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I Graziosi Abissi di Roberto Fassone alla Fondazione smART di Roma

Si è forse abituati a pensare ad una mostra come ad un evento statico, perennemente uguale a se stesso per tutta la sua durata, con un inizio ed una fine. Graziosi abissi, la prima personale a Roma di Roberto Fassone, propone invece una mostra in trasformazione, un divenire suddiviso in quelli che l’artista e il […]

Roberto Fassone, I custodi di un buon viaggio, 2021, disegno di Mattia Pajè
Roberto Fassone, Dove cadono le pareti, 2021, 41x31x87cm

Si è forse abituati a pensare ad una mostra come ad un evento statico, perennemente uguale a se stesso per tutta la sua durata, con un inizio ed una fine. Graziosi abissi, la prima personale a Roma di Roberto Fassone, propone invece una mostra in trasformazione, un divenire suddiviso in quelli che l’artista e il curatore Saverio Verini hanno definito “movimenti”.
Cinque cambiamenti di stato nei quali convergono gli aspetti centrali della ricerca artistica di Fassone che muovendosi tra diversi linguaggi – dal disegno al video – esplora le strutture creative, il rapporto tra gioco e performance, la differenza tra storia e aneddoto, il gesto e il tempo. Dal 13 dicembre al 20 giugno negli spazi della Fondazione smART di Roma, le opere in mostra cambiano (talvolta subendo altre volte azionandosi) facendo proprio uno scorrere del tempo scandito dalla natura. Ne risultano uno spazio e un tempo espositivo all’interno dei quali lo spettatore si muove in quanto osservatore di una sorta di ciclo vitale in un gesto di fiducia verso l’artista stesso. 
Lontane dal tentativo di dare una lettura univoca della mostra, abbiamo chiesto al curatore Saverio Verini di introdurci la ricerca di Roberto Fassone e di raccontarci la genesi del progetto a partire dai suoi cambiamenti.

Guendalina Piselli: Graziosi abissi è la prima personale a Roma di Roberto Fassone. Una mostra, allestita negli spazi della Fondazione smART, in continua trasformazione che ha aperto al pubblico il 13 dicembre e che nel corso del tempo viene modificata in quelli che hai chiamato “movimenti”. Come nasce il progetto?
Saverio Verini: Graziosi abissi nasce dallo stretto rapporto – di stima, ma anche di amicizia – che io e Roberto Fassone abbiamo ormai da alcuni anni. In passato avevamo collaborato in diverse occasioni: nel 2016 Roberto prese parte a una collettiva (Stop & Go. The Art of Animated Gifs) che avevo curato insieme a Valentina Tanni, proprio da smART; poi, con la curatrice Ilaria Gianni (e sempre con il supporto di smART), decidemmo di invitarlo per il programma di performance della fiera Granpalazzo, nel 2017; un paio d’anni dopo Roberto era tra gli artisti di You Got to Burn to Shinealla Galleria Nazionale, a cura di Teresa Macrì, con la quale avevo collaborato per l’occasione; nel 2021 è stata la volta di un’altra mostra collettiva, Tout Court, da me curata all’Istituto Italiano di Cultura di Parigi. Nel 2018 avevo anche scritto una piccola monografia, Roberto Fassone. Quasi tutti i racconti, edita da Postmedia Books.
Insomma, ci siamo detti che era ora di una mostra personale! L’estate del 2020 ero andato a trovarlo al mare, a Senigallia; passammo qualche ora insieme e ci salutammo con questo proposito. Il pensiero è andato subito alla Fondazione smART, che entrambi conoscevamo bene e che ritenevamo il luogo più adatto ad accogliere un progetto inedito di Roberto. Quando ne abbiamo parlato alla direttrice, Stephanie Fazio, la reazione è stata entusiastica. Da quel momento abbiamo iniziato a lavorarci su.

