Nato a Bologna nel 2007 come progetto per lo spazio pubblico, ON torna questa volta per abitare gli ambienti dello storico Palazzo Vizzani con un doppio appuntamento dedicato all’indagine del concetto di identità.
Si inizia con ZimmerFrei e la proiezione (fino al 18 ottobre) del loro ultimo film Lumi, il primo di finzione per il collettivo formatosi proprio nel capoluogo emiliano nel 2000 e da sempre abituato a combinare linguaggi diversi spaziando tra film documentari e videoarte, installazioni sonore e ambientali, serie fotografiche, performance, laboratori partecipativi e installazioni nello spazio pubblico. Per la sua prima esperienza di fiction ZimmerFrei sceglie di ricorrere anche ad attori veri e propri per comporre una sequenza di tre capitoli, tre storie affettive apparentemente istinte, ambientate in un unico set: l’interno di un palazzo storico, un tempo residenza del cardinale Lambertini, che poi diventerà Benedetto XIV, il papa del Secolo dei Lumi.
Secondo appuntamento in programma il 17 ottobre con Riccardo Giacconi che indaga la questione identitaria dalla prospettiva delle minoranze linguistiche tramite una ricerca condotta sul campo nel territorio dell’Alto Adige/Südtirol. Un audio documentario dal titolo OPTIONS proposto in forma performativa (su prenotazione) con la quale Giacconi assemblea in un’unica drammaturgia una serie di conversazioni avvenute con storici, politici, artisti e ricercatori, che esplorano l’eredità lasciata sul territorio dalle cosiddette Opzioni del 1939: il patto stipulato fra Hitler e Mussolini per cui le popolazioni di lingua tedesca e ladina dovevano scegliere se “italianizzarsi” o trasferirsi nei territori del Reich. La restituzione live del progetto sarà anche l’occasione per presentare il volume prodotto da questa ricerca pubblicato da Rorhof edizioni.
Guendalina Piselli: ON torna a Palazzo Vizzani con un doppio appuntamento. Prima di soffermarci sui due progetti in programma…puoi raccontarci qualcosa di ON?
Martina Angelotti: ON è nato a Bologna nel 2007, in una piazza specifica del quartiere Universitario (Piazza Verdi), da un’idea mia e di Anna de Manincor (ZimmerFrei), amiche e colleghe di una vita.
Da appassionata frequentatrice di centri sociali e produzioni sperimentali nell’ambito delle performing arts, del suono e della ricerca visiva, sentivo che la città si prestava bene a essere scenario di un progetto nuovo che mettesse in comunicazione il passato col presente usando lo spazio pubblico come palestra per attivare nuovi percorsi visivi, sociali ed affettivi.
E così è stato, almeno nella sua fase inziale. ON è nato con la giunta Cofferati, in risposta alla sua politica “anti-degrado”, per cui non nascondevamo qualche dubbio. Una parola ancora oggi troppo spesso abusata dalle agende istituzionali per dar adito a una massiva politica gentrificatrice lasciando poco spazio allo spontaneismo entropico che spesso fa delle città la vera bellezza.
ON è nato così come un’incursione nello spazio pubblico, che negli anni ha contribuito in parte a cambiare la percezione di alcuni luoghi di Bologna sommando nuove visioni e trasfigurando piazze, architetture e scenari, grazie agli interventi di artisti che si sono susseguiti (Francesco Arena; Adelita Husni Bey; Riccardo Benassi; Ludovica Carbotta; Freee Art Collective; Nemanya Civijanovic; Danilo Correale; Eva Frapiccini; Eva Geatti; Aldo Giannotti; Francesca Grilli; Armando Lulaj; Sandrine Nicoletta; Alexandra Pirici; Manuel Pelmus; Anna Rispoli; Nicola Toffolini; Simone Tosca; Ella Ziegler; Nikola Uzunovski; Luca Vitone; ZimmerFrei).
Negli ultimi anni la sua missione è cambiata, così come quella della città, e il bisogno di attivare un discorso allargato alla sfera pubblica, ha portato il progetto a investigare anche con altre forme e linguaggi lo spazio pubblico reale, ma anche a ripristinare il senso di fare arte oggi in un contesto sociale e politico così drammaticamente urgente e difficile.
GP: Dicevamo due appuntamenti. Il primo è quello con LUMI nuovo progetto del collettivo ZimmerFrei e che sarà presentato in forma di video installazione. Dopo vent’anni di attività è la prima volta che ZimmerFrei sceglie la fiction…
MA: Conosco il lavoro di Zimmerfrei praticamente da quando è nato. Quando ho partecipato al loro primo debutto performativo al TPO… non ricordo che anno fosse, forse il 2002. Da lì ho sempre seguito con ammirazione tutto il loro percorso e molti progetti si sono succeduti lavorando tutti insieme come gruppo o singolarmente con ciascuno di loro. A un certo punto, soprattutto dopo la lunga fase di documentari di città (Temporary cities) e il neo nato progetto sulle nuove cittadinanze dal titolo SAGA, abbiamo pensato che forse avremmo potuto per Lumi tentare qualcosa di ancora imperlustrato, senza dubbio più impervio, ma potenzialmente stimolante. Così è stato. Poi è arrivato l’Italian Council del MiBACT, grazie al quale siamo riusciti a realizzarlo. C’è da dire che Anna oltre ad essere una regista molto sapiente, è anche un’ottima penna. Desideravo che mettesse mano alla sceneggiatura che infatti in parte è sua e in parte (per un dialogo del film) è stata affidata ad Alessandro Berti, drammaturgo e attore teatrale di stampo decisamente più… muscoloso diciamo. Non c’è dubbio che la fiction manda in crisi gli artisti visivi! Ma aiuta anche a sciogliere dei nodi che inevitabilmente si formano dopo anni e anni di esperienza sul campo del documentario. Lumi non è propriamente solo fiction, sarebbe meglio parlare di staged documentary, ovvero una forma ibrida che mette insieme attori professionisti e non professionisti attraverso uno script fatto di storie ed esperienze reali vissute e raccontate dagli stessi personaggi che le interpretano.
