In Aviopancro Restricted, Olivo Barbieri non ritorna semplicemente alle matrici tecnico-militari della visione aerea: le seziona, le attraversa, ne espone la crisi. Il suo gesto, inscritto nel programma “Artisti in residenza” dell’ICCD, assume le forme di una discesa verticale nell’archivio. Ma, come suggerisce Hito Steyerl, ogni caduta è anche una sospensione. Una free fall, dove l’orizzonte si dissolve, il punto di vista si moltiplica, e il suolo epistemico si rivela fittizio.
Se la modernità aveva affidato alla prospettiva lineare la promessa di controllo, la contemporaneità opera attraverso visioni fluttuanti, frammentarie, stratificate. Barbieri, che da due decenni ha ridefinito il modo di sorvolare e rappresentare il territorio nei suoi site specific, non si limita a guardare dall’alto: ne analizza i presupposti. In questa mostra non fotografa più “dal cielo”, ma fotografa l’apparato stesso dell’osservazione verticale, trasformando l’Aerofototeca Nazionale in un terreno di atterraggio impossibile, un’illusione di fondamento.
La mostra si articola in tre sezioni, concepite come gesti plastici e teorici. I barattoli Ferrania Aviopancro, reliquie industriali di una tecnologia sviluppata per il controllo verticale, vengono resi visibili come simboli residuali di un potere ora esposto. Hanno la forma di oggetti seriali, con colori e tipografia che evocano le celebri scatolette di Piero Manzoni: contenitori anonimi, dove l’etichetta è l’unico legame con un contenuto in parte perduto. Come le opere di Morandi o i frammenti ordinati da Irving Penn, questi barattoli fermano il tempo e lo rendono indecifrabile.
Le “sculture effimere” – rulli di negativi lunghi oltre quaranta metri, srotolati e illuminati dal basso – mostrano la materialità dell’informazione e la sua consistenza analogica. Simulano un terreno, ma non lo fondano. Alcuni di questi negativi, corrosi dal tempo e dalla “sindrome dell’aceto”, diventano ormai opachi, inutilizzabili. Non servivano alla contemplazione, ma all’estrazione di dati territoriali. Barbieri li trasforma da strumenti topografici in sculture effimere, ribaltando la loro funzione: “non cerco di imitare una scultura, ma di farne una”.
Nella terza sezione, le immagini della pattuglia acrobatica dei Diavoli Rossi – fotografata da altri aerei in volo – innescano un cortocircuito percettivo: il dispositivo osservante e quello osservato coincidono. “Aerei che fotografano aerei”: un circuito di tracciamento incrociato in cui il soggetto sparisce, sostituito da un’infrastruttura visiva automatizzata e disincarnata.




Lo sguardo aereo di Barbieri seziona, decostruisce. Costruisce un dispositivo analitico che smaschera ciò che la sorveglianza satellitare tende a occultare: l’imposizione di una struttura di dominio attraverso la simulazione di un supporto funzionale. Come le mappe che fingono ordine e leggibilità, ma si fondano sulla cancellazione di ogni instabilità.
L’archivio diventa una macchina ottica disfunzionale: la verticalità disorienta. Ma nella sua caduta libera genera nuove possibilità critiche.
Ed è in questa discesa che Barbieri intercetta la genealogia delle tecnologie di visione aerea: molte delle fotocamere conservate nell’Aerofototeca provengono dalla Seconda Guerra Mondiale, usate dagli Alleati e poi dismesse come scarti bellici. Riacquisite da aziende civili, furono impiegate per mappare l’Italia per decenni. Le infrastrutture dello sguardo militare, travasate nel quotidiano, continuano a sorvegliare sotto nuove forme. Barbieri non disarma l’apparato ottico. Ne mostra la continuità: dal fronte alla pianificazione urbana, dall’elicottero al cloud.
Anche l’allestimento è parte del codice: il verde Ferrania, il giallo Kodak, la scritta “Restricted” sono elementi che non spiegano, ma alludono. L’archivio non viene illustrato, ma reso materia opaca. Le visualità aeree non offrono chiarezza, ma evidenziano la distanza tra chi guarda e ciò che è guardato.
Aviopancro Restricted si presenta così come un esercizio di contro-sorveglianza. Il gesto curatoriale di Francesca Fabiani mette in scena la fragilità strutturale dell’archivio: le sue fratture, i suoi vuoti, i suoi traumi sospesi. Una messa in crisi della visione come potere.
Nel suo saggio The Age of Total Images, Ana Peraica descrive il passaggio da una visione prospettica a una algoritmica, sistemica, che trasforma ogni corpo e superficie in dati tracciabili. Barbieri, con materiali analogici, agisce esattamente in quel punto di frizione: mette in crisi l’ideologia digitale della trasparenza e l’ossessione contemporanea per la tracciabilità e la trasparenza totale. Laddove il cloud pretende ubiquità e accesso istantaneo, Barbieri lavora con materiali che evaporano, si sciolgono, si corrompono. Il tempo incide la pellicola, come un agente invisibile: le immagini non garantiscono più presenza, ma una loro rovina anticipata.
Come ricorda Steyerl, “molti degli sguardi dall’alto oggi non descrivono un suolo stabile, ma lo inventano retroattivamente.” Barbieri intercetta questa costruzione ottica e la smonta. La sua fotografia non conforta, ma interroga: chi guarda, da dove, e a quale scopo?
Olivo Barbieri. Aviopancro Restricted
26.03-19.09.2025 | ICCD, Complesso San Michele a Ripa, Roma
A cura di Francesca Fabiani | Media partner: Rai Cultura
Cover: Olivo Barbieri. 26 – Untitled 2023 © Collezioni ICCD, Roma



