RESSENTIMENT/RISENTIMENTO è una mostra a cura di Christiane Rekade – in programma al KUNST MERAN fino al 23 agosto – che analizza lo stato emotivo che caratterizza il tempo presente e che vede tredici artisti contemporanei internazionali – Teodora Axente, Francesca Grilli, Massimo Grimaldi, Klara Lidén, Christian Niccoli, Riccardo Previdi, Liesl Raff, Monika Sosnowska, Barbara Tavella, Wolfgang Tillmans, Beatrice Volpi, Raul Walch, Gernot Wieland – confrontarsi con questa tematica.
Segue l’intervista con la curatrice.
Sara Benaglia: Che cosa è il risentimento, soggetto della vostra mostra?
Christiane Rekade: Il risentimento è un sentimento molto intimo e tormentato,
ma è anche un concetto filosofico. Il termine, dal francese ressentir,
indica un sentimento che si protrae nel tempo, una forma di rancore recondito e
reiterato. Il dizionario tedesco Duden
lo definisce come “un pregiudizio, un senso di inferiorità̀
o affine, basato su un’avversione emotiva spesso inconscia”.
Questa concezione ha le sue radici nel
pensiero di Friedrich Nietzsche, che intendeva il risentimento come un concetto
chiave nella sua visione della genealogia della morale. Egli descrisse “la psicologia del risentimento” come una forma di
avvelenamento volontario attraverso una vendetta repressa. Riallacciandosi
criticamente a Nietzsche, il filosofo e sociologo Max Scheler descrisse il
risentimento come un fenomeno tipicamente moderno, che si verifica in
particolare in quelle società̀ in cui, pur esistendo una parità̀
formale tra le persone, sussistono enormi differenze nella distribuzione del
potere e della ricchezza, nel livello di istruzione e nello status sociale.
Il risentimento, secondo me, è uno stato emotivo che caratterizza il nostro tempo come pochi altri. Non si tratta solo di una sensazione individuale ma descrive piuttosto una condizione sociale e soprattutto, o in particolar modo, una strategia politica con una particolare forza e dinamismo.
SB: Come è nata la collaborazione con la casa editrice alphabeta Verlag e con l’associazione Conductus? Ci sono delle logiche linguistiche o di analisi che, nel confronto, rivelino nuove possibilità operative e nuovi modi di pensare l’arte?
CR: Il punto di partenza del progetto, ideato da Aldo Mazza, direttore nonché fondatore della casa editrice Alphabeta, è la nuova collana “Zeitworte / Parole del tempo”, un progetto editoriale che ha visto 10 diversi autori contemporanei (5 di lingua italiana, 5 di lingua tedesca) cimentarsi con il tema del “risentimento” attraverso la forma del racconto. Questi racconti sono stati pubblicati una prima volta nel 2019 nella sola lingua madre degli autori e, successivamente, sono stati tradotti dal tedesco all’italiano e viceversa in un secondo volume, pubblicato nel marzo del 2020.
La nostra idea era quella di indagare questo tema importante per il nostro tempo non solo da un punto di vista letterario, ma anche attraverso la musica e l’arte. Quindi alla mostra e ai libri si affiancherà anche il festival “Sonora” dell’Ensemble Conductus (la cui programmazione è stata posticipata a ottobre 2020), sotto la direzione di Marcello Fera. Il festival è dedicato al tema del “risentimento” e proporrà nuove produzioni e concerti appositamente realizzati per questa occasione. Avevamo programmato anche vari eventi con incontri tra musicisti, artisti e autori, che purtroppo, a causa della attuale situazione, non possiamo realizzare.
SB: La mostra Risentimento / Ressentiment riflette anche la specificità locale di Merano, territorio bilingue e di confine. Quali sfide affronta un museo nel delineare e nel vivere questa proposta radicale?
CR: In un posto di confine e soprattutto in un posto come l’Alto Adige, con la sua storia complessa, il risentimento è un tema molto presente. Ma proprio per questa specificità locale era importante includere il punto di vista di artisti internazionali. Il risentimento non è solo un problema altoatesino ma è un problema globale ed è importante guardare oltre i confini regionali.
SB: Potrebbe parlarci dei rapporti tra le opere di Teodora Axente, Francesca Grilli, Massimo Grimaldi, Klara Lidén, Christian Niccoli, Riccardo Previdi, Liesl Raff, Monika Sosnowska, Barbara Tavella, Wolfgang Tillmans, Beatrice Volpi, Raul Walch e Gernot Wieland? Come sono state selezionate le opere e come è stata progettata la loro relazione nell’esposizione?
