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NAM – Not A Museum, Firenze | Intervista a Caterina Taurelli Salimbeni

Pochi giorni fa, NAM – Not A Museum, il progetto di Manifattura Tabacchi di Firenze dedicato all’arte contemporanea, ha annunciato il programma 2022: non più soltanto residenze d’artista – format col quale era stato inaugurato nell’estate 2020 – ma anche esposizioni, workshop, laboratori e un’iniziativa di mediazione culturale dedicata a giovani studenti. Votato “alla ricerca, […]

Antonio Superblast 2021 – Bermudez Nature Is Not Green – ph. Leonardo Morfini, ADRYA

Pochi giorni fa, NAM – Not A Museum, il progetto di Manifattura Tabacchi di Firenze dedicato all’arte contemporanea, ha annunciato il programma 2022: non più soltanto residenze d’artista – format col quale era stato inaugurato nell’estate 2020 – ma anche esposizioni, workshop, laboratori e un’iniziativa di mediazione culturale dedicata a giovani studenti. Votato “alla ricerca, alla produzione e alla condivisione delle pratiche artistiche”, il tutto “all’insegna dell’interdisciplinarietà”, NAM – Not A Museum rispecchia a pieno l’identità cangiante e poliedrica che caratterizza la realtà di Manifattura Tabacchi, riqualificata a partire dal 2016 e destinata ad essere completata (se tutto procederà per il meglio) nel 2026 – per questo settembre è prevista la riapertura della Factory, con uffici, atelier, laboratori, spazi di formazione, loft residenziali, bar e ristoranti. Per sapere di più su ciò che trasformerà NAM “in un ecosistema che lega formazione, produzione, esposizione e fruizione”, abbiamo incontrato Caterina Taurelli Salimbeni, curatrice e direttrice artistica del progetto.

Antongiulio Vergine: A quasi due anni dalla sua formazione, NAM – Not A Museum sembra aver raggiunto l’ultimo stadio della sua evoluzione. Quali sono state le tappe fondamentali di questo processo?

Caterina Taurelli Salimbeni: NAM è nato come prototipo temporaneo di un progetto destinato agli spazi riqualificati di Manifattura Tabacchi. Da quando quest’ultima ha aperto, nel 2019, si è costituita come un polo attrattore di creatività negli ambiti del design, dell’architettura, della moda, della musica. In questo contesto eterogeneo e ibrido, NAM ha creato uno spazio dedicato all’arte con un focus preciso: essere un punto di riferimento per gli artisti e i curatori attivi nello scenario contemporaneo rispetto ai processi di produzione, sperimentazione e condivisione con il pubblico. Inizialmente si è caratterizzato come una piattaforma, che ha prodotto e co-prodotto manifestazioni e iniziative culturali di diverso tipo – penso per esempio al laboratorio Aerocene di Tomas Saraceno con Palazzo Strozzi, alle mostre del progetto VISIO. European Programme on Artist’s Moving Images a cura di Leonardo Bigazzi, al festival Lucia di Radio Papesse. Dopo la prima esplosione, che ha visto un elevato concentrato di attività, abbiamo fatto un passo indietro, fatto un grande respiro e ideato un unico progetto di durata annuale. Gradualmente ha preso la forma di un oggetto sempre più autoriale e il lancio di SUPERBLAST nel 2021 ha posato la prima pietra. Lo stesso progetto condensava tutti gli aspetti che si voleva toccare: il coinvolgimento di giovani artisti, l’interdisciplinarietà espressa dalla giuria, la costruzione di un percorso di residenza e di un network, l’esposizione e il lavoro editoriale. Infine, il 2022 tira le fila delle traiettorie intraprese e le seleziona in un programma esteso nel quale il team dedicato a NAM cura il contenuto, dalla sua proposizione attraverso la comunicazione fino alla produzione. Il momento in cui si trasferirà in uno spazio permanente si avvicina.

