Il Castello di Rivoli presenta gli appuntamenti autunnali di Museo dal Vivo. Il primo è stato il 28 settembre e il prossimo sarà sabato 12 ottobre e metterà a disposizione del pubblico una serie di attività realizzate in collaborazione con sette artisti internazionali, presentati per la prima volta al Castello: Mohammad Al Faraj, Moza Almatrooshi, Matilde Cerruti Quara, Ufuoma Essi, Lamin Fofana, Invernomuto e Lea Porsager.
Per l’occasione ATP ha rivolto alcune domande alla curatrice Giulia Colletti.
Barbara Ruperti: Partiamo dal titolo, Corpi erratici, quale significato assume il movimento all’interno del palinsesto di Museo dal Vivo?
Giulia Colletti: Il programma Corpi erratici mutua il titolo dalla singolare presenza di massi erratici nel paesaggio morenico della Val di Susa. Trasportati dai ghiacciai alpini a fondovalle durante l’era glaciale, questi imponenti blocchi di roccia, depositati in luoghi inaspettati del territorio piemontese, divenivano spesso oggetto di culto e rituali sacri, di cui restano ancora tracce nel folclore popolare. Questo accadeva perché erano composti da sedimenti diversi rispetto all’ambiente circostante e, pertanto, erano testimoni di un insolito vagare. I massi erratici materializzano quindi una disposizione a situarsi “fuori posto” rispetto al contesto che abitano, invitando a una riflessione sulle contemporanee dinamiche di migrazione e transizione di corpi umani e non umani.
Nel contesto di Museo dal Vivo, il movimento dei massi erratici assume molteplici significati. Da un lato, si riferisce alla mobilità fisica e culturale che caratterizza le pratiche artistiche presentate, attraverso l’incontro diretto tra artisti e pubblico negli spazi del Castello. Dall’altro, riflette un più ampio movimento di trasformazione del Museo stesso, che si propone come un luogo in grado di rispondere alle esigenze di visitatori diversi. L’invito a trascorrere una giornata immersi nel Museo, partecipando attivamente alle iniziative dal vivo, favorisce una fruizione prolungata. Corpi erratici mira a consolidare la connessione del Castello di Rivoli con la dimensione territoriale, attraverso lo scambio tra artisti italiani e internazionali, favorendo un movimento di idee, pratiche e collaborazioni che vadano al di là dei confini geografici.
B.R. Una particolare enfasi è assegnata al corpo e all’azione performativa. Diversi artisti si confrontano sul medium per proporre una riflessione intorno alla cancellazione e alla riabilitazione della narrazione storica. Come le diverse prospettive degli artisti sono confluite nel programma?
G.C. Nei due appuntamenti di Corpi erratici ospitati al Castello, artisti e visitatori sono invitati a interagire anche con la storia e i luoghi del Museo attraverso una serie di interventi performativi strutturati in più fasi, che offrono un coinvolgimento diretto. Nel primo capitolo dell’intervento di Matilde Cerruti Quara, PALINSESTO, l’artista ha messo a disposizione il proprio corpo, invitando i visitatori a interagire con lei rispondendo alla domanda ‘chi sei tu?’. Il corpo umano si è quindi trasformato in uno spazio collettivo di riflessione ispirato alla storia del Castello e alle incisioni lasciate sulle sue mura dai soldati che lo occuparono durante la Seconda Guerra Mondiale. La riflessione è proseguita al tramonto con REALISMO MAGICO, una performance immersiva in cui Cerruti Quara ha approfondito la nozione di memoria e di trauma intergenerazionale attraverso un rituale poetico, creando così un momento di riconnessione collettiva con gli ascoltatori.
B.R. Quali scelte ti hanno orientata nella selezione dell* sette artist* coinvolti?
G.C. Più che di selezione, parlerei di una forma di intonazione con e tra pratiche artistiche che ammiro profondamente, soprattutto per il rigore, il posizionamento e la coerenza che le contraddistinguono. Un esempio significativo è Lamin Fofana, che ha dimostrato una particolare sensibilità nel cogliere le sottili convergenze tra la sua ricerca, focalizzata sull’esplorazione delle identità diasporiche e migratorie, e quella di un artista solo apparentemente distante come Luciano Fabro. Le opere di Fabro, infatti, sono anch’esse orientate a stimolare la reazione sensoriale dello spettatore e ad alludere – talvolta in modo ironico – alla complessa situazione politica, economica e geografica italiana.
In The Open Boat, Fofana reimmagina le geografie di alcune comunità della diaspora dell’Africa occidentale attraverso un’installazione performativa multisensoriale che indaga criticamente il tema della migrazione, utilizzando il suono come “vascello” emotivo. La sua ricerca attinge alla teoria postcoloniale e si ispira agli scritti di poeti e storici come Kamau Brathwaite, riflettendo su nozioni di identità, appartenenza e sulle temporalità non lineari degli spazi oceanici.