Roberto Fassone, Graziosi abissi, istallation view
Roberto Fassone, Un grammo, 2021, dimensioni variabili

GP: In mostra convergono alcuni aspetti ricorrenti della ricerca di Fassone come l’idea di trasformazione, l’interesse per la dimensione onirica, l’attitudine performativa, il potenziale immaginativo dell’osservatore…

SV: Assolutamente sì, a mio avviso sono queste le direzioni che la mostra intende esplorare. Provando a sintetizzare ulteriormente, si potrebbe leggere l’intera esposizione come un percorso propedeutico a un ipotetico sogno lucido, pratica alla quale Roberto Fassone è interessato da alcuni anni. In Graziosi abissi convivono opere molto diverse tra loro: video, fotografie, disegni, installazioni, spesso realizzati in collaborazione con altri autori (il graphic designer Giandomenico Carpentieri, gli artisti Riccardo Banfi, Carolina Cappelli e Mattia Pajè, l’allestitore Fabio Pennacchia, l’artigiana Simona Merra (in arte Sammer Crochet), la residenza Guilmi Art Project, la galleria Fanta-MLN…).
Credo che tutta la mostra sia attraversata da un’atmosfera sospesa, in cui convivono dettagli poetici e perturbanti, spinte verso derive non pienamente razionali, la ricerca di un altrove… Fassone ha pensato a questa mostra come un disco psichedelico con numerosi featuring, un album composto di tracce che, pur nella loro diversità, concorrono a restituire questo clima surreale, tra cartone animato e situazioni vagamente à la David Lynch. E poi c’è l’attitudine performativa, come l’hai giustamente definita: Roberto è da sempre legato alla performance e così ci siamo interrogati su come dare un dinamismo a una mostra fatta di cose, di oggetti inanimati. Da questa esigenza è nata l’idea di immaginare tutte le opere in mostra come le potenziali esecutrici di una coreografia collettiva, in cui ognuna compie lo stesso movimento: indossare delle coperte, “saltare” e via dicendo… Con delle ricadute inevitabili e sorprendenti sul modo in cui le opere si presentano e vengono fruite.

GP: Un altro aspetto che emerge è quello di Fassone come artista, ma anche in qualche modo curatore – nel senso di persona che si prende cura – delle opere in mostra. Penso in particolare al secondo movimento È freddo, tutti si coprono con il quale Fassone ha coperto le opere in mostra con coperte di lana…

SV: Ho l’impressione che, con i movimenti da lui ideati, Roberto abbia voluto dare quasi un carattere umano alle opere. E quindi, ora che siamo in inverno, le opere hanno pensato di coprirsi; così come, verso primavera, si spoglieranno delle coperte e compiranno un salto, per così dire. C’è qualcosa di tenero, quasi naïf, in questo. Ma c’è anche il desiderio di mettere in discussione i tradizionali formati espositivi, di riflettere sullo statuto dell’opera d’arte, sul potenziale performativo – come dicevo prima – di oggetti inanimati o che non hanno un’esplicita intenzionalità performativa.

Roberto Fassone, Piccola catena, 2021, video HD, 23’23”, produzione Guilmi Art Project
Roberto Fassone, Graziosi abissi, istallation view – Foto Daniele Molajoli

GP: Tutti i movimenti sembrano corrispondere ad un cambiamento specifico: il 13 dicembre è la notte più lunga dell’anno, il 31 gennaio uno tra i giorni più freddi, il 20 giugno cade il solstizio. Che ruolo ha il tempo nella pratica di Fassone e in questa mostra?

