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Ridisegnare lo spazio | LABS Gallery, Bologna

L’avesse vista Charles Baudelaire nel 1859, anno d’uscita del pungente scritto Il pubblico moderno e la fotografia, avrebbe di certo storto il naso, sapendo di trovarsi di fronte all’idea di una fotografia capace di “ridisegnare lo spazio” – al pari, quindi, non solo dell’arte, ma addirittura del disegno, “padre delle tre arti nostre, architettura, scultura […]

Installation view della mostra Ridisegnare lo spazio, presso LABS Contemporary Art, Ph. Carlo Favero

L’avesse vista Charles Baudelaire nel 1859, anno d’uscita del pungente scritto Il pubblico moderno e la fotografia, avrebbe di certo storto il naso, sapendo di trovarsi di fronte all’idea di una fotografia capace di “ridisegnare lo spazio” – al pari, quindi, non solo dell’arte, ma addirittura del disegno, “padre delle tre arti nostre, architettura, scultura e pittura”, come scriveva il Vasari. Eppure, trascorsi più di centocinquant’anni da quella data, la collettiva in corso alla LABS Gallery di Bologna sembra alludere implicitamente a una questione che, sebbene non venga più affrontata col sospettoso spirito ottocentesco, solleva numerosi dubbi riguardo un’univoca e condivisa risoluzione.

Il discorso ruota attorno a un’unica domanda, ossia: può effettivamente la fotografia “ridisegnare lo spazio”? Supposizione affascinante, come scrive subito Angela Madesani nel testo critico che accompagna la mostra, di cui firma anche la curatela. “È documentazione?”, si chiede a un certo punto, riferendosi all’opera di Andreas Gefeller – ma lo stesso interrogativo potrebbe essere esteso, in un certo senso, anche agli altri artisti coinvolti, vale a dire Marina Caneve, Giulia Marchi e Massimo Vitali. “Per certi versi sì – risponde lei stessa – perché nulla è stato aggiunto e tutto è perfettamente corrispondente alla realtà. L’immagine è traccia del vero, è indicale […]”. Assunto incontestabile, che spinge, però, a chiedersi se sia effettivamente ineludibile nell’ambito della lettura delle scene di Vitali, degli scorci di Marchi, dei frammenti di marmo di Caneve, delle vedute zenitali di Gefeller, e di qualsiasi altra immagine fotografica.

Ridisegnare lo spazio, e il testo che l’accompagna, sembrano suggerirci – giustamente, a mio avviso – di no. Prendere in considerazione i meccanismi che sottendono il medium costituisce, naturalmente, un fatto importante: è grazie agli studi di Rosalind Krauss e Philippe Dubois, sulla scia di quelli condotti da Charles Sanders Peirce e Roland Barthes, che la fotografia ha ottenuto finalmente il proprio definitivo riscatto. Tuttavia – e proprio per questo – non sempre, a mio parere, la fotografia dovrebbe essere letta soltanto in questi termini. Come scriveva Jean-Marie Floch in Forme dell’impronta (2018), “di solito, le fotografie vengono intese come un supporto del discorso più spesso di quanto non avvenga il contrario; vengono insomma trattate come illustrazioni”; nel caso delle opere di Ridisegnare lo spazio, invece, non dovrebbero essere “i segni […] a interessarci [quanto, piuttosto] le forme significanti, i sistemi di relazione che fanno di una fotografia, come di ogni immagine o di ogni testo, un oggetto di senso”.

E, a proposito di senso, non si può evitare di pensare allo spazio, a come gli artisti della collettiva in questione lo intendono e percepiscono. Le scene di Massimo Vitali, allora, non fanno altro che indurci a riflettere su come abitiamo il paesaggio naturale e quello artificiale, su come ci rapportiamo col fattore tempo – cronologico e atmosferico – e su quanto l’uomo sia perennemente alla ricerca del “suo posto nel mondo”, per citare Arnold Gehlen. “Ridisegnare lo spazio”, nel suo caso, equivale a mettere in pratica “una modalità che – come scrive Madesani – potrebbe avere anche un taglio di matrice relazionale”

Installation view della mostra Ridisegnare lo spazio, presso LABS Contemporary Art. Ph. Carlo Favero
Giulia Marchi, Spazio#2, 2017, Giclée Print on Harman by Hahnemühle Gloss Baryta (320 g), cm 100×100

Gli scorci di Marchi, appartenenti alla serie Fundamental, raccontano, invece, di ciò che afferisce alla dimensione dello scarto e dell’abbandono, alle implicazioni estetiche che queste comportano, oltre che a quelle percettive: una riflessione che attinge a piene mani dal concetto di Junkspace elaborato da Rem Koolhaas a metà degli anni Duemila, il quale “supera l’idea di Terzo paesaggio coniata da Gilles Clément”, afferma Madesani. Se in un’immagine viene ripresa l’architettura per come si presenta – un ambiente dell’ala nuova del Museo della Città di Rimini, ormai in disuso – nell’altra l’artista vi inserisce un elemento, un’asta di legno di risulta, e lo fa in maniera tale che quest’ultimo dialoghi con la parete su cui è poggiato: oggetto, ombra e spazio producono, così, una forma che costituisce la metafora della trasformazione di un qualcosa che precedentemente risultava essere residuale, e che, per un preciso istante, grazie all’intervento della fotografia, non lo è stato più. 

Anche Andreas Gefeller interviene per “ridisegnare lo spazio”, prima attraversandolo, nella fase di realizzazione delle fotografie, e poi ricreandolo, nel momento in cui le unisce digitalmente. Le visioni zenitali che ottiene risultano sorprendenti almeno per due motivi: in primis, inducono a riconsiderare gli orizzonti del nostro sguardo, sempre più ridotti perché orientati verso il basso, in corrispondenza dei dispositivi che ogni giorno utilizziamo – Byung-Chul Han parlerebbe di homo digitalis; e poi perché presentano una prospettiva che, in realtà, come spiega Madesani, “non è mai esistita”. Pertanto, ci troviamo di fronte a “un evidente tentativo, riuscito, di mutazione percettiva e dunque di riproposizione dello spazio”, sempre grazie alle capacità del medium fotografico.

Osservare, infine, i frammenti di marmo ripresi da Marina Caneve nella serie A fior di terra coincide col prendere atto di un’ulteriore possibilità di “ridisegnare lo spazio”, questa volta filtrata dalla dimensione del ricordo e dalla consapevolezza di trovarsi immersi in un qualcosa di infinitamente più grande di noi. Difatti, se, da una parte, i suoi scatti costituiscono un omaggio agli abitanti di Lusiana Conco (VI) e alla relativa tradizione dell’estrazione e lavorazione del marmo – ancora viva, sebbene non più così diffusa – dall’altra, ci invitano a riflettere sul rapporto che unisce l’uomo alla natura, sulle modalità con cui questo si esplica, e su quanto il primo, in fondo, nonostante l’incisività dei suoi interventi, risulti essere comunque piccolo al cospetto della maestosità della seconda.

Ridisegnare lo spazio
A cura di Angela Madesani
LABS Gallery, Bologna, via Santo Stefano 38

Marina Caneve, A fior di terra, #05, 2021 , Archival pigment print, Canson Infinity Platine Fibre Rag paper mounted on Alu-dibond, framed, 72 × 90 cm Ed 1_5 + 2AP
Massimo Vitali, Ponta dos Mosteiros Dark, 2018 Lightjet print from original digital file on photographic paper, 187×247
Andreas Gefeller, Academy, Raum 209, 2009, Lightjet print, Diasec, 110×89 cm – Courtesy Thomas Rehbein Galerie, Cologne, Germany