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Primary Domain, ORDET | Intervista con Edoardo Bonaspetti

Ancora alcuni giorni per visitare Primary domain, la collettiva dedicata alla città di Milano e alla sua giovane generazione di artisti, ospitata fino al 30 luglio negli spazi di Ordet. Il progetto espositivo presenta la produzione di otto artisti nati...

Primary domain, exhibition view, Ordet, Milan, 2021 Courtesy the artists and Ordet, Milan Photo Credit: Nicola Gnesi Studio

Ancora alcuni giorni per visitare Primary domain, la collettiva dedicata alla città di Milano e alla sua giovane generazione di artisti, ospitata fino al 30 luglio negli spazi di Ordet. Il progetto espositivo presenta la produzione di otto artisti nati tra il ’92 e il ’96, cresciuti o formatisi a Milano: Federico Cantale, Stefania Carlotti, Guendalina Cerruti, Jimmy Milani, Giacomo Montanelli, Sara Ravelli, Giulio Scalisi e Agnese Smaldone
Per capire meglio il taglio della mostra, Simona Squadrito ha posto alcune domande a Edoardo Bonaspetti –  direttore dello spazio con Stefano Cernuschi – relative alla mostra, ai prossimi progetti di Ordet e alla casa editrice Lenz

Simona Squadrito: Primary domain è stata concepita con l’idea di valorizzare la generazione più giovane di artisti italiani che lavoravano soprattutto sul territorio meneghino. Gli otto artisti che avete indicato come rappresentativi di una generazione. Evitando semplici generalizzazioni e ragionando rispetto alla tua lunga e fortunata esperienza, come possiamo raccontare a parole questa generazione? Cosa rende questi artisti rappresentativi? 

Edoardo Bonaspetti: La mostra è dedicata alla nostra città e alla sua più giovane generazione. Dopo aver preso in esame diversi portfolio e organizzato studio visit, abbiamo selezionato otto artisti, tutti nati tra il ’92 e il ’96, cresciuti o formatisi a Milano. Primary domain è un progetto espositivo che vuole raccontare un’area geografica e delle coordinate temporali precise e circoscritte, che ne testimonia la varietà di linguaggi e di pratiche. Farei attenzione ad allargare lo spettro o dare dei giudizi generali, posso dirti però che sono emersi alcuni interessi ricorrenti come una particolare attenzione agli aspetti formali delle opere, alle dinamiche di produzione e di consumo sovranazionali, alle fragilità e alla salvaguardia delle dimensioni emotive. 

S.S: La giovane generazione è meno legata ad un’idea di identità forte, sia questa  territoriale o linguistica/formale. Connessi in tempo reale con tutto il mondo, i “giovani” tendono a costruire un linguaggio globale e con questo non intendo omologato.  Dal tuo punto di vita cosa accomuna e cosa differenzia questo gruppo di artisti con i loro coetanei e colleghi stranieri? 

EB: È chiaro che uno stato di connessione pressoché permanente ha nutrito una dimensione globale e creato una vicinanza di visioni. Per quanto questo senso di appartenenza sia esteso, e i relativi linguaggi siano condivisi a livello globale, non penso che questi artisti si sentano parte delle medesime storie. È naturale assorbire e rielaborare quello che ci accade attorno, ma i processi di riconoscimento, formazione e identità sono questioni complesse. Mi ha fatto piacere scoprire che alcuni degli artisti in mostra si siano trasferiti temporaneamente all’estero, per partecipare a residenze o altre esperienze che saranno certamente occasione di crescita. Questi confronti sono particolarmente utili ad approfondire i propri interessi, chiarire le specificità delle pratiche individuali, ampliare le opportunità e gli orizzonti e non correre il rischio di ridurre il proprio lavoro a emulazione o replica.

Primary domain, exhibition view, Ordet, Milan, 2021 Courtesy the artists and Ordet, Milan Photo Credit: Nicola Gnesi Studio

S.S:  Primary domain oltre a concentrasi su un gruppo di artisti che operano in un determinato luogo, vuole raccontare e suggerire qualcos’altro? Alla luce della selezione dei lavori c’è un suggerimento di tipo estetico e narrativo ? Qual è stata la logica nella selezione delle opere? 