Superblast 2021 – Edoardo Aruta, La Furia del Dire – ph. Leonardo Morfini, ADRYA
Superblast 2021 – Iper-Collettivo_Micromegásuoni – ph. Leonardo Morfini, ADRYA

A. V.: Fare i conti con determinati appellativi comporta sempre dei rischi, gli stessi, d’altro canto, di quelli che comporta la scelta di rifarsi a una negazione di quegli stessi appellativi. Tornando per un attimo al principio, perché la scelta di questo nome?
C. T. S.: Il nome è sintomo dell’urgenza di intercettare i bisogni inespressi all’interno di un contesto già fortemente presidiato a livello culturale. E abbiamo notato che effettivamente c’era la necessità di uno spazio dove poter sperimentare fuori da schemi precostituiti. Sicuramente abbiamo subito il fascino poetico del cantiere in cui siamo immersi. Si percepisce un senso di possibilità e di trasformazione perenne e forse in maniera naturale questo sentimento fluisce da dentro a fuori. Non a caso Not A Museum è stato associato a un manifesto, che abbiamo conservato come guida per i progetti da costruire. E la prima delle linee dettate è quella di concentrarsi sulla produzione, prima che sull’esposizione. Da una parte guarda a dei modelli evocativi, come il Black Mountain College o l’esperienza Global Tools che vede a Firenze alcuni epicentri fondamentali. Dall’altra, quando ci si trova in contesti nuovi con condizioni uniche come in questo caso, non ci sono davvero modelli di riferimento. Nel negare ciò che non è, questo nome in un certo senso stimola continuamente delle domande, non solo a chi lo recepisce, ma anche a chi lo costruisce.

A. V.: La programmazione prevista per questo 2022 si concentra su tematiche che, dopo l’emergenza Covid-19, risultano ancora più urgenti e difficili da ignorare – penso al rapporto uomo-natura e alle modalità di riscoperta dei nostri corpi. Racconteresti brevemente come questi temi si declineranno nei vari progetti? 

C. T. S.: Gli happening, performance e installazioni temporanee che fanno parte di Giulietta, progetto curato da Stefano Giuri, indagano lo spazio di incontro tra i corpi individuali e quelli collettivi. Nella dimensione estemporanea dell’incontro, c’è una riflessione su ciò che significa condividere e fare comunità oggi, che vive nel momento dell’accadimento. La mostra The Vernal Age of Miry Mirrors, mostra personale di Michele Gabriele a cura di Treti Galaxie, interviene invece sui meccanismi di percezione, su come ci rapportiamo a eventi imprevisti o ignoti, che tendiamo a rimuovere o a distorcere. Come reagiamo di fronte all’ignoto. La collettiva Adesso no, a cura di Gabriele Tosi e Bruno Barsanti, esplora la relazione tra umano e tecnologico, dove nella società che viviamo le due dimensioni sembrano vivere un continuum che ci risulta difficile interrompere o di cui è complicato intravedere i confini. SUPERBLAST tocca tutto ciò che, come individui, ci lasciamo alle spalle, cosa resta delle nostre azioni e in che modo si ripercuotono nel futuro. Many Possible Cities attua una meta-riflessione sulle città contemporanee e ideali, mentre God Is Green si concentra sul rapporto tra uomo e ambiente interrogandosi sulla possibilità di nuovi paradigmi. Diciamo che ogni progetto condensa molti temi attuali, ciò che si mantiene come fil rouge è l’approccio interdisciplinare alla materia viva, che NAM tratta con gli artisti e i curatori e a volte interagendo con attori provenienti da altri campi, come l’architettura, la formazione e il design.  

A. V.: Attraverso la collaborazione con l’Accademia di Belle Arti e il Dipartimento di Storia, Archeologia, Geografia, Arte e Spettacolo (SAGAS) dell’Università di Firenze, NAM – Not A Museum introduce l’aspetto della mediazione culturale, dando la possibilità a giovani studenti di confrontarsi in maniera diretta con la pratica sul campo. In che modo avverrà tutto questo?
C. T. S.: Abbiamo avviato un dialogo con le università per offrire agli studenti e alle studentesse dei corsi di curatela e comunicazione e didattica un’esperienza formativa. È uno di quei progetti in cui tutti vincono. A noi interessa coinvolgere la comunità giovanile nei processi di produzione culturale, non solo come pubblico, ma come professionisti che possono realmente aggiungere freschezza e uno sguardo inedito al processo e alla sua restituzione. Quest’anno ci sono diverse mostre in programma, e la possibilità di avere dei mediatori culturali è di un valore inestimabile, per la città e per il comparto culturale. Nel tempo abbiamo notato come le visite guidate funzionassero perfettamente, le persone hanno il desiderio di conoscere, però approcciarsi all’arte contemporanea sappiamo che crea a volte timori o insicurezze. Con gli studenti andremo a costruire dei gruppi di lavoro, bilanciando formazione e pratica sul campo. La loro partecipazione si struttura tra incontri con i curatori, gli artisti e gli addetti ai lavori, mediazione culturale alle mostre e valutazione finale dell’esperienza, al fine di coinvolgerli nell’intero processo, lato progettazione, allestimenti, curatela e scambio con il pubblico.

