ATP DIARY

Nuovo Forno del Pane Outdoor Edition 2024

Si è conclusa la seconda edizione del programma di residenze ospitate nei sei Distretti culturali dell'area metropolitana di Bologna.

Al termine del mese di luglio si è concluso il Nuovo Forno del Pane Outdoor Edition 2024, un programma di residenze per giovani artisti e artiste nei sei Distretti culturali dell’area metropolitana di Bologna che rappresenta l’evoluzione di un’iniziativa promossa nel 2020 dal MAMbo, per fornire un supporto alla comunità artistica nel periodo di piena emergenza Covid-19. Nel 2023 il progetto è stato ripreso e ampliato in una versione “Outdoor” e decentralizzata, che permette a ciascun artista di entrare in stretto contatto con la comunità e le realtà culturali presenti nel territorio assegnato, così da portare avanti più efficacemente la propria ricerca. Il Nuovo Forno del Pane Outdoor Edition è a cura di Lorenzo Balbi, Caterina Molteni e Sabrina Samorì, è coordinato da Giulia Pezzoli con la collaborazione di Cristina Ropa e Giovanna Trombetti e con l’assistenza alla curatela e alla comunicazione di Margherita Falqui. Nel mese di aprile da una rosa di oltre ottanta candidature sono stati selezionati i profili di Gianlorenzo Nardi (Giulianova, Teramo, 1995), Marco Mandorlini (Pontedera, Pisa, 1998), Andrea Di Lorenzo (Varese, 1994), Adele Dipasquale (Torino, 1994), Gaetano Palermo (Catania, 1998) e Letizia Lucchetti (Ancona, 1999). La residenza ha avuto una durata di tre mesi. L’assegnazione degli artisti e delle artiste ai vari distretti culturali è stata calibrata in funzione delle rispettive necessità e ha implicato anche la possibilità, per ciascuno e ciascuna di loro, di entrare in contatto con usi e costumi, realtà e servizi del territorio; è anche stato incoraggiato il coinvolgimento delle comunità locali nel loro processo di ricerca. In tal modo, ogni esperienza è stata unica e specifica.

Andrea Di Lorenzo, Ricordi di coppie, serpi, giunti e innesti, 2023

Scopo centrale del progetto è quello di fornire a giovani artisti e artiste i mezzi per sviluppare il proprio linguaggio in totale libertà, con il supporto attivo dello staff curatoriale, senza che sia richiesta una restituzione finale nella forma di uno o più lavori portati a termine entro la durata della residenza. Questa formula consente a ciascun artista di porre le basi, con i giusti strumenti, per progetti più ambiziosi che non potrebbero trovare facilmente esito nel periodo limitato della residenza. Ciascuna residenza si svolge in modo sostanzialmente autonomo, ma è previsto anche un importante programma di attività formative di natura relazionale: portfolio review, studio visit, relazioni pubbliche sui propri progetti. Il programma include anche una serie di incontri di autoformazione, in cui artiste e artisti, assieme allo staff del museo, si riuniscono volta per volta nei vari distretti e condividono visite guidate, laboratori, reading group, esplorazioni nel territorio che consentono a tutti e tutte di seguire lo sviluppo delle rispettive ricerche. Inoltre, interfacciandosi con gli abitanti e con le figure professionali dei rispettivi distretti culturali, gli artisti e le artiste entrano in dialogo con un eterogeneo patrimonio orale e materiale di conoscenze, e rispondono a loro volta offrendo di esso una propria “linea interpretativa”, come nota Caterina Molteni nel testo pubblicato in catalogo, richiamando quanto scrive Serenella Iovino in Paesaggio civile. Storie di ambiente, cultura e resistenza (2022): si tratta di “interpretazioni che accrescono la vita dei paesaggi, e che creano nuove storie. […] Queste risposte, che sono nuovi modi di raccontare la realtà, aggiungono nuovi strati all’ecologia della mente di una società, arricchendo di parole nuove il suo vocabolario”. Parte integrante delle attività previste dalla residenza è anche un Public Program, strutturato in sei diversi appuntamenti organizzati dagli artisti e dalle artiste, che hanno invitato ospiti con cui interfacciarsi su tematiche affini alle proprie ricerche.

