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Nan Goldin – This Will Not End Well | HangarBicocca, Milano 

Le opere di Goldin formano un insieme di forte impatto emotivo, che l’architetta Hala Wardé ha concepito come un villaggio composto da padiglioni, ognuno progettato sulla base delle sensazioni suscitate dall’opera.

«Come è stato possibile che questo sia accaduto?» esclama Nan Goldin rivolgendosi ai giornalisti presenti all’anteprima stampa della retrospettiva This Will Not End Well a lei dedicata (Pirelli HangarBicocca, a cura di Fredrik Liew, Roberta Tenconi e Lucia Aspesi, fino al 15 febbraio 2025). Riferendosi al dramma palestinese l’artista rimprovera i giornalisti per essere stati accomodanti e critica il «falso trattato di pace» proposto da Tramp, che non promette nulla di buono. This Will Not End Well – Questo non finirà bene, come si può intuire anche dalla visione del film Gaza (2025), realizzato dall’artista montando immagini tratte dai profili social di giornalisti e persone comuni che hanno documentato in presa diretta il massacro del popolo Palestinese. Lo sguardo di una bambina terrorizzata, le mani tremanti di un ragazzo che tenta di comporre un numero telefonico… particolari toccanti che risvegliano una sensibilità indurita dalla sovraesposizione a un flusso visuale di esplosioni e distruzioni. Goldin ha tratto da YouTube e da Instagram immagini di una prossimità, se non proprio di un’intimità, che è la sua cifra poetica: «Per me scattare una fotografia non è un distacco. È un modo per toccare qualcuno, una carezza». Il film, che avrebbe dovuto essere proiettato solo all’anteprima stampa, è stato inserito nel programma espositivo in un secondo momento e per questa ragione non si trova incluso nella guida alla mostra.

La diffusione di contenuti attraverso i social, ad opera dei cosiddetti prosumer (creatori e al tempo stesso consumatori di immagini), ha bypassato il sistema dei media tradizionali e quindi anche l’autorialità del fotogiornalismo. Con Gaza Goldin affronta il tema del postfotografico utilizzando il suo linguaggio privilegiato: la narrazione visiva della condizione umana. Da sempre l’artista racconta l’amore, l’amicizia, il dolore e i rapporti di potere, scardinando l’uso ortodosso della fotografia sia per il format adottato («I miei slideshow sono film composti da fotogrammi»), sia per la sprezzatura con la quale fotografa senza mettere in mostra la tecnica. 

Nan Goldin The Ballad of Sexual Dependency, 1981-2022. Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2025 © Nan Goldin. Courtesy l’artista, Gagosian, e Pirelli HangarBicocca, Milano. Foto Agostino Osio

Se Goldin prende le distanze dal tecnicismo fotografico, Mick Rock, immerso nella stessa cultura alternativa, lo “canzona”: «Sono arrivato alla fotografia quando iniziai a sperimentare con l’LSD. Iniziai a scattare durante un trip in acido… e ho scoperto che non c’era neppure la pellicola!». Rock, il fotografo di Syd Barrett, Lou Reed, Iggy Pop, David Bowie, scatta le sue immagini attraverso una forma ritmica di tipo musicale e non visivo. In una intervista rilasciata a Stefania Carretti nel 2013 racconta della sua formazione letteraria che ha influito sul suo rapporto “organico” e non visivo con la fotografia, sottolineando quanto l’aspetto tecnico sia per lui marginale rispetto al momento live della session fotografica. 

Nan Goldin Joey in my mirror, Berlin, 1992 © Nan Goldin Courtesy Gagosian

Le fotografie di Goldin rivelano la stessa marginalità della tecnica a vantaggio di un gesto rapido con il quale cogliere una sensazione, un sentimento. Questa rapidità ha un rapporto con l’istantanea: «Il mio lavoro ha certamente le sue radici nella fotografia istantanea che è, secondo me, il genere fotografico più determinato dall’amore: le persone scattano delle istantanee per amore e per ricordo». Il suo scatto fotografico è un gesto empatico, carico di emozione, un mezzo per abbracciare l’altro nella gioia e nel dolore: «Pensavo che non avrei perso nessuno se solo l’avessi fotografato abbastanza». 