SV: Se è per questo, il 13 dicembre era anche l’onomastico di Santa Lucia, che è da sempre associata alla visione! E il terzo movimento, previsto per il 14 marzo, coinciderà praticamente con l’arrivo della primavera… È vero, la mostra vive di una temporalità quasi arcaica, che sembra seguire il ritmo delle stagioni. Ma al di là di queste ricorrenze, Graziosi abissi mi sembra insista costantemente su un’idea di tempo non lineare, sfasata, basata su altri parametri. Penso a due opere in particolare, Un calendario e Dove cadono le pareti (Uri). La prima è, appunto, un calendario sfogliabile: ma invece di essere organizzato secondo il tradizionale schema giorno-mese-anno, presenta un’alternanza di opposti: stagione dell’anatra/stagione del coniglio (intese come “stagione di caccia” – il riferimento è alla celebre scena dei Looney Tunes); differenza/ripetizione (seguendo la celebre dualità del saggio di Gilles Deleuze); indica/sativa (i due tipi di marijuana, una più rilassante, una più stimolante); pieno/vuoto (rappresentate in ideogrammi cinesi); bum bum/cha (i due colpi alternati di cassa e rullante). Un calendario scandisce dunque un tempo non lineare, strutturato secondo criteri altri; e trovo che abbia una relazione con la placca di Dove cadono le pareti (Uri), sulla quale è incisa la frase “ogni volta che il campanello suona un orologio si ferma”. Il campanellino posto sul comodino, se suonato, è capace di fermare gli orologi e, per estensione, lo scorrere del tempo.

GP: Qual è invece il ruolo dello spettatore? Sia la pratica di Fassone che il sistema in continua trasformazione della mostra sembrano dare molteplici possibilità di lettura e di fruizione. Un aspetto che forse viene messo in evidenza dall’assenza di un vero e proprio foglio di sala che contenga un testo critico…

SV: Il lavoro di Roberto cerca di accendere la capacità immaginativa dello spettatore, di stimolare suggestioni che ognuno può avere di fronte alle sue opere. Non è un caso che, nel breve testo di introduzione, abbia voluto scrivere che la mostra “ha tante interpretazioni quante le persone che la vedranno”. E devo dire che le numerose visite organizzate a Graziosi abissi sono state incredibilmente stimolanti: i lavori attivano sempre un dialogo, uno scambio, un’estensione del punto di vista sulla mostra (a partire dal mio, tant’è che mi ritrovo spesso ad aggiungere elementi e considerazioni nate dalle visite precedenti). Ogni volta esce fuori qualcosa di diverso che accresce il senso del percorso espositivo. Forse esagero, ma in tempi in cui siamo abituati ad avere letture immediate e univoche sulle cose, credo che la mostra di Roberto sia una piccola boccata d’ossigeno.

GP: La fruizione delle opere di Fassone – penso in particolare a RebelRebel (smART) o a Dove cadono le pareti (Uri) – richiedono un vero e proprio atto di fiducia da parte dello spettatore. È qualcosa che richiede anche la mostra?

SV: Come già dicevo, tutta la mostra intende sollecitare – come una ginnastica mentale – il potenziale immaginativo dello spettatore. Secondo me Roberto fa parte di una categoria ben precisa di artisti, che trova gli esponenti più efficaci e geniali in Gino De Dominicis e Piero Manzoni. Non sto paragonando Fassone a questi grandi autori, sto semplicemente dicendo che la sua pratica rientra in un linea concettuale e insieme “magica” dell’arte italiana, in cui spesso sono gli apparati testuali ad attivare l’opera (penso, per esempio, a Palla di Gomma (caduta da due metri) nell’attimo immediatamente precedente il rimbalzodi De Dominicis o al Socle du Monde di Manzoni) e in cui c’è un invito esplicito ad aderire al punto di vista dell’artista, che è capace di spostare – in alcuni casi ribaltandolo – il nostro sguardo sulle cose. Sono convinto che, in fondo, ogni artista voglia portare l’osservatore nel proprio mondo, ma è vero che alcuni spingono più di altri in questa direzione. Credo che Roberto sia tra questi.

Roberto Fassone, Graziosi abissi, istallation view – Foto Daniele Molajoli
Roberto Fassone, Graziosi abissi, istallation view – Foto Daniele Molajoli
Roberto Fassone, Graziosi abissi, istallation view – Foto Daniele Molajoli