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Parallel Perspectives. Seen/Unseen | artQ13, Roma

artQ13, spazio indipendente per la ricerca e la sperimentazione artistica, presenta a Roma sabato 25 novembre alle ore 20 la performance Parallel Perspectives. Seen/Unseen, ideata da Britta Lenk e a cura di Angelica Gatto, con i danzatori Luca della Corte e Valentina Sansone e insieme ai fotografi Sebastiano Luciano e Giorgio Benni. L’immagine e la […]

Handmade Artificial – Foto Sebastiano Luciano
Handmade Artificial – Foto Sebastiano Luciano

artQ13, spazio indipendente per la ricerca e la sperimentazione artistica, presenta a Roma sabato 25 novembre alle ore 20 la performance Parallel Perspectives. Seen/Unseen, ideata da Britta Lenk e a cura di Angelica Gatto, con i danzatori Luca della Corte e Valentina Sansone e insieme ai fotografi Sebastiano Luciano e Giorgio Benni.

L’immagine e la sua epifania. Prospettive parallele e slittamenti progressivi di senso
di Angelica Gatto

Hans Belting, ne I canoni dello sguardo: storia della cultura visiva tra Oriente e Occidente [trad. italiana Bollati Boringhieri, 2010], racconta della discrasia tra “cultura dello sguardo” e “cultura dell’ornamento” a partire da un’invenzione straordinaria, la prospettiva, che l’Occidente fa propria mutuandola dall’Oriente. Nel momento culminante del suo sviluppo, l’Occidente ha delineato il canone percettivo – che consentiva di interpretare il mondo tramite le immagini – basandosi su una teoria della visione ideata quattro secoli prima da Alhazen, un matematico arabo originario di Bassora. Questo avvenne in un contesto religioso islamico che vietava le immagini, considerandole falsificazioni blasfeme della creazione divina. All’origine di questa discrasia, un paradosso ha consentito che la prospettiva entrasse nel mondo Occidentale come una delle invenzioni più funzionali per guardare il mondo con una consapevolezza rinnovata. Belting dimostra come la civiltà dello sguardo, quella occidentale, fondi la propria consapevolezza sul primato dell’occhio e, per questo, sulla sovranità del soggetto, ponendosi così in antitesi rispetto a una civiltà, quella araba, che privilegia la luce attraverso il grafismo aniconico dell’ornamento.

La performance Parallel Perspectives. Seen/Unseen – nata dal progetto editoriale Seen/Unseen [Verlag Kettler, Dortmund, 2023], ideata da Britta Lenk, con i danzatori Luca della Corte e Valentina Sansone, insieme ai fotografi Sebastiano Luciano e Giorgio Benni, elabora una questione che Belting ha dimostrato essere centrale nella nostra percezione del mondo: lo sguardo. A partire da una interrogazione sullo statuto ontologico dell’immagine, Lenk ha ideato una performance in cui due danzatori e due fotografi professionisti si relazionano tra loro e con lo spazio. Lo spazio, con cui essi si rapportano, è uno spazio liminale, un non-luogo a metà tra realtà e finzione, sicuramente, uno spazio sovraesposto. La sovraesposizione in fotografia si verifica quando l’immagine è stata registrata con una quantità di luce superiore a quella necessaria. In altre parole, la foto è troppo luminosa. Questo può verificarsi quando l’apertura del diaframma è troppo ampia, il tempo di esposizione è troppo lungo o quando c’è troppa sensibilità alla luce (ISO troppo alto). Gli effetti della sovraesposizione includono la perdita di dettagli nelle parti luminose dell’immagine, spesso con le aree più chiare che appaiono completamente bianche. In modo pressochè identico agisce la nostra mente quando è sollecitata da un numero massivo di immagini: essa seleziona un dettaglio su cui soffermarsi, taglia, rasterizza, opera delle scelte, arbitrarie e volitive. 
In quale modo tali immagini persistono nella nostra memoria e vengono elaborate? La realtà di cui l’immagine è lo specchio – ma uno specchio potenziale, e mai dato per certo – ci pone davanti a una grande incognita: essa esiste in “maniera pura” ed evidente, oppure serve a creare qualcosa che si sovrappone e confonde con la realtà, rendendola visibile? Cos’è, in ultima istanza, un’immagine? E quale lo sguardo che esercitiamo nel rapportarci a essa?