Il suicidio della sorella Barbara Holly, raccontata dall’installazione Sisters, Saints, Sibyls (2004-2022) riallestita nello spazio Cubo (in origine commissionata per la cappella dell’Hôpital de la Pitié-Salpêtrière a Parigi), ha lasciato un’impronta indelebile nel suo cuore. La sequenza dei ritratti della sorella sorridente ne include anche uno in cui è mascherata. Barbara in mask (2004-22) è un ritratto enigmatico e al tempo stesso drammatico nel quale implodono in modo catastrofico tutti gli altri. «Mantenere reali i ricordi» attraverso la fotografia è il proposito di Goldin, ferita dal suicidio della sorella, così come dal dramma della tossicodipendenza raccontato in Memory Lost (2019-2021) e in Sirens (2019-2020), un film sul potere seduttivo della droga di cui anche l’artista è stata vittima. «Sono sopravvissuta alla crisi degli oppioidi» dichiara nel documentario di Laura Poitras Tutta la bellezza e il dolore – All the Beauty and the Bloodshed (2022), vincitore del Leone d’oro alla 79. Mostra del cinema di Venezia. 

Nan Goldin Sisters, Saints, Sibyls, 2004-2022. Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2025 © Nan Goldin. Courtesy l’artista, Kramlich Collection e Pirelli HangarBicocca, Milano. Foto Agostino Osio

Goldin è anche un’attivista che nel 2017 ha fondato il gruppo P.A.I.N. (Prescription Addiction Intervention Now), acronimo che possiamo leggere anche come sostantivo (‘dolore’). Il gruppo promuove iniziative per contrastare il consumo di oppioidi, che negli Stati Uniti, dal 1996 ad oggi, ha causato la morte di oltre mezzo milione di persone e creato un vasto fenomeno di dipendenza. Le iniziative di P.A.I.N. prendono di mira la filantropia della famiglia Sackler, ritenuta responsabile di aver consapevolmente innescato la crisi degli oppioidi immettendo sul mercato, attraverso la Purdue Pharma, un potente antidolorifico a base di ossicodone, una sostanza che crea dipendenza. Con clamorose azioni di protesta gli attivisti di P.A.I.N. hanno chiesto ai musei che hanno beneficiato delle donazioni dei Sackler di rimuovere il nome della famiglia dalle loro sedi. Nel 2019 la National Portrait Gallery di Londra decide di rifiutare la donazione di 1 milione di sterline da parte del Sackler Trust, e a ruota anche la Tate e il Guggenheim prendono le distanze dai Sackler. Questo è un esempio autentico di ‘artivismo’, che affianca il lavoro fotografico di un’artista impegnata nel sociale.

Nan Goldin C performing as Madonna, Bangkok, 1992 © Nan Goldin Courtesy Gagosian

All’inizio degli anni Settanta Goldin si trasferisce a Boston dove condivide l’appartamento con drag queen in una condizione di promiscuità favorita dall’uso di sostanze stupefacenti. The Other Side (1992-2021) è un omaggio alle amiche e agli amici transgender: «Mi sono innamorata delle drag queen e, dopo pochi mesi, mi sono trasferita da loro. Ero completamente devota a loro, sono diventate tutto il mio mondo. Parte della mia adorazione per loro si manifestava nel fotografarli». Lo slideshow The Ballad of Sexual Dependency (1981-2022) include circa 700 ritratti di amici e amanti colti in momenti d’intimità, «Le immagini scaturiscono dalle relazioni, non dall’osservazione». La ballata porta l’attenzione anche sul potere che gli uomini hanno sulle donne, sulla vulnerabilità sessuale e sulla violenza: «Strutturo il mio lavoro secondo i fatti che segnano la mia vita, i momenti di rottura. Dopo essere stata picchiata, vedevo la mia vita in funzione di un prima e un dopo». 

Nan Goldin, Heart-shaped bruise, New York City, 1980 © Nan Goldin. Courtesy Gagosian

Pur nella loro crudezza, queste immagini hanno una grazia nella quale si sublimano l’amore e il dolore. In Stendhal Syndrome (2024) Goldin rievoca la travolgente bellezza dell’arte mettendo a confronto riproduzioni di opere del passato con ritratti di amici e amanti. Attraverso questo confronto rintraccia la presenza del mito nelle vicende personali, rendendole così universali. 

