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Push the Limits | Fondazione Merz, Torino

Come ricorda Remo Bodei “la poesia e le arti appaiono come modi di potenziamento del senso della realtà, materializzazione sensibile di un mondo più vero di quello offerto dalla percezione”. L’arte rinvia a se stessa e al contempo ad altro: fa apparire qualcosa e lo evoca senza classificarlo. Il linguaggio artistico è in grado di […]

Chiharu Shiota Where are we going?, 2017-2020, metal frames, cotton thread, glue, ropes dimensioni variabili | Courtesy the artist; Galerie Templon, Paris, Brussels – Sue Williamson Other voices, other cities, 2009 – 2017 | pigment inks on archival cotton rag paper, variable dimensions – Katharina Grosse, The horse trotted a little bit further, 2020, acrylic on fabric cm 5500 x 1500 Courtesy Barbara Gross Galerie; Gagosian Gallery © Katharina Grosse and VG Bild-Kunst, Bonn Photo Renato Ghiazza – Fondazione Mario Merz, Turin, 2020
Sue Williamson, Other voices, other cities, 2009 – 2017, pigment inks on archival cotton rag paper, variable dimensions – Chiharu Shiota, Where are we going?, 2017-2020, metal frames, cotton thread, glue, ropes, variable dimensions – Courtesy the artist; Galerie Templon, Paris, Brussels – Jenny Holzer SWORN STATEMENT, 2019, 4-sided RGB LED sign unique | cm 304.8 x 14 x 14 Courtesy the artist; Hauser & Wirth Photo Renato Ghiazza – Fondazione Mario Merz, Turin, 2020

Come ricorda Remo Bodei “la poesia e le arti appaiono come modi di potenziamento del senso della realtà, materializzazione sensibile di un mondo più vero di quello offerto dalla percezione”. L’arte rinvia a se stessa e al contempo ad altro: fa apparire qualcosa e lo evoca senza classificarlo. Il linguaggio artistico è in grado di parlare dell’oltre e sconfinare immagini, saperi e tradizioni per ribaltare l’asse del pensiero comune.
Questa possibilità di cambio di prospettiva è ben evidente nei lavori delle diciassette artiste esposte in Push The Limits, il nuovo progetto espositivo della Fondazione Merz di Torino a cura di Claudia Gioia e Beatrice Merz. La mostra si pone come un’esperienza immersiva nel trascendere i concetti di limite e differenza. Il tema del confine e del suo superamento è presente già all’ingresso dello spazio espositivo: un voluminoso tessuto macchiato con della vernice dai colori squillanti ostacola la visione dell’interno della sala e invita lo spettatore ad attraversare le sue pieghe labirintiche. Si tratta di The horse trotted a little bit further (2020) dell’artista Katharina Grosse, un’opera dal carattere scultoreo, pittorico e performativo che indaga le possibilità spaziali e temporali di un luogo. Usciti dalle increspature e dai nodi di stoffa dell’artista tedesca, Shirin Neshat con Sarah (2016) accompagna il visitatore in una foresta dall’atmosfera onirica in cui una donna a piedi scalzi corre spaventata, come smarrita, in mezzo agli alberi coperti in parte dalla nebbia. “Sarah incarna l’esperienza dell’individuo oppresso dalla paura e dalla morte […] ma anche la libertà del gesto e dell’opporre un no” racconta l’artista. Il film è parte della trilogia chiamata Dreamers, che include Illusions & Mirrors (2013) e Roja (2016).

Lungo una delle pareti dello spazio espositivo della Fondazione Barbara Kruger realizza un’opera site-specific e riporta un messaggio ben preciso: “Pensa a me pensando a te”. Con Untitled (2019) l’artista invita lo spettatore a riflettere intorno a nuovi modi di rapportarsi con gli altri nell’era contemporanea in grado di superare l’egoismo e i propri limiti. Ai piedi dell’opera dell’artista americana si trova un tappeto in feltro sul quale sono incise alcune frasi difficili da comprendere nella loro interezza: lo spettatore per leggere il testo intagliato deve infatti muoversi intorno all’opera alla ricerca di un nuova interpretazione di senso. Rosa Barbara con Sea sick passanger (2014) mette in atto un rovesciamento di ruoli in cui il visitatore si trasforma in editore mentre rilegge in modo personale il testo inciso.

