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Fragile abbastanza da poter immaginare un futuro | Intervista a Petrit Halilaj

Vincitore della seconda edizione del Mario Merz Prize, Petrit Halilaj chiude negli spazi della Fondazione Merz un progetto in tre atti, curato da Leonardo Bigazzi, iniziato con una performance a Runik, città natale dell’artista kosovaro, e proseguito con una mostra...

Petrit Halilaj. Shkrepëtima, 29 October 2018 – 3 February 2019 , Exhibition view -  Fondazione Merz, Turin - Photo Renato Ghiazza
Petrit Halilaj. Shkrepëtima, 29 October 2018 – 3 February 2019 , Exhibition view – Fondazione Merz, Turin – Photo Renato Ghiazza

Vincitore della seconda edizione del Mario Merz Prize, Petrit Halilaj chiude negli spazi della Fondazione Merz un progetto in tre atti, curato da Leonardo Bigazzi, iniziato con una performance a Runik, città natale dell’artista kosovaro, e proseguito con una mostra al Zentrum Paul Klee di Berna.
Negli spazi dell’ex centrale elettrica l’artista ha portato elementi originali della Casa della Cultura di Runik, che per trent’anni è stata il simbolo della produzione culturale del paese, poi abbandonata e parzialmente distrutta durante la guerra del Kosovo negli anni novanta.

Nelle memorie rimaste intrappolate nelle rovine, l’artista ha trovato la spinta per recuperare una narrazione collettiva e per riattivare un’identità culturale, perché i cittadini potessero avere qualcosa in cui riflettersi e riconoscersi.
Una cascata di frammenti prelevati a Runik fluttua leggera giù dal soffitto della prima sala e fa da fondale al letto che è l’elemento di scena che ha aperto la performance. Gli attori entravano in scena portando sul letto il personaggio che in sogno avrebbe visto il teatro rianimarsi, con un susseguirsi di frammenti di vecchie opere teatrali della tradizione albanese. Tra i materiali che compongono il letto, alcune ocarine, antichi strumenti a fiato, riconducono all’anima sonora della performance, nonché agli esordi del progetto. Lo strumento, risalente al Neolitico, è una delle prime testimonianze di manufatti nell’area dei Balcani, che nella sua semplicità diventa il simbolo di un patrimonio culturale antichissimo, cui bisogna attingere per recuperare una fierezza che col disastro della guerra è stata messa a tacere.

Il resto dello spazio è configurato attraverso gli elementi di scena che hanno reso possibile la performance, dalle tende rosse ai fondali dipinti ad altri elementi che tornano riconoscibili nel video, tappa conclusiva della mostra. Gli elementi rimossi dal loro ambiente originario subiscono un processo di riappropriazione e risemantizzazione all’interno dello spazio espositivo, in cui ridisegnano il perimetro della Casa della Cultura, riuscendo a liberarsi dal peso di una storia dolorosa e prestandosi a diventare materia viva di produzione culturale.

Petrit Halilaj. Shkrepëtima, 29 October 2018 – 3 February 2019 , Exhibition view -  Fondazione Merz, Turin - Photo Renato Ghiazza
Petrit Halilaj. Shkrepëtima, 29 October 2018 – 3 February 2019 , Exhibition view – Fondazione Merz, Turin – Photo Renato Ghiazza

Mariacarla Molè: Perché hai deciso di lavorare sulla Casa della Cultura di Runik, cosa rappresenta quel luogo per te?

Petrit Halilaj: Sentivo il bisogno di riallacciare un nodo con il passato di un luogo che fino al 1989 è stato fondamentale per la produzione culturale e per la creazione di un’identità collettiva. C’erano una rivista, una biblioteca, un teatro, venivano prodotti spettacoli, proiettati film ecc. ma quando la situazione politica s’è incrinata sono stati tagliati i finanziamenti, e poi con la guerra e il divieto di diffondere opere albanesi, la Casa è stata completamente abbandonata.
Sono tornato in quei luoghi con alcuni attori che avevano lavorato lì, all’inizio erano un po’ reticenti perché è grande il dispiacere per lo stato di abbandono, ma nei loro racconti e nei loro ricordi ho trovato una fierezza che ho visto annientata negli anni della guerra.
È per questo che sono voluto partire proprio da lì, da quelle visioni, per risvegliarle, perché ero convinto che solo riattivando le memorie legate al luogo sarebbe stato possibile farlo rivivere.
Metaforicamente per me far riapparire i sipari rossi e i fondali dipinti, che abbiamo poi portato in mostra, era un modo per riconnettere un passato glorioso a un presente in declino. E per riallacciare questo nodo avevo bisogno di un’energia enorme, di un forte sincretismo tra suono, sculture, performance e installazione, solo questa sovrapposizione di dimensioni mi è sembrata forte abbastanza da contrastare eventi altrettanto forti come vedere la Casa della Cultura in macerie, o assistere alla rovina di un paese intero. È stato un processo molto lungo quello che ha portato alla performance che è durata un giorno, e se ci pensi è strano che tanto lavoro si estingua in un solo giorno, ma volevo fosse come una scintilla capace di riaccendere di nuovo quel luogo.

