Hermann Nitsch | O.M.T. colore dal rito

Curata da Italo Tomassoni e da Giuseppe Morra, la mostra raccoglie circa 40 opere divise in 9 diversi cicli di lavori realizzati tra il 1984 e il 2010
19 Aprile 2017

Degli artisti riferibili al Wiener Aktionismus (Günter Brus, Otto Mühl, Rudolf Schwarzkogler) Hermann Nitsch (Vienna, 1938) compie il percorso più longevo, restando tuttora accese nella sua ricerca le criticità di proposizione e di ricezione. Risale già al periodo 1957-1960 la sua fascinazione per un’opera d’arte totale – Gesamtkunstwerk, secondo la tradizione romantica tedesca – da cui conseguirono le pratiche del Teatro delle Orge e dei Misteri, col fine della catarsi nell’accezione dell’originale greco: azioni drammaturgiche ispirate ai Misteri Dionisiaci ed anche alla tradizione biblico cristiana dei sei giorni della Creazione della Genesi e della Settimana della Passione, con rilievo particolare sull’aspetto purificatorio e sacrificale. In effetti tra le immagini più impressionanti dell’arte del secondo novecento vi sono proprio le testimonianze fotografiche delle prime azioni in cui Nitsch sventrava carcasse animali, ne rivoltava le interiora, lasciava colare il sangue su una tela stesa; col tempo l’elaborazione simbolica si è fatta più precisa, gli apparati scenici più grandi, le partiture più ampie e tese a una partecipazione di larga misura, a ogni modo la sostanza e gli obiettivi sono rimasti gli stessi. È un fatto assai raro rintracciare nei moti di ricerca una continuità così spiccata, un’aderenza tra le intuizioni giovanili e gli effetti via via perpetuati. Ecco perché riferendosi alle giornate rituali messe in atto nel castello di Prinzendorf, di proprietà dell’artista dal 1971 e divenuto sede dell’O.M Theater, piuttosto che alle azioni avvenute negli ultimi anni (e l’Italia ne è stata riferimento costante), risulta significativo chiedersi se e come sia mutata l’incidenza intima e pubblica delle stesse.

L’artista austriaco frequentemente ha posto in rilievo l’aspetto concreto del proprio operare; ciò che già era nato in termini materiali, la volontà si superare i limiti fisici della tela, è poi divenuto a livello complessivo la presentazione – più che la rappresentazione – di alcuni valori concreti, persino fondamentali, della vita e della morte: rispetto a una civiltà che tende al tabù e alla rimozione quindi allo snaturamento, la concretezza della carne e del sangue esperita con tutti i nostri sensi, oltre la mera apparenza provocatoria intende riportarci a una relazione liberata, felice, religiosa nel senso etimologico della parola, con l’esistere: «Nell’ebrezza entusiastica dell’esistenza ci identifichiamo con il cosmo intero, con la totalità di tutto ciò che esiste. In un rapporto di casualità noi significhiamo il flusso infinito della metamorfosi del mondo, che allo stesso tempo appare costruttivo e distruttore, che nello spazio dell’eternità incessantemente fa nascere, svanire rinascere i mondi. Si celebra il nostro esser qui.»[1]

Non avendo partecipato ad un’azione la domanda non può ambire neppure a una risposta soggettiva, la domanda comunque è se in una società invasa da immagini di violenza al punto da non riuscire neanche più a rigettarle ma solo a subirle con indifferenza, se in tale condizione di anestesia della visione e della coscienza la katharsis non sia in maniera irrimediabile finita fuori dalla portata della nostra sensibilità, e che dunque un rito, per quanto ricco di potenza e di attività, non ci basti più: per tornare a una stato empatico potrebbe occorrerci una soluzione ancora più estrema, l’esperienza diretta del dramma reale.

