Un museo contraddittorio, un museo diffuso, un museo interiore. Dalle opere che formano la collettiva Neutral inaugurata presso l’mtn – museo temporaneo navile di Bologna emergono differenti versioni del concetto di museo (fino al 10/10). Ma quale dovrebbe essere la sua vera natura? Il tema della mostra ruota proprio attorno a questa domanda, riflettendo su un’idea di museo in grado di fronteggiare i tempi (strettissimi) nei quali viviamo e di rispecchiare la società (estremamente fluida) nella quale siamo immersi.
Neutral, dunque, per evitare il rischio di scegliere e di schierarsi? Assolutamente no.
Lo spiega bene Ornella D’Agnano nel saggio che accompagna la mostra: “Il museo non è più mausoleo, neppure parco giochi però; è lontano dai due estremi, allora sì, in questo senso può essere neutro. In equilibrio, persino vuoto, se necessario, ma vivo e interessato a ciò che accade fuori e intorno”. Il titolo, evidentemente provocatorio, identifica quindi una mostra per nulla indifferente alle questioni prima accennate.
E a testimoniarlo sono le stesse opere: Emanuela Ascari e Valentina Medda presentano ad esempio lavori che affondano le loro radici in tempi antichissimi, che non si riducono a un unico luogo e che contrastano i tempi veloci nei quali ci muoviamo (Ciò che è vivo – Culture tour, 2019 della prima e The last lamentation sketch for performance, 2019 della seconda); allo stesso modo, Dinamolisi (2020) di Emilia Bosetti sintetizza un processo che seppur destinato a perdersi lentamente nel tempo suggerisce quanto importanti siano le tracce che nel mentre quest’ultimo si lascia dietro; il lavoro di Marcello Spada (To Claes, 2015) svela invece l’incongruenza tra i propositi dell’opera d’arte e la rigida burocrazia che governa l’istituzione-museo.
L’opera di Golzar Sanganian (Naufragio n. 3, 2020) spinge gli occhi dell’osservatore a superare ciò che concerne la sola vista per addentrarsi in mondi intimi e nascosti, gli stessi dai quali affiorano i lavori di Dariotti e Silla Guerrini (N. 17, 2020 del primo e Nigella Sativa, 2020 della seconda), esternazioni tangili di universi interiori. Riccardo Bellelli sacralizza, cristallizzandolo, un gesto considerato incivile (Sputo, 2015) – potrebbero aprirsi porte, a tal proposito, verso l’“anti-civiltà” sostenuta da Carmelo Bene – mentre Stefano W. Pasquini (UF2002, 2020) e Chiara Pergola (Passanti/Express, 2020) lanciano al visitatore messaggi tanto criptici quanto estremamente significativi.
Neutral rappresenta quindi un atteggiamento, una predisposizione, che non presuppone tuttavia la scelta di non scegliere, bensì, semmai, quella di non inseguire traiettorie prestabilite. È la pluralità di intenti ciò che viene accolto, la multidimensionalità di ogni essere umano: artisti di generazioni diverse, con mondi interiori altrettanto diversi, alimentano un’idea di museo vivente e multiforme, attenta agli sviluppi del presente e vogliosa di contribuirvi in maniera determinante.
Accennavo all’“anti-civiltà” di Carmelo Bene: in effetti, pur discostandosi nei temi, lo spirito che anima la mostra presenta tuttavia la stessa carica. La differenza sta nella disposizione dei termini: in Neutral non vi è un rifiuto della storia o dello stesso organismo-museo – in Bene si arrivava addirittura all’irrapresentabilità del teatro e del sé – ma un rifiuto delle dinamiche che hanno caratterizzato lo sviluppo della storia fino a oggi e, di conseguenza, un rifiuto dei “processi nutritivi” che hanno alimentato l’organismo-museo. È da qui che nasce la volontà di cambiamento. E la scossa che si vuole dare, pur investendo l’intera “civiltà”, è rivolta soprattutto ai “mausolei” e ai “parco giochi” di oggi.