione delle variazioni di orientamento del pelo; come uno “specchio nero”, trattiene e restituisce alterato il riflesso di storie e di simboli plurisecolari. È l’incontro con un’opera di Julian Schnabel degli anni ’80 esposta alla Collezione Maramotti ad aver spinto Mivekannin a adottare questa tecnica, sperimentata per la prima volta in questa occasione. In alcuni casi, come nella Maddalena penitente di Caravaggio, il volto che nel dipinto originale è chinato verso il basso qui si alza e si rivolge con fare malinconico (o inquisitorio?) verso chi guarda. Talvolta lo stesso modello viene reinterpretato in due versioni differenti: nei due rifacimenti del dipinto ottocentesco Cristo tra i dottori di Théodule Ribot il volto di Mikevannin viene sostituito rispettivamente a quello di Gesù, oppure a quelli dei dottori, attorno ad un Gesù biondo e dalla pelle bianca, come nel dipinto originale. In mostra si è scelto di giustapporre queste due versioni ai lati di un d’après che ripropone un’inquadratura di Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pasolini, quando uno dei ragazzi vittime delle sevizie dei propri carcerieri (e costretti a farsi loro complici) alza il pugno in un tragico gesto di ribellione, poco prima di essere ucciso. Il volto nero dell’artista contrasta ancor più nettamente che in altri dipinti con il corpo roseo nudo del personaggio.

Roméo Mivekannin, Black Mirror, veduta di mostra, Collezione Maramotti, Reggio Emilia | © Roméo Mivekannin, by SIAE 2025. Courtesy of the artist and Galerie Cecile Fakhoury (Abidjan, Dakar, Paris). Ph. Roberto Marossi

Il sacrificio e il lutto sono temi ricorrenti in molte delle opere della serie, variando dalla rielaborazione di capolavori del ’600, come un San Sebastiano di Nicolas Régnier e i martirii di San Pietro e di San Matteo di Caravaggio, a simili riletture dedicate invece a fotografie di eventi tragici, come il celebre scatto di Georges Merillon che si fa testimone della veglia funebre di un miliziano in Kosovo, oppure quello di Sam Nizima che mostra un attivista anti-apartheid che trasporta il corpo di un bambino nero ucciso nella rivolta di Soweto, in Sudafrica, scoppiata nel 1976 in risposta all’introduzione nel Paese della lingua afrikaans. Anche la scialuppa di salvataggio alla deriva nel dipinto ispirato al Naufragio di Don Juan di Delacroix non può che far pensare al dramma delle morti in mare nel Mediterraneo. Si impone per la sua presenza e unicità rispetto alla serie il gigantesco Parle avec elle (Pina Bausch). “Mi sono avvicinato al lavoro della ballerina e coreografa Pina Bausch attraverso un film di Pedro Almodovar, Parla con lei – ha commentato l’artista durante la preview – mi ha ricordato la mia terra di origine, perché la danza pubblica è una pratica molto importante laggiù. Mi ha fatto pensare a questo ricordo intenso e ho voluto lavorare su di esso. Durante uno dei miei soggiorni in Emilia-Romagna ho assistito a uno spettacolo di danza a Ravenna e ho riflettuto su quanto il linguaggio della danza sia universale. È potente quanto il cinema, dunque ho voluto provare attraverso l’assemblaggio di diverse immagini a gettare un ponte tra due culture, tra due continenti, tra le due stanze della mostra”. E il “ponte” è costituito da una comunità di uomini e donne, tutti con il volto dell’artista, nell’atto di distribuirsi nello spazio per occupare anche la metà sinistra del dipinto, ancora vuota.

Cover: Roméo Mivekannin, D’après La couleur de la grenade, Sergueï Paradjanov (1969), 2024, acrilico su velluto nero, 150 x 300 cm | © Roméo Mivekannin, by SIAE 2025. Courtesy of the artist and Galerie Cecile Fakhoury (Abidjan, Dakar, Paris). Ph. Gregory Copitet

Roméo Mivekannin, Black Mirror, veduta di mostra, Collezione Maramotti, Reggio Emilia | © Roméo Mivekannin, by SIAE 2025. Courtesy of the artist and Galerie Cecile Fakhoury (Abidjan, Dakar, Paris). Ph. Roberto Marossi