Marco Mandorlini (residenza a San Marino di Bentivoglio) ha avuto la possibilità di approfondire tradizioni e pratiche del mondo rurale, che ha eletto a quadro di riferimento per la propria pratica artistica, essendovi anche legato personalmente sin dall’infanzia, trascorsa in un piccolo paese della campagna toscana. Sono esempi del suo modo di rielaborare le pratiche tradizionali le sue fotografie di indumenti appesi a rami di edera secondo l’abitudine della nonna, poi stampate su lastre di vetro e a loro volta fissate a parete su una porzione rettangolare di edera finta (Asciugaa al sole asciugaaa, 2023), oppure il richiamo all’operazione di infiascatura del vino da parte del nonno, che unisce la fotografia del lavabo e, come cornice, gli arnesi impiegati nell’operazione, richiamando così la consuetudine di appenderli sopra il lavabo al termine del processo (Con questo Piecche infiascava, 2023). Carattere formale ricorrente nelle opere di Mandorlini è una griglia fotografica, con la quale “fissa” e “mette a fuoco” i propri ricordi familiari. Durante la residenza ha avuto come punto di riferimento il Museo della Civiltà Contadina di Villa Smeraldi, il cui archivio è caratterizzato da un approccio analitico e documentativo che ha permesso all’artista di strutturare in modo più rigoroso il proprio quadro di riferimenti. Nello specifico, Mandorlini ha scelto di approfondire il tema della festa popolare e della sagra, che intende sviluppare nel prossimo futuro in una propria interpretazione che coinvolga la comunità con cui si è interfacciato durante la residenza: il progetto prevede di concepire una vera e propria sagra, che però includa, assieme al consueto iter di eventi ludici, anche una serie di interventi artistici. Come attività di autoformazione ha proposto una conversazione con alcuni dei membri del Gruppo della Stadura, un’associazione fondata con l’obiettivo di raccogliere utensili e oggetti della cultura popolare locale, che ha contribuito in modo determinante alla fondazione del Museo. Inoltre, i partecipanti hanno anche preso parte ad un laboratorio di produzione di pane con la pasta madre. Per il Public Program, invece, Mandorlini ha invitato a condividere la propria esperienza l’artista-contadino Luca Boffi, in arte Alberonero.

Marco Mandorlini | Incontro con il gruppo della Stadura

Andrea Di Lorenzo (residenza a Grizzana Morandi) si interessa in modo precipuo al rapporto tra opera e ambiente, con una particolare attenzione al mondo vegetale e a come questo è stato incorporato e interpretato nella cultura visuale e materiale. La sua stessa pratica artistica si ispira alle dinamiche complesse che hanno luogo nella vita delle piante. Un tema che lo affascina particolarmente è quello delle strategie riproduttive delle piante spontanee: ad esempio, in Hitchhikers (2024) sono oggetto di scatti stampati come ombre fumose su vetro annerito alcune piante che hanno la capacità di attaccarsi al manto degli animali – o, in questo caso, agli indumenti – potendo così disperdere i propri semi nell’ambiente. Vòlto alla stessa finalità è l’approccio scelto in Ricordi di coppie, serpi, giunti e innesti (2023), in cui Di Lorenzo riproduce elementi vegetali mediante dei calchi, connessi reciprocamente mediante morsetti da elettricista e cavi di acciaio, che hanno un parallelo nell’operazione di innesto agronomico, ma anche nella crescita continua e ramificata delle piante. L’artista ha sfruttato la residenza per avventurarsi in esplorazioni finalizzate alla documentazione del mondo vegetale del territorio montano. Altri aspetti di suo interesse sono stati il rapporto tra l’architettura romanica e l’ecosistema ibrido di terreni coltivati, incolti e boschivi, i processi biologici delle piante indigene, la loro rappresentazione nelle decorazioni architettoniche locali. Ne è scaturito il progetto, ancora in corso di definizione, One of a Thousand Ways, dedicato allo studio della specie Lilium martagon durante la sua fase di impollinazione notturna, nell’area di Corno alle Scale (una delle ultime aree della regione in cui questa specie abbonda) e alle sue rappresentazioni nell’architettura romanica di area appenninica, a partire da quelle presenti in una cripta del IX secolo non distante dal luogo di fioritura della pianta. Per la restituzione condivisa Di Lorenzo si è affidato alla guida dell’esperto di etnobotanica e volontario WWF Michele Vignodelli, che ha guidato il gruppo nell’ecosistema di Montovolo, mentre per il Public Program ha invitato a condurre una passeggiata nei dintorni del proprio studio la contadina ed esperta di fitoalimurgia Annalisa Malerba, che ha introdotto ai partecipanti una serie di piante spontanee, da cui sono state poi ricavate delle tisane.

