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On ne fait pas ça, John Armleder – Galleria MASSIMODECARLO, Milano

Fino all’11 maggio la galleria MASSIMODECARLO ospita la retrospettiva di John Armleder, tra le opere i “pour paintings”, la produzione più recente dell’artista.
John Armleder, On ne fait pas ça – Installation view – Photo by Roberto Marossi Courtesy MASSIMODECARLO, Milano

Testo di Angelica Lucia Raho —

Le opere di John Armleder (Ginevra, 1948) sono frasi libere e kitsch, uno stile che da «sciropposo cascame del secolo romantico» – nella definizione di Gillo Dorfles – è ormai un linguaggio visivo familiare a questo secolo. Armleder impara l’umorismo dal dadaismo, dai Fluxus e dal Group Ecart, modelli che gli hanno insegnato a sfidare le categorie e i generi artistici, il suo lavoro coniuga così la cultura alta e bassa, e quindi ricerca la convivenza tra il trash, il kitsch e la storia dell’arte. Le opere esposte alla sede milanese della galleria MASSIMODECARLO si contraddicono a vicenda per le loro forme e la loro estetica. Il titolo della mostra è On ne fait pas ça, “non lo facciamo”, come se all’artista fosse stato indicato un bottone da non premere, ma il suo spirito ludico ribellandosi ha premuto il bottone causando una cascata di glitter. La retrospettiva, con lavori dal 1994, arriva fino a opere più recenti, i “pour paintings”, ispirati alla tecnica e all’etica di John Cage, compositore e teorico musicale del gruppo Fluxus. Ecco che nascono delle grandi tele colanti, che hanno il gusto delle avanguardie di metà Novecento: Don’t Say Mayonnaise (2023), dal titolo apparentemente casuale e nonsense, è una tela con getti espressivi e liberi di colore, con l’aggiunta di glitter, in linea diretta con l’action painting americana. Totalmente in contrapposizione Vuelta (2023), la scultura minimalista di un uovo in ceramica e una tela tonda, di manzoniana memoria; oppure Sans Titre (1996), scultura in perspex dalle forme essenziali e dal colore sgargiante e fluorescente. Armleder include anche i ready-made, come Ciliata (FS) (1994), dove usa dei rudi e pesanti copertoni da trattore per contenere dei coloratissimi e delicati fiori da vaso.

John Armleder, On ne fait pas ça – Installation view – Photo by Roberto Marossi Courtesy MASSIMODECARLO, Milano
John Armleder, On ne fait pas ça – Installation view – Photo by Roberto Marossi Courtesy MASSIMODECARLO, Milano
John Armleder, On ne fait pas ça – Installation view – Photo by Roberto Marossi Courtesy MASSIMODECARLO, Milano

Tutte le opere sembrano citare delle pratiche ben note alla storia dell’arte, non è un mistero infatti che l’artista si lasci guidare da quello che vede, da quello che sente, da quello che studia e ammira. 
Nel 2011 per ARTFORUM dichiara: «Ho deciso che era giusto fare opere che assomigliassero a cose già fatte: se erano cose che mi piacevano, era una ragione sufficiente per rifarle. Dopo tutto, questo è un modo antico di fare arte. Si guarda qualcosa che piace e si cerca di fare la stessa cosa nel proprio modo, possibilmente migliore». Armleder non perde l’occasione per giocare anche con la sede stessa della galleria, Casa Corbellini-Wasserman, progettata da Piero Portaluppi, per cui l’artista usa le sue opere come arredamento: Woofly (2023) sono delle grandi, pelose e morbide cucce per cani, in collaborazione con 43Mousse, circondate da decorazioni parietali con dei gatti dagli occhi enormi e blu; e Blue John (Fluorine), FS (2003), un acrilico su tela esposto insieme a un sofà di James Mont.
«L’artista è un danno collaterale all’arte» dichiara Armleder nel 2014, convinto del ruolo insostituibile dello spettatore come interprete finale dell’opera, in questo modo co-creatore del suo significato. Le opere in mostra vivono molto nella cultura iconografica e artistica della fine del secolo scorso, ma esiste un’eredità che ci arriva diretta dagli anni Ottanta e Novanta, quando il processo avviato negli anni Sessanta, che ha portato la cultura popolare – e trash – a intrufolarsi in ogni ambito, ha raggiunto il livello massimo. “Non lo facciamo”, “Questo non si fa”, già a partire dal titolo traspare una maleducazione in buona fede per avviare una pratica di slegamento dai confini dell’arte, che, allo stesso tempo, è però uno dei metodi più classici utilizzati dagli artisti.

John Armleder, On ne fait pas ça – Installation view – Photo by Roberto Marossi Courtesy MASSIMODECARLO, Milano
John Armleder, On ne fait pas ça – Installation view – Photo by Roberto Marossi Courtesy MASSIMODECARLO, Milano
John Armleder, On ne fait pas ça – Installation view – Photo by Roberto Marossi Courtesy MASSIMODECARLO, Milano
John Armleder, On ne fait pas ça – Installation view – Photo by Roberto Marossi Courtesy MASSIMODECARLO, Milano