EB: Prima di tutto ci tenevamo a organizzare un mostra che fosse un’occasione per mettere in luce le nuove istanze del panorama artistico con cui ci confrontiamo quotidianamente. È importante creare queste circostanze e contribuire a dare voce alle nuove generazioni, sono eventi di cui il mondo dell’arte ha sempre bisogno, anche per far sistema. La scelta degli artisti si è basata sulla capacità di operare una sintesi tra la qualità della ricerca e la sua espressione formale, sulla loro originalità delle opere e sulla varietà di mezzi espressivi. Ci siamo inoltre concentrati su lavori inediti: sono quasi tutte nuove produzioni. Stiamo pensando di rendere questo appuntamento annuale, magari definendo di volta in volta formule diverse. Lavorare con i ragazzi ci ha appassionato, e le soluzioni che si possono adottare sono molteplici.

S.S: Il display espositivo è stato realizzato da Armature Globale, cha hanno ragionato installando delle pareti divisorie, lasciate con il loro grezzo rivestimento. Qual è l’impatto visivo del connubio di anmallen e mallen e per quale motivo si è deciso di applicare i principi dell’edilizia civile allo spazio espositivo? 

EB: Il display di Armature Globale è sia un’analisi che un’operazione di de-costruzione dei protocolli espositivi generalmente utilizzati dal sistema dell’arte, e dei relativi standard. Nell’allestimento c’è un’intenzionale ambiguità tra i principi e le azioni propri dei professionisti dell’edilizia e quelli al servizio del mercato dell’arte. L’intervento dello studio milanese evidenzia la conformità di soluzioni adottate da quest’ultimo e ne sfrutta i dispositivi a critica dell’uniformità di modelli e di pratiche adottate. 

S.S: Vuoi anticiparci qualcosa sulla prossima stagione di Ordet? 

EB: A settembre inaugureremo un progetto espositivo che mette in dialogo i lavori di Jeremy Shaw e Alicja Kwade. La mostra si concentrerà sui temi comuni alle loro ricerche, come la percezione della realtà, l’esplorazione di stati alterati di coscienza e i limiti dell’esperienza sensibile. Nella seconda metà di novembre apriremo invece la prima personale in Italia dell’artista svedese, di base a Londra, Ghislaine Leung, che chiuderà il nostro calendario 2021.

S.S: Insieme a Stefano Cernuschi siete co-direttori di Ordet e avete da poco inaugurato Lenz, un progetto editoriale dedicato all’arte e ai linguaggi contemporanei. Cosa ti ha spinto ad intraprendere nuovamente la strada dell’editoria? Cosa pensi possa portare di nuovo Lenz al panorama editoriale italiano dell’arte contemporanea?

EB: Il mio lavoro si è sempre diviso tra l’organizzazione di progetti espositivi, gli impegni curatoriali e una passione per il mondo delle pubblicazioni. È stato quindi un processo quasi naturale che all’attività da Ordet e alla mia direzione della Fondazione Henraux si accompagnasse una nuova iniziativa editoriale.
Lenz è una casa editrice d’arte ma con un approccio multi-disciplinare. Abbiamo inaugurato ad ottobre e ci sta già dando molte gratificazioni: in breve tempo sono nate collaborazioni con importanti istituzioni italiane e straniere, e con molti artisti che stimiamo. Per il momento abbiamo pubblicato una decina di titoli, a cui se ne aggiungeranno circa altrettanti entro fine anno. A brevissimo lanceremo la prima monografia di Lawrence Abu Hamdan, cataloghi di Alessandro Pessoli, James Richards, Nairy Baghramian e Gili Tal, e la pubblicazione di Shahryar Nashat per lo Swiss Institute di New York, per cui cureremo tutti i prossimi titoli. Tra le prossime uscite anche due libri legati al mondo dell’architettura, con Mauro Restiffe e le sue foto della Villa Santo Sospir e uno con Armin Linke. Le linee guida sono la cura nella realizzazione di ciascun libro, la qualità del catalogo e il posizionamento in un panorama internazionale. 

Primary domain, exhibition view, Ordet, Milan, 2021 Courtesy the artists and Ordet, Milan Photo Credit: Nicola Gnesi Studio