MM: Per questo Shkrepëtima, che in albanese vuol dire lampo, scintilla, e per estensione quindi un pensiero capace di svegliare le coscienze. Ma è anche il nome della rivista che è stata attiva per quasi quarant’anni all’interno della Casa della Cultura.

PH: Esatto, mi piaceva tanto la parola e l’idea di provocare un bagliore, una luce, una nuova coscienza. La rivista poi è l’unico reperto che sono riuscito a trovare di quegli anni, perché le foto, i testi teatrali, l’archivio della rivista, così come i materiali di scena sono andati perduti.
Shkrepëtima era una rivista multietnica che raccoglieva poesie e racconti, ed è ancora molto viva nei ricordi degli abitanti di Runik. Mi è sembrato un buon punto di partenza, perché il paese possa tornare ad avere molte voci e ad avere quel clima culturale. Perché ripartire da zero se esiste già una realtà che incorpora ancora tutte le visioni e i desideri dei cittadini di Runik?
Ricordare com’è nata Shkrepëtima negli anni 60 è una storia che dà speranza. Pare che i primi numeri siano stati scritti con delle macchine da scrivere che ogni notte venivano rubate in una fabbrica di munizioni lì vicino per essere rimesse a posto all’alba prima che nessuno lo scoprisse. Se penso che ce l’hanno fatta con risorse così piccole mi dico che possiamo farcela partendo dalle rovine.

MM: E cosa speri possa nascere dalle rovine?

PH: Io volevo dare soltanto un tocco, e aspettare di vedere cosa sarebbe successo. Che la performance abbia a sua volta innescato un processo era assolutamente fuori dal mio controllo, ma era di certo un mio desiderio e sono molto contento che sia successo. Noi ci siamo occupati del recupero e della messa in sicurezza dello spazio, ma il Ministero della Cultura l’ha inserita tra i beni dichiarati di interesse nazionale, e sono stati stanziati dei fondi per uno studio di riqualificazione dell’area.
Meglio di così non poteva andare. Seguirò gli sviluppi e ho in mente di tornare a Runik con uno screening del video, e forse un concerto.

Petrit Halilaj. Shkrepëtima, 29 October 2018 – 3 February 2019 , Exhibition view -  Fondazione Merz, Turin - Photo Renato Ghiazza
Petrit Halilaj. Shkrepëtima, 29 October 2018 – 3 February 2019 , Exhibition view – Fondazione Merz, Turin – Photo Renato Ghiazza

MM: Come hai lavorato alla costruzione della performance?

PH: Alla partitura musicale hanno lavorato con due compositori ANDRAA (Fatime Kosumi) e Christoph Haman, che hanno elaborato i suoni legati ai materiali dell’installazione integrandolo al suono delle ocarine. Allo script ho lavorato io mettendo insieme pezzi teatrali già esistenti della tradizione albanese. Ho selezionato frammenti che mettessero in discussione temi fondamentali per l’identità albanese, come la lotta tra libertà individuale e libertà collettiva, la resistenza di genere e gli sforzi per superare una mentalità conservatrice. Su questi sono intervenuto con l’intento di creare un elemento di sorpresa, volevo che il pubblico si trovasse in un primo momento davanti a una storia familiare e riconoscibile nel contenuto ma inedita nelle soluzioni formali. A questo punto li ho inseriti all’interno della cornice del sogno che ho scritto io.
Attraverso la narrazione del sogno e la figura degli uccelli sono riuscito a riconnettere i tempi passati al presente, e gli uccelli sono stati la chiave per realizzare ciò che sembrava impossibile: far rivivere il teatro.

MM: Gli uccelli tornano nel tuo lavoro, legati a un bisogno di migrazione costante che non riesce mai ad approdare se non in nidi, che però sono dimore in cui non si può sostare a lungo.

PH: Si, ho passato tre mesi allo Smithsonian a studiare gli uccelli e ho scoperto che alla base del loro bisogno migratorio c’è l’esigenza di non rispettare confini geografici e politici imposte dagli umani. Nella performance diventano creature capaci di attraversare il tempo e farci rivivere il teatro com’era, con le sue memorie visive, e sono speciali perché costruiscono la loro casa, il loro nido a partire da quello che trovano, dalle macerie, riconoscendogli un valore e una sensibilità nuova.
Avevo bisogno di una creatura simile per trovare il coraggio sufficiente a convincerci che anche noi possiamo ripartire da quello che rimane, superando la tentazione di rimuovere tutto, a tirare una linea sul passato, perché credo sia importante riappropriarsi della propria storia per quanto possa essere dolorosa.