Mentre assistevamo a The Open Boat nell’atrio del Castello, l’opera di Luciano Fabro, Paolo Uccello 1450–1989, posizionata sopra la postazione di Fofana, ha iniziato a oscillare e cigolare al vento. Associata ai suoni prodotti da Fofana, questa vibrazione ha immediatamente evocato una sensazione di attesa carica di tensione, riportando alla mente le pericolose traversate di chi cerca salvezza attraversando il mare. La profonda indagine di Fofana sullo spostamento oceanico ha trovato un’eco naturale nel tema che aveva ispirato Fabro. La data 1450 si riferisce infatti alla creazione, da parte di Paolo Uccello, degli affreschi nel Chiostro Verde di Santa Maria Novella a Firenze, dove il tema biblico del Diluvio è rappresentato servendosi di prospettive distorte e irrazionali.

B.R. I confini geografici sono continuamente soggetti a riscritture. Oggi le migrazioni e i conflitti in atto nel mondo colpiscono numerose comunità, rischiando di cancellare definitivamente le loro storie e culture. Il museo dal canto suo ha un ruolo essenziale nella trasmissione della memoria collettiva. Quali sono le motivazioni che ti hanno spinta a confrontarti con questo tema?
G.C. La ricerca su questo tema è profondamente influenzata dalle esperienze e testimonianze della mia isola d’origine che, contrariamente a come spesso viene dipinta, non è stata storicamente un terreno di sincretismo privo di conflitti. Collaborando con colleghi e artisti – come Invernomuto, ad esempio – propongo di contribuire alla decostruzione delle frontiere geografiche e delle rappresentazioni distorte che caratterizzano le epistemologie eurocentriche, in particolare quelle relative al Mediterraneo. In questo senso, riflettere sul costrutto europeo del museo è cruciale. I musei privati sono forme organizzative consolidate; i finanziamenti statali e regionali subiscono tagli e le istituzioni pubbliche affrontano significative ristrutturazioni. In questo scenario, per chi sono davvero trasformativi i programmi pubblici? Come possono i musei pubblici diventare luoghi di scambio attivo, piuttosto che limitarsi a riprodurre formati che appartengono all’ambito accademico? Cosa accadrebbe se il museo non venisse più concepito come un monolite, ma come un esercizio di restituzione attiva?
In occasione della performance What It Will Take to Flock the Wings of Freedom Again? di Mohammad Alfaraj, ci siamo posti queste domande, cercando di coinvolgere comunità di Rivoli e Torino che generalmente non frequentano il Castello come luogo d’incontro.
Concepire il museo come un esercizio di restituzione attiva implica, inoltre, estendere i principi di riabilitazione delle narrazioni cancellate – legate allo studio della provenienza delle opere d’arte e dell’arte trafugata – alla pratica curatoriale, tenendo conto di decontestualizzazioni forzate, traumi comunitari e controverse attività di scambio culturale.
Il film Half Memory di Ufuoma Essi, presentato al Castello con una sonorizzazione dal vivo di Shamica Ruddock, è una meditazione profonda sulla relazione tra memoria e storie contemporanee. Ispirata dal saggio di Toni Morrison, Essi esplora il presente come una diretta conseguenza di un passato irrisolto, soprattutto nel contesto della storia afroamericana. Opere come la sua risuonano fortemente con altre presenti nelle Collezioni del Castello – penso a Lerato le le golo (…la go hloka bo kantle), 2022, di Dineo Seshee Bopape; Abyss, 2005, di Doris Salcedo; o ENTRY DENIED (A Concert in Jerusalem), 2003, di Emily Jacir, tra le altre – per la capacità di esplorare condizioni attuali di conflitto che sono, di fatto, una diretta conseguenza di storiche forme di “amnesia selettiva” che caratterizzano l’Europa.”
Il prossimo appuntamento sarà sabato 12 ottobre, in occasione della giornata AMACI. L’evento è gratuito e prevede:
“What it will take to flock the wings of freedom again?” performance
partecipativa di Mohammad Al Faraj, Giardino della Manica Lunga, ore
15:00–15:30
“Half Memory”, proiezione del film di Ufuoma Essi con sonorizzazione
dal vivo della partitura di Shamica Ruddock, Teatro Castello, ore
16:00–16:40
Aperitivo in Caffetteria con menù ideato da Moza Almatrooshi, ore
15:00–18:00
Visita speciale alla Villa Cerruti a cura di Fabio Cafagna (con biglietto per la Villa Cerruti), ore 16:00
Sessione d’ascolto “BlackMed” di Invernomuto, Atrio Castello,
ore 18:00–18:45


