Tra i Main Projects di Art City Bologna 2019, sono da segnalare due progetti espositivi visitabili a Palazzo d’Accursio in Piazza Maggiore: da una parte c’è Sala Farnese che ospita fino al 3 marzo la mostra dedicata a Massimo Kaufmann (nato a Milano nel 1963, vive e lavora tra New York e Milano), Massimo Kaufmann. Mille fiate a cura di Giusi Affronti; dall’altra, nel Cortile d’Onore, l’installazione di putrelle rosse in acciaio Ipe140 UNI-VERSO di Eduard Habicher (nato a Malles -Bz- nel 1956, vive e lavora a Merano), a cura di Gabriele Salvaterra, fino al 28 febbraio.
L’artista altoatesino è presentato anche nella personale Eppur si muove presso la galleria bolognese Studio G7 fino al 27 aprile: qui Habicher espone i suoi ultimi lavori in acciaio inox smerigliato e vetro di Murano dove la pesantezza dell’acciaio e la leggerezza della costruzione entrano in contraddizione tra loro, creando un rapporto “quasi amorevole” tra i materiali che sono connessi, legati, intrecciati e “abbracciati” tra loro: forme che si com-prendono le une nelle altre. Un vetro di Murano che “è scelto tra gli scarti di produzione delle manifatture muranesi e successivamente ri-lavorato per declinare in altra maniera quella poetica del salvataggio e della protezione che si ripropone con costante sincerità nelle forme dell’artista.” Esposta in galleria è anche un’installazione di sculture-pendolo che oscillano e in cui, al movimento, si associa il rumore ritmico dell’elemento sospeso: si tratta di una serie che, come scrive il curatore, “senza temere di essere rudemente sofisticata ed elegante, entra nello spazio e nel tempo delle persone, si relaziona a loro e si lascia toccare”. Converso con il curatore Gabriele Salvaterra intorno alla ricerca di Habicher e mi parla di anti-monumentalismo, studio della levità e del vuoto: citando Fausto Melotti ma anche Eduardo Chillida, propone un excursus sul rapporto tra vuoto e pieno nella pratica scultorea e sottolinea come l’installazione di Palazzo d’Accursio scavi lo spazio vuoto attorno a sè e sembri “esplodere” nell’ambiente con leggerezza, a formare una sorta di grotta o caverna in cui si è chiamati ad entrare.
“Si è sviluppato nel corso del Novecento un percorso per la scultura contemporanea che, partendo dall’oggetto-trovato – spesso di provenienza industriale – saldato e assemblato, riesce ad avventurarsi nei territori dell’espressione e della poesia, sovvertendo i presupposti freddi e refrattari dei materiali di partenza. Non è un caso che l’espressionismo astratto in scultura si sostanzi proprio in queste procedure di composizione di unità distinte, dove l’aspetto oggettuale delle parti riesce a connettersi paradossalmente al vissuto dell’autore e al suo inconscio, “scaldandosi” al fuoco del suo essere. Eduard Habicher si posiziona in questo flusso ancora vivo della scultura contemporanea con il suo inimitabile apporto, quello che riserva alla piegatura e alla curvatura di un materiale costruttivo funzionale e assolutamente impenetrabile, un senso di delicatezza, di disegno spontaneo che si muove a costellare lo spazio attraverso i suoi vuoti.”
UNI-VERSO è in effetti una struttura che trae la sua forza e la sua bellezza da questa contraddizione: delimita e commenta lo spazio dando l’impressione di essere un segno grafico filiforme e organico che vive nell’ambiente attorno a sè, più che una costruzione regolata sui principi di modellazione, solidità e volume della plastica scultorea, “che ha la stessa efficacia costruttiva e semplicità della tensione di una corda in un ambiente o del tracciato di un solco in un campo”.
—
Entrando in Sala Farnese, invece, si ha l’impressione di essere completamente accerchiati dalla ricchezza e dalla pienezza degli affreschi del XVII secolo della bottega di Carlo Cignani che rappresentano otto episodi della storia di Bologna e dalle meravigliose decorazioni geometriche della pavimentazione. In questo contesto connotatissimo, si pone l’allestimento delle grandi tele di Massimo Kaufmann che delimitano e disegnano lo spazio. Giusi Affronti, curatrice della mostra, mi dice che il contesto è parso fin da subito quello giusto, proprio per creare un dialogo tra il linguaggio dell’artista e le forme della sala: le tele di Kaufmann, che sono piegate e assemblate tra loro a formare dittici o trittici, sono delle quinte teatrali coloratissime, astratte, decorate a patterns ripetuti e variati allo stesso tempo, senza narrazione né allusione al figurativo.
L’artista pone sulla superficie con il contagocce le macchie di colore con una tecnica definita “dropping”, un lavoro meticoloso e paziente di gocciolatura di punti di colore: esso genera un effetto particolare di trasparenza, dato dalle sovrapposizioni degli strati a gocce che creano dei percorsi sulla superficie (e che a volte sono posti sopra porzioni di tela colorate a strisce con campiture piatte).
“L’allestimento” scrive la curatrice “lascia scoperta l’ossatura delle tele e l’epidermide e il derma della pittura: velature, trasparenze, profondità, stratificazioni, aree luminose, altre di ombra profonda e trame puntiformi sembrano sovrapporsi, senza gerarchia tra i piani. La trama di pigmenti e colore sembra trasformarsi, quasi come per sublimazione, dallo stato solido a quello gassoso e viceversa.” Il titolo della mostra è una citazione dal Canzoniere (Rerum Vulgarium Fragmenta) di Francesco Petrarca e indica l’ispirazione letteraria della pittura di Kaufmann, che si può intendere come meditazione filosofica, pratica sul medium ma anche spazio dell’emotività e dell’energia.
Habicher e Kaufmann, quasi accostati nello spazio di Palazzo d’Accursio, parlano linguaggi diversi ma sottolineano entrambi una fertile e ancora attuale vena astratta, spirituale ed emozionale dell’arte contemporanea, attraverso il colore uno e attraverso la materia l’altro.