GP: Il secondo progetto è invece l’audio documentario performativo OPTIONS di Riccardo Giacconi…
Riccardo è un artista che lavora spesso con questo formato, associando la ricerca sulla parola scritta a quella sonora. Options indaga la questione identitaria dalla prospettiva delle minoranze linguistiche tramite un’indagine condotta sul campo nel territorio dell’Alto Adige/Südtirol. Il progetto, anch’esso vincitore della sesta edizione del bando Italian Council di cui ON è stato partner, ha debuttato nel 2019 alla KunstHaus di Graz sotto forma di mostra, ma per ON ha preso una nuova forma. A partire dalla pubblicazione omonima edita da Rorhof Edizioni (Bolzano, 2020), il materiale visivo e testuale raccolto, ha dato vita a un audio documentario, fruibile in forma live. Un’unica drammaturgia che assembla una serie di conversazioni avvenute con storici, politici, artisti e ricercatori, che esplorano l’eredità lasciata sul territorio dalle cosiddette Opzioni del 1939: il patto stipulato fra Hitler e Mussolini per cui le popolazioni di lingua tedesca e ladina dovevano scegliere se “italianizzarsi” o trasferirsi nei territori del Reich.
GP: Come si inseriscono le due installazioni all’interno degli spazi di Palazzo Vizzani, storico edificio bolognese?
MA: Lumi è stato girato all’interno di questo Palazzo, che abbiamo conosciuto grazie alle attività che da qualche tempo l’Associazione Alchemilla – che qui ha la sua sede – ha organizzato.
Alcune delle storie che riguardano questo luogo, entrano anche nel film. È un palazzo affascinante, bellissimo nella sua fatiscente magnificenza. Nonostante l’austerità delle sale affrescate, conserva una dimensione domestica calda nella sua spoglia intimità, perfetta per essere scenario di Lumi. Così abbiamo deciso di chiuderci qua dentro qualche settimana, ancora memori dell’esperienza estrema del lockdown, e di portare con noi gli attori, la troupe e tutto lo staff che ha preso parte alle riprese. Già in fase di scrittura delle sceneggiature, sapevamo che l’installazione non poteva avere altra presentazione che qui dentro. Abbiamo usato ogni sala disponibile, sia per le riprese che per la mostra. Il lavoro sarà esposto anche a Bruxelles, negli spazi del Cinema Gelerie in collaborazione con il WIELS, ma non ho dubbi che sarà a Bologna l’occasione per cogliere il progetto in tutta la sua essenza. Il Palazzo presenta al suo interno anche un grosso cortile, da cui si accede ai piani superiori, che invece sarà scenario per Options, l’audio documentario performativo di Riccardo Giacconi. Anche per lui, il lavoro di riconfigurazione dello spazio aperto a spazio di fruizione dell’opera sonora, nasce dalle caratteristiche acustiche del luogo in primis, e dalla volontà di concentrare in un unico ambiente l’esperienza e l’indagine dei due progetti.
GP: Entrambi i lavori indagano il tema dell’identità. Da una parte con ZimmerFrei come un fattore legato ad un bisogno di riconoscimento, di incontro e confronto con l’Altro, dall’altra con Giacconi invece come questione linguistica…
MA: Lumi è un film che fonda la sua ricerca artistica su recenti studi sociologici e antropologici di cui molto spesso, soprattutto in anni recenti, l’arte si è fatta catalizzatrice. Quelli dell’antropologo Francesco Remotti ad esempio, sono stati una fonte di ispirazione importante arrivata anche molto tempo prima che Lumi venisse concepito e non è un caso che abbiamo affidato proprio a lui, autore di “contro l’identità” il testo introduttivo alla pubblicazione Lumi (Ed. Mousse, 2020)
Lumi ci aiuta a interrogarci su noi stessi, su ciò che crediamo essere semplicemente e banalmente la nostra identità. Lo fa attraverso il cinema e tre distinti dialoghi fra persone diverse che in un momento imprecisato si trovano a condividere un tempo insieme, dialogando all’interno di uno stesso ambiente domestico. Alcuni di loro sono neri, altri bianchi, alcuni arrivano da molto lontano, altri hanno sempre vissuto qui. Lumi si costruisce su questi principi di nuova conoscenza, adottando la pratica della decanonizzazione del corpo, sociale e fisico, e praticando un’esperienza di rielaborazione di somiglianze e differenze sempre relative.
Se pur partendo da un fatto storico del passato, anche il lavoro di Giacconi indaga la questione identitaria da un’altra prospettiva. Studiare la storia del Sudtirolo gli ha permesso di considerare l’intero spettro della storia europea concentrato in una piccola regione, a partire proprio dalle minoranze e dalle identità collettive qui concentrate. Coltivare peculiarità e differenze senza ghettizzarle, sperimentare le potenzialità multietniche e multiculturali per sviluppare nuove forme di convivenza, sono i principi che stanno alla base di questi lavori. Una riflessione sul riconoscimento, sull’intersezione culturale e sull’ospitalità dell’altro come parte del largo spettro di tutti quelli che siamo e che potremmo essere.