Andrea Di Lorenzo | Visita al Santuario della Beata Vergine della Consolazione di Montovolo

Centrale nella pratica di Gaetano Palermo (residenza a Calderara di Reno) è la tensione vigente tra stasi e movimento, tra velocità e lentezza, affrontata attraverso la ricerca coreografica, la performance e l’installazione. Oggetto del suo interesse è quella sensazione di inerzia irrequieta tipica della società iperconnessa in cui siamo immersi, in cui pare impossibile raggiungere l’inattività più autentica e rilassata. Palermo ha sfruttato la residenza per affrontare la declinazione di questo tema in rapporto al wellness e alla pratica sportiva e ha concepito, mediante lo strumento del tapis roulant, un progetto coreografico dal titolo Fuga sulla corsa come metafora della ricerca perenne del benessere, che può vicendevolmente rappresentare la tensione alla liberazione del proprio corpo, oppure il mezzo tramite cui tentare di conformarsi ai modelli sociali legati alla salute e alla performatività. Nella seconda parte della residenza, invece, ha condotto insieme a Michele Petrosino un laboratorio pubblico di indagine sulla temporalità non lineare, dal titolo Estasi, presso la Casa della Cultura Italo Calvino di Calderara di Reno. Il laboratorio, incentrato su pratiche performative come la danza immobile o pratiche di auto-narrazione, ha indagato i temi della memoria, del desiderio, dell’affetto a partire da alcune frasi tratte da L’ordine del tempo di Carlo Rovelli e ha portato i partecipanti a provare l’esperienza di una pratica di stasi o “caduta immobile”. Il laboratorio si è concluso con una performance corale nello spazio pubblico (un campetto sportivo), ispirata ad un lavoro dell’artista dal titolo Still (2023): da un sistema idraulico sgorga un rivolo d’acqua che bagna il corpo immobile dei performer, simulando uno stato di assurda iper-sudorazione. Per il Public Program Palermo ha proposto un incontro con il curatore e ricercatore Daniel Blanga Gubbay, che ha presentato un’indagine sperimentale sull’ambiguità delle immagini, affrontata attraverso la categoria della vibrazione appoggiandosi agli scritti di Jalal Toufic e Alina Popa e al lavoro di Saodat Ismailova. La sua indagine è stata applicata all’opera The garden (2023) di Palermo, un “fermo immagine performativo” in cui un corpo immobile è oggetto della proiezione di immaginari sonori ogni volta differenti che riscrivono la semantica della sua stasi.

Adele Dipasquale (residenza a Imola) indaga e problematizza il potere del linguaggio, che costruisce tassonomie, suddivide in categorie, si fa veicolo per la concezione di nuove realtà. L’artista guarda in modo privilegiato alle modalità comunicative meno irreggimentate dal sistema, sorte come codici linguistici spontanei o in risposta ad un malessere o ad una necessità. Ne è rappresentativa la ricerca Lose voice toolkit (2024), frutto di un anno di laboratorio condiviso con bambine e bambini dell’Istituto Gino Strada di Torino, che ha avuto esito in un cortometraggio sperimentale incentrato sul “perdere la voce” come atto consapevole – mediante “magneti ruba-lingua” o “caramelle perdi-voce” – e sulla capacità dei bambini di concepire forme di comunicazione fantasiose che non necessitano dell’articolazione verbale. Il film è stato protagonista del suo Public Program e a seguito della proiezione si è tenuta una conversazione con l’artista e scrittrice Allison Grimaldi Donahue. Anche il video Farfallino (2020) ruota attorno alle strategie comunicative dei bambini, utilizzando il linguaggio in codice omonimo creato per non farsi capire dagli adulti, che, come “lingua delle farfalle”, sembra suggerire la possibilità di un’intesa multispecie fondata sulla (apparente) incomprensione. Nel corso della residenza Dipasquale ha portato avanti un altro filone della sua ricerca, che si apre allo spiritismo; in questo senso, si è chiesta come attraverso il proprio corpo si possa incanalare la voce di altre entità e farsi cassa di risonanza: “Se la medianità è una questione di sintonia – mi scrive l’artista – allora direi che può essere una modalità privilegiata di conoscenza, un modo per sentirsi in debito con le voci del passato, in particolare quelle la cui memoria è stata dimenticata, messa a tacere o soppressa. Ha a che fare anche con la dichiarazione di sentirsi parte di una certa genealogia di pensiero, non solo nel presente ma all’interno di un dialogo che attraversa più temporalità”. Lo studio del fenomeno della fotografia spiritica le ha permesso di porre le basi per la sceneggiatura di un nuovo cortometraggio, che legherà il contesto della seduta spiritica ad esperienze di multilinguismo e di silenzio, storie locali, esperienze personali e racconti storici, per approdare ad un’altra realtà che vive al di là delle tassonomie prescrittive. Come attività di autoformazione ha proposto un gruppo di lettura all’interno del Museo Scarabelli di Imola, un museo di archeologia e storia naturale fondato sul criterio tassonomico e positivista ottocentesco, dunque una cornice perfetta per riflettere sulle dinamiche di silenziamento sociale imposte dal linguaggio.

