Non ha per caso previsto il freddo mattinale? Né ha chiuso bene la porta al vento invernale?
A. Rimbaud
C’era una volta un bambino di nome Ludwig. Il suo corpo era freddo, rigido come il marmo e statuario come un monumento. Ludwig passava la maggior parte del suo tempo solo in uno spazio esterno, quasi industriale. In realtà egli non era proprio solo, non era la solitudine il sentimento che al meglio lo poteva descrivere; Ludwig stava sempre insieme a un tempore lucente, una piccola fiamma che egli non voleva spegnere mai. La luce che egli proteggeva rimandava immediatamente a quella caravaggesca gialla e spesso proveniente da una finestra, invisibile all’occhio dello spettatore. Questa luce era in grado di illuminare perfettamente i fatti intorno. Con il capo chino il bambino mostrava un incontro fragile tra due materiali: il freddo involucro della sua corporatura e una calda vulnerabilità sotto la pelle. Ludwig in quella grigia scena era però osservato anche dal mondo che gli stava attorno. Indescrivibile il senso patemico che egli era in grado di scoprire. Allora, il discorso narrativo inverte il suo senso e la variazione dello stato del protagonista diventa cristallina. Ludwig era un bambino da accarezzare ed abbracciare, egli era un’immagine, una formula di pathos per i suoi spettatori e co-protagonisti.
La storia di Ludwig è una storia senza ancora un fine. Essa comprende nel suo svolgimento narrativo personaggi buoni disposti a stargli accanto e a provare con lui la stessa coesa sensazione, personaggi cattivi che lo guardano da lontano e gli indifferenti. Il tutto è coordinato un malessere di sottofondo che tocca ognuno di loro e di noi indifferentemente. Ma è proprio quello stare male a sovvertire la metafora della fiaba.
Michele D’Aurizio cita nel suo testo di sala Thomas Bernard e la sua implacabile voglia di farla finita con il pensiero. “Mentre noi questo processo lo osserviamo e lo sopportiamo e alla fin fine non possiamo far altro che accettarlo, in realtà non crediamo affatto a questo processo, e rimaniamo increduli ancora per molto tempo, fino a quando, pensai, esso non si trasforma ai nostri occhi in un fatto incontrovertibile, ma allora non c’è più niente da fare, per noi è finita” scrive Bernhard.
Ma è davvero finita o il realismo drammatico di un affettuoso gesto di protezione può farci riscoprire nel tenero freddo una possibilità di calore?
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Galleria ZERO…, Milano
Fino al 23 febbraio, 2019