CR: Per me erano importanti domande come: quali forme e quali espressioni può assumere questo sentimento? Quali posizioni possono prendere gli artisti in relazione a questa tematica? Inoltre, mi interessava cercare assieme agli artisti un’altra prospettiva, un’alternativa a questo sentimento molto tormentato e spesso senza via di uscita.
Nella mostra ho cercato di creare un percorso che si aprisse con lavori che si interrogano sul rapporto tra arte e impegno sociale, inducendo a una riflessione su strumentalizzazioni e usi politici del risentimento, come l’installazione dei poster dedicati alle campagne anti-Brexit pro-EU di Wolfgang Tillmans o le installazioni di Raul Walch, Francesca Grilli o Riccardo Previdi. Il percorso prosegue con una installazione di Monika Sosnowska e il video Grounding di Klara Lidén– quindi con opere che portano lo spettatore a confrontarsi con lo spazio inteso in senso pubblico come privato, collettivo o personale, e come luogo in cui spesso si consumano quelle logiche di separazione, esclusione, limitazione che costituiscono il terreno ideale di proliferazione di questo sentimento.
Infine sono proposte delle interpretazioni più intimiste, che muovono da una dimensione personale: i quadri della pittrice ladina Barbara Tavella, i disegni di Christian Niccoli e il testo di Massimo Grimaldi.
L’elemento che accomuna tutte le opere presenti in mostra è il tentativo di contrastare questo sentimento pericoloso e avvelenante attraverso molteplici strategie, che spaziano dall’umorismo alla poesia, dalla bellezza all’impegno personale.
SB: Mi ha colpito particolarmente il lavoro di Monika Sosnowska, Irregular Room (2002/ 2020). Potrebbe parlarmi di questa sua opera?
CR: In occasione di una presentazione del libro Risentimento a Merano, Sepp Mall, autore di uno dei racconti, ha risposto così alla domanda su cosa fosse per lui questo sentimento: “Il risentimento nasce quando manca lo spazio”. Mi sono quindi venute in mente le istallazioni di Monika, soprattutto le prime, realizzate all’inizio del 2000, con porte che si aprono ma non portava da nessuna parte o il corridoio che si restringe e non ha un’uscita (Untitled, Labyrinth 2003). E così ho chiesto a Monika se avesse voglia di pensare un lavoro per Kunst Meran Merano Arte. Abbiamo deciso di portare Irregular Room del 2002 e adattarla allo spazio espositivo.
Irregular room è costituita da un ambiente tortuoso dalle pareti dipinte con il verde tipico delle architetture socialiste. Apparentemente essa offre diversi percorsi ma di fatto blocca lo spettatore, portandolo a vivere quella sensazione di angoscia e di claustrofobica mancanza di spazio che spesso provoca il risentimento.
SB: Quali sono le potenzialità che ha individuato nello sviluppare una mostra attorno a un tema così complesso?
CR: Questo tema ha aperto
molte possibilità di dialogo e riflessione. Trattandosi di un sentimento non
del tutto chiaro e definito (come lo è per esempio la rabbia), esso ci tocca
tutti personalmente, al di là della sua accezione politica o sociale. Ho
parlato a lungo con gli artisti e abbiamo avuto delle discussioni molto intense,
spesso anche personali, indagando i significati del risentimento. Per questo avevamo programmato anche
una serie di eventi come workshop, discussioni o performance. Purtroppo tanti
di questi eventi non hanno potuto avere luogo ma abbiamo trovato delle
soluzioni in digitale per poter comunque dare degli input per riflettere sul
tema. Per esempio, non abbiamo potuto proporre la performance di Francesca
Grilli The forgetting of air;
tuttavia abbiamo deciso assieme all’artista di presentarla in una forma
differente, come se si trattasse di “istruzioni” per la performance stessa, sul
nostro sito. Abbiamo pubblicato sui nostri canali social anche statement degli
artisti, di autori come Sepp Mall e di musicisti.
Questo tema mi ha dato inoltre la
possibilità di includere dei nuovi elementi nella mostra e nel programma come
la meditazione di Beatrice Volpi, terapeuta specializzata in respiro, voce e
canto.
SB: Come è cambiato il suo lavoro in questi ultimi mesi, tra necessità operative e conseguenze impreviste?
CR: Come ho spiegato nella risposta precedente, abbiamo dovuto ripensare il programma pianificato, trovare nuove forme, sperimentare, valutare cosa avesse senso online e cosa no. Sono contenta che ora la mostra sia di nuovo aperta e che sia stato possibile prorogarla fino al 30 agosto. Alla fine, le mostre si devono vedere dal vivo.
