Nella versione distopica di una realtà futura di 15 milions of merits, secondo episodio della prima stagione di Black Mirror, la popolazione terrestre è costretta a pedalare su delle cyclette indossando una tuta da ginnastica grigia per produrre energia e ricevere in cambio merits, la valuta corrente. Gli obesi vengono considerati cittadini di serie B e lavorano, vestiti con una tuta gialla, come spazzini attorno alle macchine. Il corpo perfetto, efficiente, diventa necessario ed essenziale per la propria sopravvivenza economica e sociale. In otto anni e cinque stagioni la serie britannica ha dimostrato la capacità propria della fantascienza di prevedere possibili aspetti del futuro a partire da elementi del presente. Fit bit, applicazioni per il monitoraggio del sonno, vitamine e integratori, sono oggi all’ordine del giorno. Essere in forma, dare sempre il massimo è la prerogativa dell’era contemporanea, dell’epoca della produttività e della flessibilità. Il corpo è merce in quanto parte di un sistema.
E’ in questo contesto che si inserisce la pratica artistica di Pauline Batista che negli spazi di Gallleriapiù presenta un nuovo corpus di opere, un invito allo spettatore a diventare esso stesso parte di una riflessione nata da esperienze personali, ma universalmente condivisibile.
La scritta a caratteri rossi di grandi dimensioni Is Your System Optimized?, titolo della mostra prima personale in Italia, è la porta di accesso ad un ambiente asettico, il cui pavimento lucido e le pareti bianche ricreano l’atmosfera di una sala operatoria. Uno spazio al quale la Batista introduce lo spettatore attraverso una zona intermedia, un ponte tra il mondo esterno e quello all’interno della galleria. Una sorta di sala di attesa come quella ricreata in modo distopico nella fotografia in bianco e nero Processing I e decorata da strumenti del mestiere come i pulisci lingua tipici della tradizione indiana e della pratica ayurvedica, riproposti qui in ceramica e caricati di una valenza corporea nella serie Scraper. Un elemento ibrido a cavallo tra l’attrezzo chirurgico e un utero stilizzato che accoglie una sfera di polimero destinata a rimpicciolirsi a causa, come per un organismo vivente, dell’assenza di acqua.
Una volta ripulito dal mondo esterno il fruitore è invitato all’interno del secondo ambiente, una sorta di luogo sospeso nel quale il corpo è immerso nel cosiddetto rumore rosa considerato, per le sue caratteristiche, capace di aumentare la memoria e favorire il riposo e che milioni di utenti ricercano su YouTube. Ad emetterlo è uno speaker parte di Optimization Station, un’alta seduta in pvc la cui forma rimanda da una parte a quella della cassa toracica e dall’altra a quella di una poltrona da navicella spaziale.
Alle pareti, come in qualsiasi studio dentistico o medico, alcune fotografie dai colori sgargianti e dalle forme pop il cui aspetto ludico nasconde una riflessione sulla diffusione dell’informazione genetica. Le apparenti forme plastiche della serie Imprint sono in realtà manipolazioni di un materiale simile al pongo sul quale vengono lasciate impronte e residui epidermici, cioè DNA. Dati sensibili capaci di rivelare informazioni identitarie di un individuo e predisposizioni genetiche a malattie quali il cancro, utilizzati dunque per scopi scientifici e di prevenzione come nel caso del servizio 23andMe: DNA Genetic Testing & Analysis, ma oggetto del desiderio di case farmaceutiche ed esperti del marketing.
Ed è proprio questa ambivalenza, questo equilibrio precario tra legittimazione e superamento dei confini della coscienza umana, tra giusto e sbagliato, ad essere al centro della riflessione dell’ultima opera Implantation: un’enorme carta da parati dall’estetica glamour, apparente gigantografia di una rivista patinata. Anche qui come nei lavori che compongono la mostra la critica non è diretta ed esplicita, ma costruita attraverso immagini, indizi. Il corpo femminile al centro della fotografia e le sfere polimere diventano allora il punto di partenza per una riflessione sulle tecnologie che permettono oggi di intervenire in vitro sul DNA umano con la possibilità di curare eventuali malattie e di modificare il patrimonio genetico. Sarà la natura o sarà la scienza a decidere il colore degli occhi e dei capelli della popolazione futura?
Is Your System Optimized più che tentare di dare risposte, si insinua nella spazio tra tecnologia, intimità e pratica medica, sollevando riflessioni e mettendo lo spettatore di fronte ad uno scenario che non è più così futuro, ma parte del presente. Non resta dunque che attendere e scegliere se entrare in un mondo ottimizzato o prendersi del tempo e riascoltare il proprio corpo.