All’inizio della passerella verde, svettante sulla 10th Street con vista sull’Hudson River, il Whitney Museum of American Art ospita la Whitney Biennial 2022: Quiet as It’s Kept, che, inizialmente programmata per il 2021, è stata inaugurata ad aprile di quest’anno e resterà visitabile fino ad ottobre.
L’ottantesima edizione è il risultato di una pianificazione durata tre anni che ha coinvolto ben sessantatré artisti e collettivi. La mostra occupa il quinto e il sesto piano dell’edificio progettato da Renzo Piano nel distretto di Meatpacking. Due spazi per due atmosfere diverse e opposte che nell’unità della mostra creano un percorso coerente: dall’oscurità e complessità quasi di labirinto del piano più alto, all’ariosità, al colore e alla luce del piano inferiore. A questa dicotomia fa riferimento il titolo, una frase presa in prestito da Toni Morrison, che richiama realtà tenute nascoste, non rivelate.
La mostra mette i visitatori davanti alle emozioni e alle sensazioni che hanno caratterizzato gli ultimi due anni (ma non solo), per via della pandemia, dei conflitti politici, delle violenze razziste, delle battaglie sociali: paura, dolore ma anche gioia e speranza. C’è quasi un intento catartico, di comprensione ed elaborazione di un recente passato che continua a essere presente.
L’allestimento del quinto piano propone una disposizione disorientante, ricordando quasi un luna park dell’arte, complice anche l’opera di Sable Elyse Smith, A Clockwork (2021) una ruota panoramica di dimensioni ridotte, realizzata con le tavole di legno usate nelle sale adibite alla visita dei carcerati per sorvegliarli nei momenti di incontro con i propri cari, “un monumento fisico al nostro subdolo legame tra violenza e intrattenimento”, come scrive l’artista. Come la storia impatta sul presente e sul futuro dell’uomo, cosa può fare l’arte, cosa vuol dire essere americani e, per traslato, far parte di una nazione e dei suoi confini? Le domande sono tante e Rayyane Tabet risponde con 100 Civic Questions (2022), cento domande sparse sulle pareti dell’intero edificio, riprese dai canonici cento quesiti dell’esame per l’acquisizione della cittadinanza americana.
Nel complesso predominano le opere video, e tra le tante meritano una menzione quella di Adam Pendleton, che partecipa con un’emozionante tributo al lavoro e alla storia personale dell’attivista Ruby Nell Sales, e Alfredo Jaar, che presenta 06.01.2020 18.39 (2022), un’intensa installazione immersiva incentrata sulle proteste del Black Lives Matter e sul caos degli eventi del 1 giugno 2020 a Washington D.C., mentre Coco Fusco in Your Eyes Will Be an Empty Word (2021) riflette sulle morti dovute alla pandemia, in particolare sulle morti di coloro che vivono ai margini della società, spesso dimenticati, e in una città come New York ormai invisibili.
Lo spirito di questa narrazione del contemporaneo della biennale è ripreso anche da Daniel Joseph Martinez, che presenta cinque fotografie in cui si ritrae come un antieroe post-umano, come Frankenstein e il Conte Dracula, foto accompagnate da un testo in cui la razza umana è definita come una specie autodistruttiva e infestante per la terra.
Provare a capire dove sta andando non solo l’arte ma la società del nuovo continente è tra le premesse di ogni edizione della biennale del Whitney, e in questo caso ogni opera suggerisce istanze che nel complesso permettono di guardare al presente con schiettezza e a tratti pessimismo, restituendo allo stesso tempo una possibilità di azione aperta alla speranza.