SB: Come mai avete scelto di aprire la mostra con Vote Remain 23 June, ovvero con i poster che Wolfgang Tillmans ha realizzato in occasione del referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea?
CR: Wolfgang Tillmans ha creato un’installazione con i poster di differenti campagne: la prima è appunto quella in favore dell’Unione Europea che ha avviato nel 2016 in occasione del referendum sulla Brexit, proseguendo poi nel 2017 per le elezioni federali in Germania al fine di contrastare l’ascesa del partito di destra populista Alternative für Deutschland (AfD), mentre nel 2019 è tornato a dedicare l’iniziativa al sostegno per l’EU in concomitanza delle elezioni europee.
In queste campagne, Tillmans utilizza le sue opere – foto che di solito espone nei musei – per comunicare un messaggio, combinandole con dei testi che non sono né moralisti né minacciosi. Si tratta piuttosto di messaggi positivi, che esprimono una certa urgenza e che invitano ad attivarci. É un approccio forte di un artista contro una forma di risentimento molto presente in Europa.
SB: Quale declinazione del risentimento agisce in Transitional Space di Liesl Raff, che è una sorta di rifugio ispirato alla casa-laboratorio di Luis Barragán?
CR: Le sculture di Liesl Raff hanno sempre una forte presenza nello spazio, quasi umana. Per la mostra a Merano, Liesl si è posta la domanda su come confrontarsi con un sentimento così velenoso e su come “curarsi” da esso. Così ha creato queste due sculture con un tetto di lattice e foglie di palma, intese come una sorta di rifugio ma anche come un luogo di cambiamento, di cura, di presa di coscienza.
Si è ispirata a Luis Barragán, uno dei maggiori architetti messicani del XX secolo, che nella sua casa-laboratorio a Mexico City (attualmente visitabile) ha creato un “transitional space”, un luogo che offre la possibilità di fermarsi, di prepararsi al passaggio tra pubblico e privato.
SB: Come si sviluppa la lecture-performance che Wieland avrebbe dovuto presentare in occasione dell’opening e in che cosa consiste l’opera installativa del medesimo artista?
CR: Purtroppo a causa delle emergenze Covid-19, non abbiamo potuto inaugurare propriamente la mostra e anche la lecture-performance di Gernot Wieland, scritta appositamente, non ha potuto avere luogo. Probabilmente ci sarà la possibilità di presentarla a luglio. Le sue lecture-performance sono una combinazione di ricerca, fatti scientifici, ricordi e fiction inserite in una narrazione che alterna ironia, comicità e tristezza.
Il lavoro esposto in mostra, invece, non si collega direttamente alla lecture-performance ma è piuttosto un suo commento sarcastica e ironico al risentimento. “DEUTSCHER HUMOR” (Umorismo tedesco), scritto con lettere in MDF, è pensato come modello per un’opera monumentale, alta 22 metri, da realizzarsi nello spazio pubblico.
SB: Ci interessa approfondire il senso della precarietà e della giustizia sociale espressa da Raul Walch nelle sue sculture semoventi e fragili.
CR: Raul
Walch propone una ricerca artistica legata al contesto sociale e all’attivismo,
spesso attraverso pratiche nello spazio pubblico e azioni partecipative. Nel
suo lavoro – analogamente a quello di Wolfgang Tillmans – il confine tra arte e
impegno politico- sociale è volutamente fluido. Per la mostra ha realizzato un’opera semovente e sospesa – un “mobile” – costituita da diversi materiali e oggetti recuperati presso l’Ufficio oggetti smarriti di Merano. Questi oggetti, persi o abbandonati per le strade della città dalle diverse persone che la abitano o la visitano, si pongono come delle testimonianze di presenze talvolta di passaggio, ignote o esterne. Il “mobile” di Walch unisce delle specie di aquiloni, cuciti dall’artista con stoffe di ombrelli e giacche trovati, ad alcuni oggetti come delle chiavi o un block notes, creando una struttura movente che riflette il delicato e fragilissimo equilibrio della giustizia sociale.
L’ aquilone è un elemento che ritorna nei lavori di Walch. Una delle prime volte che ha lavorato con essi è stato nel campo per rifugiati di Idomeni, in Grecia, dove li ha costruiti ai bambini con materiali trovati nel posto. Gli aquiloni sono giocattoli, ma sono anche simboli di libertà, della possibilità di volare oltre i confini.