Palazzo Marietti diviene un teatro di immagini vaganti. Sono le opere di Pietro Consagra, tra i protagonisti della scultura italiana del secondo Novecento, che la galleria Tommaso Calabro ospita dal 30 settembre al 10 dicembre 2022. La mostra, a cura di Paola Nicolin e con il supporto di Archivio Pietro Consagra e Archivio Ugo Mulas, intende esporre un aspetto inedito nell’opera dell’artista, i Lenzuoli, eseguiti dall’artista a partire dal 1967 all’arrivo nella città americana di Minneapolis.
Il percorso espositivo si arricchisce di un paio di gigantografie della mostra presso la Galleria dell’Ariete nel 1967 ottenute dagli originali di Ugo Mulas, con il quale Consagra pubblica “Fotografare l’Arte”, edito da Fratelli Fabbri nel 1973 con introduzione di Umberto Eco. Proprio quell’esposizione viene ricostruita in un frammento, facendo delle prime sale una pagina di storia delle mostre tanto quanto un capitolo biografico.
La serie dei quattro Spessori in prospettiva dichiara fin dall’ingresso il nucleo argomentativo dell’opera di Consagra: quello della scultura ma soprattutto dei suoi spessori. Questa attitudine lo porta, trentaduenne, ad opporsi a quella crisi denunciata ne “La scultura lingua morta” di Arturo Martini, gettando le basi di un’interpretazione astratta e di forte volontà di decostruzione, al centro del saggio “Necessità della scultura”. La scultura classica, dichiarava l’artista, obbliga un centro autoritario in cui piazzarsi, tale da permettere la rotazione attorno all’opera in quanto oggetto tridimensionale. Consagra intende liberare la scultura da questo vincolo di potere attraverso uno snaturamento della visione tridimensionale, a favore di una visione frontale. Ne consegue l’ontologia della scultura frontale, scevra di ogni passato storico quindi finalmente libera: non si sviluppa su tre dimensioni perché non crede più ad alcuna ideologia. È libera nell’articolarsi in qualunque modo, eccezion fatta che per lo spazio tradizionale. Confesserà l’artista: “L’ubicazione frontale come altra mentalità mi è stata risolutiva per continuare a fare lo scultore. Scoprivo che più della scultura per me era primaria l’uscita dal centro: l’ubicazione come significato. Introducendo l’ubicazione come elemento plastico, potevo osservare la scultura in modo che altrimenti non si sarebbe rivelata”. Ecco quindi i Piani, gli Inventari, i Ferri, ovvero un’antologia di sculture bifronti che raccontano questo rapporto di riflessione con lo spessore. Il ragionamento sul colore, che in seguito spingerà Consagra ad intraprendere l’uso del marmo e dell’alabastro, è una battaglia aperta: forma e colore vivono in una dimensione di competitività.
Quella di Consagra è quindi una continua ricerca teoretica e pratica attorno al tema della scultura, della materia ma soprattutto di una vera e propria filosofia dello spessore, il cui studio presto si dipana sui due opposti di scala: la Città frontale come massimo e le Sottilissime, presenti in mostra, come minimo possibile. Ogni scultura si compone di piani sottili, minimi lembi di materia accostati e, nel caso delle Sottilissime, singole lamine traforate, che l’artista studia con la massima attenzione: per generare l’opera è necessaria una inarrestabile redazione di disegni e studi grafici, seguiti da uno o più modellini in legno che forse consentono il raggiungimento dell’oggetto finale.
Dichiarava in un suggestivo dialogo con Carla Lonzi: “Io ho sempre costruito una scultura. L’ho disegnata, ho preso del materiale – laminati metallici o assi di legno – li ho ritagliati, incollati, saldati, inchiodati, e quindi già tecnicamente la mia scultura si distingue da tutta la scultura modellata in genere”. Impossibile non identificare in filigrana un’attitudine costruttivista comune con il progettista o con l’architetto, che generalmente segue la stessa regola. A questo proposito, Consagra si carica di una responsabilità creativa nella quale anche l’architettura del Funzionalismo moderno viene profondamente rivoluzionata in favore di una fruizione estetica spesso bidimensionale. Ne è testimonianza il costruito a Gibellina, tuttora esistente, e il progetto per la piazza di Mazara del Vallo, suo paese natale, ambasciatore del concetto di finestra-scultura, o ancora la serie di mobili presenti in mostra, che tanto possono ricordare quel design radicale del gruppo Memphis, pur agli antipodi.
L’ultimo ambiente rappresenta forse il più significativo capitolo di sperimentazione dell’artista, quello dei Lenzuoli, al centro delle ricerche della curatrice. Un supporto diafano e volatile sul quale Consagra lavora liberamente per generare quel mosaico di immagini vaganti, come le definisce egli stesso nel 1974 nell’introdurre la mostra “Variazioni di Pietro Consagra. Quattro lenzuoli dipinti a mano”. Scriveva: “La sola cosa che sono riuscito a fare per me, adatta al mio modo personale di vivere, per la mia casa, per le mie diverse case vuote, è stato di coprire i muri rintronanti di aridità e solitudine con stoffe, con lenzuoli su cui ritagliare e dipingere immagini”. Quindi agire sull’ambiente, addolcirne il carattere ed intiepidirne il tono, rompere la continuità geometrica attraverso l’introduzione di elementi effimeri.
In “Pietro Consagra, un classico dell’arte”, Giulio Carlo Argan si esprimerà in modo sostanziale: “Io considero che il percorso che ha fatto la scultura di Consagra, sia un percorso estremamente coerente giustificabile in tutti i suoi passaggi e che è particolarmente importante la dimostrazione reale, fisica che ha dato alla sua concezione vasta delle spazio in senso ambientale […] attraverso delle grandi composizioni che non sono più soltanto delle proposte o delle ipotesi di rapporto con lo spazio ma sono veramente una realizzazione di un nuovo rapporto tra oggetto e spazio. […] Inserire nell’ambiente delle opere che non rispecchiassero soltanto l’ambiente ma lo mutassero […] questo a me pare uno degli aspetti più originali e nuovi dell’opera di Consagra”. Immagini vaganti non può che rendercene consapevoli.