Petrit Halilaj. Shkrepëtima, 29 October 2018 – 3 February 2019 , Exhibition view -  Fondazione Merz, Turin - Photo Renato Ghiazza
Petrit Halilaj. Shkrepëtima, 29 October 2018 – 3 February 2019 , Exhibition view – Fondazione Merz, Turin – Photo Renato Ghiazza

MM: Se gli uccelli ti hanno permesso di traghettare nello spazio una speranza, le ocarine ti hanno permesso di viaggiare nel tempo alla ricerca di un periodo così lontano da risultare mitico. Forse perché parlare di tempi più vicini è ancora doloroso?

PH: Per riuscire a tornare in Kosovo dopo la guerra noi abbiamo voluto cancellare quello che abbiamo passato, se vai ora a Runik non trovi una sola traccia della guerra.
Per questo ho creduto che solo risalendo al Neolitico, a quando gli esseri umani per la prima volta hanno iniziato a modificare il proprio ambiente, solo attraverso una presa di distanza si poteva ricostruire una identità collettiva. Sono partito dai disegni di questi strumenti antichissimi, a cui abbiamo dato di nuovo una forma insieme ai bambini coinvolti nel Workshop curato dalla Fondazione Merz, che con le loro mani e il loro soffio hanno riconquistato un pezzo importante del proprio patrimonio culturale.

MM: Qual è la prima immagine, il primo ricordo che hai della Casa?

PH: La prima in assoluto è diventata la prima scena del film, quella in cui gli uccelli stanno sugli alberi, in un silenzio che invade lo spazio. Mi piaceva conservare quel senso di protezione dato dagli alberi, da una natura nuova, che si riappropriava del luogo, una sicurezza tuttavia molto fragile, ma fragile abbastanza da poter immaginare un futuro.

Petrit Halilaj. Shkrepëtima   
Vincitore della 2° edizione del Mario Merz Prize
A cura di Leonardo Bigazzi
29 ottobre 2018 – 3 febbraio 2019
Fondazione Merz, Torino

Petrit Halilaj, Shkrepëtima, 2018. Produced by Fondazione Merz and Hajde! Foundation  - Ph. Majlinda Hoxha
Petrit Halilaj, Shkrepëtima, 2018. Produced by Fondazione Merz and Hajde! Foundation – Ph. Majlinda Hoxha

 

Petrit Halilaj, Shkrepëtima, 2018, Ink drawing on archival document of the Koperativa of Runik - Courtesy the Artist; ChertLüdde, Berlin; kamel mennour, Paris/London; Fondazione Merz, Torino
Petrit Halilaj, Shkrepëtima, 2018, Ink drawing on archival document of the Koperativa of Runik – Courtesy the Artist; ChertLüdde, Berlin; kamel mennour, Paris/London; Fondazione Merz, Torino
Petrit Halilaj, Shkrepëtima, 2018, Ink drawing on archival document of the Koperativa of Runik - Courtesy the Artist; ChertLüdde, Berlin; kamel mennour, Paris/London; Fondazione Merz, Torino
Petrit Halilaj, Shkrepëtima, 2018, Ink drawing on archival document of the Koperativa of Runik – Courtesy the Artist; ChertLüdde, Berlin; kamel mennour, Paris/London; Fondazione Merz, Torino
Petrit Halilaj, Shkrepëtima, 2018, Ink drawing on archival document of the Koperativa of Runik - Courtesy the Artist; ChertLüdde, Berlin; kamel mennour, Paris/London; Fondazione Merz, Torino
Petrit Halilaj, Shkrepëtima, 2018, Ink drawing on archival document of the Koperativa of Runik – Courtesy the Artist; ChertLüdde, Berlin; kamel mennour, Paris/London; Fondazione Merz, Torino
Petrit Halilaj, Shkrepëtima, 2018, Ink drawing on archival document of the Koperativa of Runik - Courtesy the Artist; ChertLüdde, Berlin; kamel mennour, Paris/London; Fondazione Merz, Torino
Petrit Halilaj, Shkrepëtima, 2018, Ink drawing on archival document of the Koperativa of Runik – Courtesy the Artist; ChertLüdde, Berlin; kamel mennour, Paris/London; Fondazione Merz, Torino
Petrit Halilaj, Shkrepëtima, 2018, Ink drawing on archival document of the Koperativa of Runik - Courtesy the Artist; ChertLüdde, Berlin; kamel mennour, Paris/London; Fondazione Merz, Torino
Petrit Halilaj, Shkrepëtima, 2018, Ink drawing on archival document of the Koperativa of Runik – Courtesy the Artist; ChertLüdde, Berlin; kamel mennour, Paris/London; Fondazione Merz, Torino