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Riportando tutto a casa | Museo delle Navi Romane di Nemi

“I cambiamenti scavano la fossa al vecchiomondo in modo che il suo crollo sia spesso molto silenzioso. È così che cambiano gli uomini – una smorfia, uno scatto di nervi, una parola al posto di un’altra parola – , è in questo modo che da un momento all’altro non siamo più noi stessi”. Riportando tutto […]

Riportando tutto a casa | Museo delle Navi Romane di Nemi – Installation view – Foto Giorgio Benni

“I cambiamenti scavano la fossa al vecchiomondo in modo che il suo crollo sia spesso molto silenzioso. È così che cambiano gli uomini – una smorfia, uno scatto di nervi, una parola al posto di un’altra parola – , è in questo modo che da un momento all’altro non siamo più noi stessi”. Riportando tutto a casa è il titolo di un celebre romanzo scritto da Nicola Lagioia, edito per i tipi di Einaudi nel 2009, in cui tre adolescenti si aggirano per le strade di Bari alle prese con le loro gioie e frustrazioni quotidiane nell’Italia del boom economico, a tinte fosche, degli anni Ottanta. Riportando tutto a casa è anche il titolo scelto per il progetto di mostra – a cura di Lorenzo Madaro e nato dalla collaborazione tra la Direzione Regionale Musei Lazio e la galleria Contemporary Cluster – realizzato presso il Museo delle Navi Romane di Nemi; un progetto corale, e uno sguardo diffuso, che non soltanto mettono in conversazione i 23 artisti invitati a confrontarsi con il patrimonio archeologico del Museo, bensì articolano un dialogo plurale in cui le singole identità espressive e artistiche emergono in un rapporto tensivo con lo spazio e tra loro.
Nato tra il 1933 e il 1939 per ospitare due navi appartenute all’imperatore Caligola (37-41 d.C.) e rinvenute sul fondale del lago di Nemi tra il 1929 e il 1931, il Museo delle Navi Romane ha vissuto una storia discontinua – l’incendio che nel 1944 ha distrutto le due navi, la riapertura del 1953, a cui ha fatto seguito una nuova chiusura nel 1962, sino alla definitiva riapertura nel 1988 – caratterizzandosi sin dall’inizio non soltanto per la ricchezza del patrimonio archeologico custodito – tra cui, oggetti votivi e reperti rinvenuti nelle aree limitrofe – ma anche per essere il primo Museo sorto da un’esigenza specifica, quella di contenere le strutture navali, e dunque ad aver trovato la propria conformazione architettonica proprio a partire da questa necessità di funzione. Disseminate nell’ala destra della grande navata del Museo, le opere di Paolo Assenza, Antonio Barbieri, Canicola, Dario Carratta, Cosimo Casoni, Giovanni Chiamenti, Matteo Costanzo, Fabrizio Cotognini, Giovanni De Cataldo, Valerio Di Fiore, Gioia Di Girolamo, Luca Di Terlizzi, Marco Emmanuele, Francesco Fossati, Federika Fumarola, Alberto Gianfreda, Alessandro Giannì, Giulia Manfredi, Caterina Morigi, Nero/Alessandro Neretti, Luca Petti, Giusy Pirrotta e Andrea Polichetti – chiamate a raccogliersi intorno ad un tema tanto ampio quanto universale quale è il ricordo – punteggiano lo spazio senza mai sopraffarlo, ma anzi, innescando con esso un approccio mimetico che spinge la visione ben oltre la constatazione che, de facto, siano state poste in dialogo con i reperti antichi.

Alessandro Giannì, Untitled 2019, ceramica, 33 x 50 x 27 cm. – Foto Giorgio Benni
Dario Carratta, Seme Occulto, 2022, olio su tela, 200×150 cm. – Foto Giorgio Benni

Il tema del ricordo viene ad essere così declinato “attraverso frammenti, visioni, proposte immaginifiche, brandelli di materiali attraverso i quali gli artisti coinvolti elaborano una personale visione che si associa al grande repertorio di oggetti ritrovati, elementi rinvenuti durante importanti scavi archeologici degli ultimi decenni, con cui condividono una possibile e a volte contraddittoria familiarità”. I lavori degli artisti invitati, appartenenti perlopiù alla generazione degli anni Ottanta e Novanta, esemplificano un range amplissimo di media e linguaggi, dalla pittura alla video arte, passando per la scultura e l’installazione, e sono in grado di restituire una temperatura espressiva, una certa direttrice ben conscia del potenziale insito in una generazione artistica mossa sempre più da un anelito di dissacrante e sereno distacco: i cambiamenti scavano la fossa al vecchiomondo.
C’è chi fa della pittura, come nel caso di Dario Carratta (Gallipoli, 1988), un mezzo espressivo in grado di sospendere violentemente le temporalità attraverso l’innesco di un cortocircuito visivo che, servendosi di una palette fredda e di una pennellata ampia e spessa, condensa nei suoi abitanti post-umani il potenziale di una visione laterale, dove mistica, surrealtà e realtà divengono una cosa sola; oppure, Federika Fumarola (Roma, 1981) che nella consequenzialità del segno genera un pattern visivo ripetuto – la struttura ossea delle sue tele dipinte ad olio – in grado di condurre a una visione sintetica del quadro, in cui dominano ritmo ed energia della linea. E ancora, Luca Di Terlizzi (Tivoli, 1998) che rielabora il fregio istoriato dando uno spessore volumetrico alla pittura attraverso un insieme di carte acquerellate intelate montate su struttura lignea.
A questo proposito, basamento, struttura, volume, divengono per i molteplici esempi di scultura in mostra (Alessandro Giannì, Marco Emmanuele, Alberto Gianfreda, Caterina Morigi, tra gli altri) tre archetipi espressivi in grado di integrarsi sì nello spazio, ma espandendolo e ampliandone le coordinate, oppure ribaltandone la visione come nel caso di Andrea Polichetti (Roma, 1989) che indaga il rapporto tra positivo e negativo con una installazione site-specific in marmo e ottone, una colonna tortile contemporanea che muscolarmente sovrasta i reperti della collezione conducendo un’indagine sullo sguardo e sulla percezione dello spazio.  

La mostra sarà accompagnata da un catalogo, edito da Contemporary Cluster e curato da Lorenzo Madaro.

Giulia Manfredi, Solve et Coagula, 150×30 cm, edera fossile, cipressi palustri, cristalli di monofosfato di potassio. – Foto Giorgio Benni