Adele Dipasquale | Reading group al Museo Scarabelli di Imola

La ricerca artistica di Gianlorenzo Nardi (residenza a Loiano) indaga e abita il paesaggio, in particolare quei luoghi liminali, come i sottopassi urbani e le strade di campagna, in cui all’assenza dell’uomo corrisponde la riemersione di altre presenze. Da queste suggestioni scaturiscono sculture, installazioni, azioni effimere connotate dall’esperienza frammentaria e soggettiva del paesaggio, come una Struttura fluttuante (2023) alla deriva in mare aperto o una scultura trasportabile che funziona come un archivio mobile (Backpack I, 2023). Un aspetto ricorrente del lavoro di Nardi è il richiamo alla dimensione del viaggio; le opere stesse sono nomadi, sono attivate dal movimento di chi le trasporta o dall’effetto di condizioni esterne, in cui ha luogo anche una certa componente di aleatorietà. Inoltre, sono spesso costituite da materiali industriali riciclati, che vengono modificati assegnando loro funzioni differenti, in un’ottica di bricolage che risponde ad una certa idea di nomadismo. Quando l’opera si ferma, solitamente si insedia in luoghi in cui la sua identità può risuonare. L’artista parte spesso dalle proprie esperienze maturate nell’attraversamento di un luogo, per poi lavorare sulla memoria o sulla nostalgia di quella esperienza. Queste tematiche sono state approfondite nel corso della residenza, svolta presso l’Osservatorio Astronomico di Loiano, in cui Nardi ha potuto esplorare l’archivio di negativi fotografici su vetro emulsionato che documentano i più vari corpi celesti. Questa indagine ha permesso di estendere il topos del viaggio ad una dimensione immaginifica. In parallelo, l’artista ha studiato gli edifici che ospitano i telescopi, in cui è l’architettura stessa a fungere da dispositivo fotografico. Per il Public Program ha organizzato un’esplorazione urbana con Francesco Careri, Professore Associato presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Roma Tre e co-fondatore di Stalker / Osservatorio Nomade. L’esplorazione ha interessato il tratto di strada che collega il MAMbo alle aree più interne del quartiere Navile e ha permesso di valorizzare alcuni luoghi marginali.

Gianlorenzo Nardi | Visita all’Osservatorio Astronomico di Loiano

Letizia Lucchetti (residenza a Madonna di Rodiano) è una pittrice pura, che per le proprie iconografie fantasiose – battute di caccia, torte-carillon, cani che indossano tute da astronauta o scarpe con i tacchi – guarda all’arte popolare dei mercatini dell’antiquariato, tra soprammobili, giocattoli e souvenir. Soggetto ricorrente in queste forme di oggettistica è l’animale domestico, spesso umanizzato negli atteggiamenti e nel vestiario. Cody, il cane dell’artista, si presta a sua volta come modello di riferimento non dichiarato per molte di queste rappresentazioni, che adottano uno stile semplificato e molto colorato, espandendosi fino a toccare i limiti della tela e dunque non lasciando alcuno spazio a dettagli contestuali. La tecnica, molto gestuale e abbozzata, impiega colori pastello e terrosi, che si addensano solo in corrispondenza dei dettagli. Lucchetti ha sfruttato il periodo di residenza condotto nella cornice della Valsamoggia per esplorare le possibilità espressive della variazione del gesto indotta da forzature esterne come l’atto di camminare mentre si disegna, nel tempo dilatato della campagna. Per la propria attività di autoformazione, l’artista ha organizzato una visita nel borgo di Tolé, caratterizzato da una serie di opere di natura eclettica che adornano portoni e facciate delle abitazioni, o le nicchie devozionali. Alla visita è seguita una passeggiata nei campi di lavanda di Casa Vallarmà, costellati da una serie di interventi artistici. Per il Public Program è stata invece proposta una sessione di disegno con la Scuola di Santa Rosa di Luigi Presicce e Francesco Lauretta, una lezione aperta e conviviale che spinge a condividere l’esperienza creativa in totale libertà. La Scuola si riunisce ogni settimana dal 2017: nata nei bar di Firenze, nel tempo ha toccato diverse tappe in tutta Italia ed è approdata anche a New York, facendo virtù della propria natura estemporanea.

Letizia Lucchetti | Visita a Tolé
Veduta dello studio di Letizia Lucchetti
Gaetano Palermo, The Garden, 2023
Adele Dipasquale, Lose voice tool kit, 2024, film still