Handmade Artificial – Foto Sebastiano Luciano

Susan Sontag, nel testo Sulla fotografia [trad. italiana Einaudi, 2004], esplora il ruolo e l’impatto della fotografia nella società attraverso un’indagine sulla natura e la funzione della fotografia stessa. Sontag analizza come le immagini fotografiche influenzino la percezione del mondo e la nostra comprensione della realtà appellandosi alla tendenza tutta moderna a considerare le fotografie come una forma di verità oggettiva. La fotografia è una forma di “appropriazione” della realtà, in cui il fotografo seleziona e presenta solo una parte di essa, influenzando così la percezione degli osservatori. Esplorando il concetto di “iperrealtà” delle immagini fotografiche, Sontag sottolinea come esse spesso creino una realtà alternativa o amplificata rispetto a ciò che vediamo direttamente. 

La documentazione fotografica dell’opera d’arte ha assunto un peso sempre maggiore nella veicolazione dei contenuti relativi all’opera in sé: qual è il rapporto tra l’opera e la sua riproduzione fotografica? In qualità di mezzo di riproduzione – che per altro vive dell’impasse legato alla soggettività del fotografo e ai contenuti di artisticità dell’immagine fotografica stessa – il valore mediale della fotografia assume un plusvalore simbolico in costante tensione tra realtà e riproduzione, azione e immagine, vero e falso. In continuità con questa nozione di estensione della realtà o, meglio, di realtà estesa e iperreale, Britta Lenk decide di forzare i confini dello sguardo; nel farlo, ricrea uno spazio osmotico in cui a sovrapporsi non sono soltanto sguardo e immagine, ma anche suoni, luci e gestualità che pongono una relazione immersiva con chi osserva. Il qui e ora è significato dallo scambio relazionale tra i vari attori di questa performance – artista, performer, fotografi, AI, suono, pubblico – in un corpo collettivo che entra in cortocircuito con le sue stesse facoltà percettive, iper-sollecitato e incerto su dove si orienterà il proprio sguardo.
Risulta evidente come, sin dalla sua elaborazione in chiave installativa, la ricerca di Britta Lenk si sia strutturata attraverso questioni nodali che riguardano la percezione e come, con l’ausilio di specifici dispositivi – ad esempio, lo specchio unidirezionale e la luce – l’artista indaghi i sistemi percettivi nella loro relazione con lo spazio e la fruizione. o.T. (I 02-5-2016) è il titolo dell’installazione formata da una struttura in acciaio a cui è sospesa una scatola in legno con i lati internamente ricoperti da uno specchio unidirezionale. Vedere ed essere visti, in questa alternanza si racchiude il gioco dissuasivo innescato dalle strisce luminose a LED, inserite nella parte inferiore della scatola in legno, controllate attraverso un sistema elettronico che ne determina, alternativamente, l’accensione e lo spegnimento, secondo un ritmo predeterminato. Lo specchio unidirezionale riflette e trasmette luce; quando la luce risulta accesa, l’osservatore può guardare l’interno della scatola, in cui il riflesso della luce a LED si amplifica e ripete andando via via ad assottigliarsi. Quando la luce è spenta, invece, l’osservatore vedrà il proprio riflesso, speculare e frammentato. Nel rilevare lo spazio, insieme alla sua amplificazione attraverso la luce, o.T. (I 02-5-2016) genera una nuova epistemologia dello sguardo, in cui il rispecchiarsi diviene soggetto e oggetto; è soggetto allorché lo sguardo, posandosi sullo specchio, a luce spenta, avverte la propria presenza nello spazio, riflettendosi in continuità con esso; è oggetto, quando, a luce accesa, a riflettersi non è più lo sguardo, ma la luce stessa, divenuta oramai spazio: meta-sguardo. In questo richiamo di punti di vista, è ancora una volta la moltiplicazione del punto focale a determinare uno slittamento di senso, a tratti straniante. Lo spazio, come in Parallel Perspectives, diventa una mise en abyme, e lo sguardo, insieme allo specchio e alla temporizzazione elettronica della luce, un moltiplicatore di prospettive. 