A. V.: Il processo evolutivo di NAM sembra assecondare quello di Manifattura Tabacchi, la cui identità si sta consolidando in maniera sempre più convincente. Cosa rappresenta per Firenze questa realtà, e come si inserisce nel panorama delle istituzioni italiane dedicate al contemporaneo?

C. T. S.: Firenze è una città incredibile. È più permeabile al contemporaneo di quanto non si creda ed è attraversata da movimenti in tale direzione. C’è un tema di decongestione dei flussi turistici dal centro storico, e in questo senso Manifattura Tabacchi attira l’attenzione delle istituzioni pubbliche della città. NAM nello specifico oggi rappresenta un punto di riferimento per gli artisti, gli studenti dell’accademia e gli attori della scena contemporanea, sia come partecipanti alle iniziative che come collaboratori. Il trasferimento negli spazi recuperati di Manifattura Tabacchi, farà parte del consolidamento di questo contributo. È più difficile valutare l’inserimento di NAM nel panorama delle istituzioni nazionali dedicate al contemporaneo. Non si confronta né per storico, né per statement con i musei, ma li guarda come ispirazione, soprattutto nella logica di essere parte di una rete. NAM fluisce da un contesto di rigenerazione ed esistono in Italia e all’estero realtà che sono nate così e che ancora oggi mantengono questo stato ibrido. Con poco meno di due anni di vita, è un soggetto per certi versi anomalo rispetto al sistema, ma che dialoga con gli stessi linguaggi e ne condivide le intenzioni.

A. V.: NAM – Not A Museum ha collaborato con diverse realtà nel corso del tempo, soprattutto fiorentine: penso a Museo Novecento, Toast Project Space, Radio Papesse, Lo Schermo dell’Arte, ecc. Pensi che la cerchia di interlocutori possa allargarsi in futuro anche oltre i confini regionali, e, chissà, magari nazionali?

C. T. S.: Partire dal territorio di origine è necessario come lo è coltivare queste relazioni nel tempo. Nel panorama italiano c’è spesso una tendenza e pressione a rivolgersi all’estero, a volte forse anche per questo senso ingiustificato di inadeguatezza che ci portiamo dietro a livello culturale. Cercare un bilanciamento, tuttavia, è fondamentale, non tanto per poter vantare una copertura estesa, quanto per favorire il dialogo con diverse culture e geografie e con le ecologie umane a cui afferiscono. In questo senso anche le collaborazioni di NAM nascono per affinità a certi temi o a un certo sentire comune e l’hanno già portato fuori da Firenze. Abbiamo costruito una mostra multidimensionale con NERO da Roma, che ha attratto Parasite 2.0, Medusa e Threes Productions. Per la prima edizione di SUPERBLAST hanno fatto parte della giuria Lucia Pietroiusti della Serpentine Galleries di Londra ed Erica Petrillo di Studio 2050+, oltre che il neurobiologo Stefano Mancuso e Mario Cristiani di Galleria e Associazione Arte Continua. Tra i partner c’erano STUDIO STUDIO STUDIO di Milano e PEFC in Umbria. Quest’anno nel comitato di selezione ci sono Andrea Lissoni, direttore artistico di Haus der Kunst di Monaco, Chiara Parisi, direttrice del Centre Pompidou di Metz, Elena Magini, curatrice al Centro Pecci di Prato e Caterina Molteni curatrice presso il MAMbo di Bologna, che portano la loro visione da istituzioni nazionali e internazionali.

Superblast 2021 – Federica Di Pietrantonio, Not So Far Away – ph. Leonardo Morfini, ADRYA