Shilpa Gupta WheredoIendandyoubegin, 2012, led based light installation cm 880 x 68 x 10 Courtesy the artist; GALLERIA CONTINUA Photo Renato Ghiazza
Cinthia Marcelle, The family in disorder, 2020 Cinthia Marcelle with the participation of Michela Depetris, Mario Petriccione, Rasha Shokair, Enrico Veglio shoelaces, matchboxes, cotton bolts, black plastic sheeting, brown paper, bricks, masking tape, hook and loop fastener tape, chalks, stones, topsoil, gaffer tape, hemp rope, notebooks, chicken feathers, wood battens, carpet Courtesy the artist; Galeria Vermelho; Silvia Cintra + Box4; Sprovieri Gallery
Sue Williamson Other Voices, Other Cities, 2009 – 2017 pigment inks on archival cotton rag paper exhibition copy; the work is produced for the show variable dimensions

Carrie Mae Weems con Constructing History, A requiem to Mark the Moment (2008) riporta alla memoria testimonianze di alcune battaglie avvenute in passato per i movimenti dei diritti civili.  Attraverso immagini iconiche racconta avvenimenti epocali come l’arresto dell’attivista Angela Davis e gli scontri all’università di Kent in Ohio nel 1970. In sintonia con il desiderio di trasformazione e di nuova azione, l’installazione Where are we going? (2017-2020) riporta l’immagine di una flotta di barche che fluttuano compatte. L’artista giapponese Chiharu Shiota vede nella simbologia della barca l’espressione della vita e del desiderio di essere. Non distante, l’installazione a LED di Jenny Holzer SWORN STATEMENT (2019) prosegue la battaglia dell’artista americana contro la mistificazione della realtà. A ripetizione vengono fatte scorrere alcune frasi estratti dalle testimonianze dei rapporti degli investigatori dell’Army’s Criminal Investigation Command (CID) raccolti nel 2004. In contemporanea il brano sonoro Brendan’s Isle (2010) di Flona Tan viene riprodotto su diversi dispositivi collocati nello spazio espositivo: una poesia olandese di età medievale racconta le avventure del monaco benedettino irlandese Brenda (483-577).

Un enorme diamante prismatico dalla superficie riflettente, cattura e distorce la realtà intorno: si tratta di Diamond of Otherness – Kaleidoscope of the motions of the soul (2020) dell’artista greca Maria Papadimitriou. Il lavoro si ispira alla frase di Arthur Rimbaud Je est un autre (Io è un altro) e allude al concetto di divenire e alla necessità di un’arte che si faccia traino per un rinnovamento. Anche Cinthia Marcelle riflette sull’occupazione e la trasformazione dello spazio accessibile al pubblico e sull’importanza dell’azione collettiva. Con The family in disorder (2020) l’artista di origine brasiliana realizza – utilizzando pari quantità di materiali naturali e artificiali – due ambienti: uno perfettamente ordinato e l’altro smantellato e riorganizzato.

Guardare oltre la sfera pubblica e personale per entrare in intimità con l’artista è la sfida che lancia Sophie Call con Parce que (2018): lo spettatore è invitato a leggere una serie di frasi ricamate su alcuni tessuti fissati a muro per poi scoprire le fotografie nascoste dietro. L’azione crea giochi di parole e spostamenti di senso che riflettono sul rapporto tra artista e spettatore. A fianco Mona Hatoum invita e al contempo respinge il visitatore: l’installazione Impenetrable (2009) evoca strutture architettoniche che appaiono aperte ma che, osservate da punti di vista differenti, sembrano nate per confinare e dividere. L’opera riflette sul concetto di barriera spesso presente nella nostra società e nasce come reinterpretazione della serie Penetrable dell’artista venezuelano Jesus Rafael Soto.