Handmade Artificial – Foto Sebastiano Luciano

In Parallel Perspectives, i danzatori e la performance vengonodocumentati da Sebastiano Luciano, la cui macchina fotografica è collegata a un computer che trasmette in tempo reale i fotogrammi, proiettati sulla parete; a sua volta, Giorgio Benni, riprende e documenta l’intera azione, consegnando al pubblico alcuni scatti proiettati al termine della performance. Come in un gioco di scatole cinesi, l’immagine reale/riprodotta si amplifica e moltiplica, lo sguardo, al contempo, si disperde e cambia traiettoria. Il fotografo è il tramite attraverso cui si attiva un cortocircuito visivo, e una sovrapposizione dello sguardo legato al punto di vista: il pubblico può decidere di seguire le azioni dal vivo, oppure di osservare le proiezioni sulla parete. 
Artista, danzatori, fotografi e Intelligenza Artificiale: nella relazione tra realtà e finzione, azione dal vivo e riproducibilità tecnica, si stabilisce una sovra-dimensione in cui a dominare è la percezione, fittizia o meno, di ciò che si svolge davanti agli occhi del pubblico. Questo corpo collettivo, come è già stato definito, si attiva nello scambio silezioso che stravolge qualsiasi certezza sensoriale. L’ausilio dell’Intelligenza Artificiale – una voce in sottofondo che introduce il pubblico alla performance – funziona da quinta scenica in cui input e output si alternano a generare un tracciamento, un plot immaginifico e fantasmatico che – attraverso una voce fuoricampo – rievoca le questioni nodali affrontate da Lenk nella performance e nel progetto editoriale Seen/Unseen. La AI – che risponde ai quesiti posti dall’artista – è un tramite, fittizio sì, ma incredibilmente vero nella puntualità delle sue risposte programmate e programmabili. 

Domanda 3: “Che tipo di relazione hai con un’opera d’arte? Adotti approcci diversi a seconda del mezzo artistico?”
Output 3.1: “La mia relazione con un’opera d’arte è caratterizzata da un profondo rispetto e curiosità. Ogni lavoro porta con sé una storia unica, e il mio obiettivo è scoprire e amplificare quella narrazione attraverso la mia fotografia. Diversi mezzi richiedono approcci distinti. Adattando il mio approccio, cerco di rendere giustizia all’intento dell’artista e all’essenza dell’opera stessa.”

Output 3.2: “La mia relazione con l’arte è simbiotica. Cerco di stabilire un dialogo tra il lavoro e il mio obiettivo, permettendo che ne emerga l’essenza. Ogni mezzo richiede un approccio unico; la flessibilità è fondamentale, garantendo di rendere giustizia all’intento dell’artista e alle qualità intrinseche del medium.”

La percezione visiva – rivolta alla produzione di significato – è sempre una costruzione e non una rappresentazione della realtà. Come osservatore, si cerca immediatamente di integrare ciò che si percepisce, interpretandolo, e attribuendogli un significato definito. L’immagine quindi si configura come un prodotto dell’artista o dello spettatore? Come cambia la nostra percezione in relazione a un’immagine e al suo contesto?

Parallel Perspectives. Seen/Unseen 
Performance di Britta Lenk
a cura di Angelica Gatto,
con Luca della Corte e Valentina Sansone, insieme a Sebastiano Luciano e Giorgio Benni 
sabato 25 novembre 2023 | ore 20 

Handmade Artificial – Foto Sebastiano Luciano