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OPLÀ. Performing Activities | Arte Fiera 2022, Bologna – 1° Parte

Come già accaduto nelle due precedenti edizioni, Arte Fiera 2022 ha offerto ai visitatori la possibilità di prendere parte al programma di azioni partecipate OPLÀ. Performing Activities, a cura di Silvia Fanti/Xing. È ormai pratica consolidata che le performance proposte...

Invernomuto, Vernascacadabra – Opla 2022 Xing – Foto Luca Ghedini

Come già accaduto nelle due precedenti edizioni, Arte Fiera 2022 ha offerto ai visitatori la possibilità di prendere parte al programma di azioni partecipate OPLÀ. Performing Activities, a cura di Silvia Fanti/Xing. È ormai pratica consolidata che le performance proposte siano concepite dagli artisti in stretta correlazione con lo spazio della fiera, in particolare con i suoi ambienti interstiziali, e con le modalità di fruizione del pubblico. Quest’anno gli artisti coinvolti nel progetto sono stati Invernomuto, Luca Trevisani, Muna Mussie e Jacopo Benassi.
Ogni artista si è fatto regista di attività ibride dai labili confini spaziali e temporali, sovente intrecciate tra loro e immerse nel flusso dell’evento. Il visitatore intraprendeva esperienze sinestetiche e processuali, che attivavano nuovi percorsi percettivi e cognitivi, di costruzione del senso. Per Silvia Fanti, “dopo questi due anni di sedazione sociale, ha avuto senso insistere su segni ed esperienze non linde, che raccontano di una usabilità e reclamano autosufficienza, vitalità, e capacità di analisi sensibile”.

Il duo Invernomuto, formato da Simone Bertuzzi (Piacenza, 1983) e Simone Trabucchi (Piacenza, 1982), ha messo in scena l’intervento VERNASCACADABRA: l’impianto amplifonico del Padiglione 15 ha diffuso a cadenza regolare, per tutta la durata della fiera, una serie di composizioni originali per ocarina, strumento che si ritiene sia stato inventato da un artigiano di Budrio (BO) intorno alla metà del XIX secolo, per poi diffondersi in tutto il mondo. Il radicamento della storia dello strumento nel territorio bolognese rimanda all’interesse di Invernomuto per le pratiche vernacolari e le culture orali, rielaborate nella propria ricerca espressiva attraverso le lenti di una contemporaneità ibridata, in cui linguaggi analogici e digitali si contaminano vicendevolmente. Il suono senza tempo dell’ocarina, già risemantizzato e reso pop dalle iconiche colonne sonore di Ennio Morricone, dalle canzoni dei Duran Duran e dal seminale videogioco The Legend of Zelda: Ocarina of Time, è stato post-prodotto e offerto all’ascolto degli avventori della fiera tramite un impianto concepito per scopi esclusivamente informativi, eppure riadattato per tre giorni in medium artistico. 

Luca Trevisani – Ai piedi del Pane, – Opla2022 – Xing – Foto Luca Ghedini
Luca Trevisani – Ai piedi del Pane, – Opla2022 – ArteFiera

Se il suono dell’ocarina si insinuava nel sottofondo di rumori della fiera, palesandosi indiscriminatamente a chiunque si trovasse nel padiglione, l’attività proposta da Luca Trevisani (Verona, 1979), Ai piedi del Pane, permetteva a chiunque fosse interessato di immergersi ad un livello più profondo e partecipato nell’esperienza di visita. Era infatti offerta la possibilità di indossare paia di scarpe di vario tipo, accomunate dalla caratteristica di avere innestate in tomaie preesistenti delle suole di pane indurito. Chi avesse deciso di prendere parte all’attività avrebbe poi potuto camminare in giro, sfoggiando vere e proprie sculture indossabili e biologiche. L’asimmetria e la rigidità delle suole implicavano un totale ripensamento di un gesto banale e automatico come il camminare. Il pane, alimento basilare di molte culture, intriso di storie e di ideologie, è per Trevisani anche l’oggetto tecnologico più importante della storia, capace di attivare relazioni e fondare pratiche sociali; sostanza che viene trasfigurata in un atipico materiale scultoreo attivato dall’impasto, dalla cottura e dal movimento performativo del visitatore. 

Discostandosi dalla fruizione intrinsecamente passiva e diffusa delle composizioni per ocarina di Invernomuto e dal coinvolgimento performativo, da parte di Trevisani, del pubblico nello spazio comune, Muna Mussie (Eritrea, 1978) ha concepito Persona, un’esperienza intima frutto di un dialogo privato con l’artista, che aveva come esito l’esternazione indelebile di tratti interiori, di solito messi a tacere dai propri meccanismi di autodifesa sociale. Mussie, totalmente camuffata e annullata nella sua identità da un abito nero e un volto specchiante e bidimensionale, con gli occhi ridotti a due fessure impenetrabili, chiedeva al proprio interlocutore o interlocutrice di confessare il proprio peggior difetto, al fine di farselo ricamare su uno dei capi di abbigliamento che indossava. La conversazione era aperta da un monologo tratto dal film Persona (1966) di Ingmar Bergman: “Questo è il tuo tormento. Tu vuoi essere, non sembrare di essere. Essere in ogni istante cosciente di te e vigile. Ora ti domando, qual è quella cosa che, più di ogni altra, rifuggi da te stessa?”. Nella pellicola una delle due protagoniste rimane chiusa in un mutismo autoimposto, mentre l’altra, l’infermiera incaricata di occuparsi di lei, si ritrova ad aprirsi completamente alla sua paziente, nella quale tende sempre più a rispecchiarsi, fino alla quasi totale sovrapposizione tra le due identità. Il confronto con la propria immagine, riflessa nella maschera specchiante, spinge a scavarsi dentro e a riesumare le proprie peculiarità caratteriali più infauste. L’ammissione del proprio peggior difetto e il conseguente processo di fissazione di esso sul proprio abito, al contempo maschera e luogo di esternazione pubblica della propria personalità, lo esorcizza e conduce ad una sua accettazione. Nello spogliatoio, in cui i partecipanti attendevano il completamento del processo di “marchiatura”, era possibile sfogliare la sceneggiatura del film, nella forma di un libro dalle pagine nere e lucide, su cui le parole erano intessute in filo bianco. 

Muna Mussie, Persona – Opla2022 – ArteFiera