L’imponente retrospettiva mostra l’intera estensione del lavoro di Goldin come filmmaker, dalla sua prima opera (The Ballad of Sexual Dependency) all’ultima (Gaza). Le sue preferite sono Memory Lost e You Never Did Anything Wrong (2024) dedicata al mondo animale. Le pupille dei gatti che si verticalizzano mentre fissano la camera, suggeriscono la distanza siderale che separa il loro sguardo da quello con il quale noi li osserviamo come animali domestici. Una distanza siderale quanto quella dell’eclissi solare inclusa nel montaggio del film girato in Super 8 e 16mm. L’opera contribuisce ad alimentare il dibattito in corso sul riposizionamento dell’umano in rapporto a ciò che non lo è. 

Nan Goldin Fire Leap, 2010-2022. Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2025 © Nan Goldin.  Courtesy l’artista, Gagosian, e Pirelli HangarBicocca, Milano. Foto Agostino Osio

Per Goldin anche i bambini provengono da un altro pianeta, diverso da quello degli adulti: «I bambini nascono sapendo tutto e, mano a mano che sviluppano rapporti sociali, dimenticano». A questo mondo l’artista ha  dedicato Fire Leap (2010-22), uno slideshow composto da fotografie scattate ai figli di amiche e amici, accompagnato da una colonna sonora composta da brani cantati da un coro infantile, tra i quali Space Oddity (1967) di David Bowie. La canzone racconta di un astronauta lanciato in orbita, che perde il contatto con la torre di controllo. 

Le opere di Goldin formano un insieme di forte impatto emotivo, che l’architetta Hala Wardé ha concepito come un villaggio composto da padiglioni, ognuno progettato sulla base delle sensazioni suscitate dall’opera. Al centro di questo villaggio si apre una piazza dove è proiettato Gaza, nona opera aggiunta alle otto del progetto espositivo originale.

Nan Goldin “This Will Not End Well” Veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2025 © Nan Goldin. Courtesy l’artista, Gagosian e Pirelli HangarBicocca, Milano. Foto Agostino Osio

L’ingresso al gruppo di padiglioni distribuiti negli spazi Navate e Cubo di HangarBicocca è preceduto da un ambiente sonoro (Bleeding) realizzato dal collettivo Soundwalk Collective (Stephan Crasneanscki e Simone Merli) armonizzando dei frammenti sonori registrati nel corso delle precedenti retrospettive dedicate a Goldin presso il Moderna Museet di Stoccolma (che ha organizzato il progetto espositivo), lo Stedelijk Museum di Amsterdam e la Neue Nationalgalerie di Berlino. 

La mostra è frutto di una collaborazione. «Collaborare è la cosa che so far meglio» dichiara Goldin. La relazione è sempre al centro del suo lavoro così come della sua vita. Al termine della conferenza stampa invita i presenti: «potete avvicinarmi in privato». Rompendo la liturgia delle inaugurazioni all’HangarBicocca, che di regola si conclude con il migrare dell’artista e del gruppo direttivo-curatoriale, Goldin resta sul posto a disposizione di coloro che desiderano parlarle. Anche in questo caso rompe gli schemi e cerca un contatto.

Cover: Nan Goldin, French Chris on the convertible, New York City, 1979 © Nan Goldin. Courtesy Gagosian

Nan Goldin, Ivy on the way to Newbury St., Boston Garden, Boston, 1973 © Nan Goldin. Courtesy Gagosian
Nan Goldin My mother pregnant, n.d. © Nan Goldin Courtesy Gagosian
Nan Goldin Amanda at the sauna, Hotel Savoy, Berlin, 1993 © Nan Goldin Courtesy Gagosian
Nan Goldin My horse Roma, Valley of the Queens, Luxor, Egypt, 2003 © Nan Goldin Courtesy Gagosian
Nan Goldin Still from Stendhal Syndrome, 2024 © Nan Goldin Courtesy Gagosian
Nan Goldin Still from You Never Did Anything Wrong, 2024 © Nan Goldin Courtesy Gagosian