Bouchra Khalili Twenty-Two Hours, 2018 digital film, 4K colour, sound  45′ | ed. of 5 + 2 AP Courtesy the artist and mor charpentier, Paris
Emily Jacir Pietrapertosa, 2019 – 2020 Pietra Gorgone | stone Gorgoglione  179 cm Ø Prodotta da | produced by Fondazione Matera Basilicata 2019, Fondazione Merz In collaborazione con | in collaboration with Comune di Pietrapertosa assistenti al progetto | assistants on the project Giuseppe Nora, Qais Assali Courtesy l’artista | the artist; Fondazione Matera Basilicata 2019, Fondazione Merz, Comune di Pietrapertosa
Barbara Kruger Untitled (Pensa a me pensando a te), 2019 digital print on vinyl the work is produced for the show site specific dimensions Courtesy the artist and Sprüth Magers

“Cosa significa scegliere di vivere in un determinato luogo e come definire il carattere della propria città?” Sue Williamson lo ha chiesto ad un gruppo di giovani che hanno partecipato a un seminario e le loro risposte sono state successivamente intagliate e dipinte per poi essere fotografate in un luogo appropriato. A Other Voices, Other Cities (2009-2017 ) si affianca in mostra un altro lavoro dell’artista sudafricana, Voices from the Cities (2020), che gioca con la realtà virtuale negli spazi esterni della Fondazione. Sempre all’esterno, l’artista Shilpa Gupta realizza una scritta luminosa di circa otto metri che recita “Dove io finisco e tu inizi” (Where do I end and you begin, 2012), mentre Emily Jacir con Pietrapertosa (2019-2020) riflette sul carattere errante della parola e incide sulla pietra un’effige (in italiano e in arabo) che dice: “Sei venuto tra la nostra gente e la tua vita è sicura”. L’opera verrà posta alle porte del paese Pietrapertosa in Basilicata.

Al piano inferiore della Fondazione si trova l’installazione Amazon Spirits (2018) nella quale Pamela Rosenkranz unisce il suo interesse per l’Amazzonia con la storia dell’omonimo colosso mondiale combinando sedie d’ufficio e scatole con il logo Amazon a fischi e cinguettii che rimandano alla foresta tropicale. Lo spazio immerso in una luce brillante che va dal bianco, al blu, al verde rende la scena ancora più ambigua e sottolinea le contraddizioni tra stili di vita e consumi contemporanei e la loro compatibilità con la vita naturale terrestre. Infine, nella sala al primo piano si trova Twenty-two Hours (2018) il film dell’artista marocchina Bouchra Khalili Casablanca. Al centro della sua ricerca il tema della memoria e la trasmissione della Storia alle giovani generazioni. L’artista porta avanti una ricerca sull’esperienza del Black Parther Party nel New England e in particolare sull’incontro di alcuni suoi esponenti con il poeta francese Jean Genet che espresse in più occasioni appoggio al movimento. In mostra è presente anche The Radical Ally, il magazine realizzato dall’artista con alcuni still dal video, scritti e interviste inedite.

Push the limits è un tentativo di ripensare e mettere in discussione lo status quo attraverso un desiderio forte e travolgente di reazione a qualcosa di non chiaro. In un’ottica di cambiamento e miglioramento, le artiste in mostra propongono uno spostamento di sguardo, una rilettura sul tema del limite e del suo oltrepassamento.

Push the limits
a cura di Claudia Gioia e Beatrice Merz
Fondazione Merz, Torino
Fino al 31 gennaio 2021

Mona Hatoum Impenetrable, 2009 acciaio con finitura nera, filo da pesca | black- painted steel, fishing wire exhibition copy; cm 300 × 300 × 300 Courtesy the artist Photo Renato Ghiazza – Fondazione Mario Merz, Turin, 2020
Pamela Rosenkranz Amazon Spirits, 2018 installazione site specific con 11 Amazon Spirits e 4 Alien Blue Windows site specific installation con 11 Amazon Spirits e 4 Alien Blue Windows lightex, LED, cornice anodizzata, controllo remoto, sedie, pellicola trasparente, acrilico e anemina, guanti di lattice, cestino dei rifiuti, piedistallo, plexiglas, batterie alcaline, cassa Amazon Echo smart, suono dimensioni variabili Courtesy l’artista e Karma International, Zurich lightex, LED, anodised frame, remote control, chairs, transparent foil, Acrylic and Anemine, latex gloves, waste basket, pedestal, plexiglas, alkaline batteries, Amazon Echo smart speaker, sound variable dimensions Courtesy the artist and Karma International, Zurich