Hermann Nitsch, 18b.malaktion, 1986, Napoli, pittura su juta, 240x450 cm

Hermann Nitsch, 18b.malaktion, 1986, Napoli, pittura su juta, 240×450 cm

La mostra O.M.T. colore dal rito al Ciac di Foligno (fino al 9/07), che tra l’altro segna insieme alla precedente esposizione di Sandro Chia la rinnovata attività del Centro, conta in sé vari aspetti peculiari. L’attenzione come delineato dal titolo è sull’aspetto residuale delle azioni – ma a residuale non si dia un significato di secondo grado poiché nella ricerca di Nitsch i riti e le tracce che ne derivano stanno in rapporto di necessità e di complementarità, e mantengono anche un’autonomia estetica.
Una parte rilevante delle pitture sono i celebri rosso su tela; vi si aggiungono però altre serie tra cui le litografie The Architecture of the O.M Theatre, libere immaginazioni servite da spunto per la regia drammaturgica e per l’organizzazione scenica, e i meno noti e prettamente pittorici Esercizi cromatici. Nitsch nel tempo ha formulato una vera e propria teoria del colore, basata sull’aspetto sensibile, che lo ha portato a creare associazioni sinestetiche del tipo lillà bianco/aria di neve/erba appena tagliata/gigli oppure odori blu/aceto/vino rosso/catrame. L’altra parte dominante della mostra è dedicata ai “relitti” cioè a tutti gli oggetti concreti e simbolici che sono stati utilizzati durante le azioni e che poi vengono esibiti in precisa composizione. L’impianto dei relitti è infatti sempre ordinato, tassonomico: vi sono tele, fiori freschi dentro i secchi per la raccolta del latte, frutti integri e spappolati, zollette di zucchero, alambicchi di ogni genere vuoti o riempiti con sostanze che richiamano quelle del corpo (sangue, urina, sperma ecc…), pianete liturgiche in associazione al camice che l’artista usa in ogni suo intervento e che viene assumendo precisi significati pittorici e sacerdotali: «Spesso ancora più spontaneamente di quanto non si riesca a fare sulla tela del dipinto, l’intensità si trasferisce sul camice. Esso viene automaticamente macchiato, insudiciato, sporcato, toccato, spalmato, sparso, spruzzato di sangue (colore rosso) di tutti i colori dell’arcobaleno, dello spettro dei colori […] Io sono il pittore che pigia per voi questo vino eccellente.»
Sorta di sincretismo in cui coesistono elementi dalla cultura pagana e da quella cristiana, si può ipotizzare che a ciò abbia contribuito la frequentazione costante con una delle città italiane che in misura maggiore ha conservato pratiche di religiosità popolare, Napoli. Infatti uno degli aspetti portanti del progetto è il rapporto decennale dell’artista con Giuseppe Morra, che di O.M.T. colore dal rito è curatore insieme a Italo Tomassoni. Lo Studio Morra sin dagli anni settanta è stato un centro importante, a livello internazionale, per molti artisti della body art nelle sue varie declinazioni, e nel periodo successivo per Fluxus e per la Poesia visiva.
Tra i sodalizi di lavoro e di amicizia avvenuti durante il percorso uno dei più importanti è stato appunto con Herman Nitsch: lo Studio e ora la Fondazione Morra hanno organizzato importanti azioni, pubblicato gli spartiti musicali delle stesse e altri scritti, infine nel 2008 resa possibile la nascita di di un museo dedicato all’artista austriaco. In rapporto a questo, ed è un elemento che la mostra mette in risalto nella successione dei relitti – che talvolta ricordano degli ex voto – si avverte la forza dell’incontro tra la cultura mitteleuropea e mediterranea. Il percorso espositivo comprende anche quattro video documentari delle azioni. Di prossima pubblicazione un catalogo di ampio respiro, un regesto di tutta l’opera e bibliografia dell’artista.

[1] Herman Nitsch, Statuto del Teatro O.M., punti 9 e 10

Hermann Nitsch, installazioni di relitti, 130.aktion, 2010, Museo Nitsch, Napoli

Hermann Nitsch, installazioni di relitti, 130.aktion, 2010, Museo Nitsch, Napoli

Hermann Nitsch, 18b.malaktion, 1986 casa Morra, Napoli, 576x222 cm

Hermann Nitsch, 18b.malaktion, 1986 casa Morra, Napoli, 576×222 cm

Hermann Nitsch, 108.lehration, installazione, 2001 Galleria d’Arte Moderna, Roma

Hermann Nitsch, 108.lehration, installazione, 2001 Galleria d’Arte Moderna, Roma

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