Nell’Ottocento il termine massa veniva contrapposto a quello di élite e indicava un insieme malleabile e informe in opposizione ai pochi e migliori, a chi sapeva dirigere ed era capace di scegliere in autonomia. La massa quindi era tutto ciò che si presentava dequalificato e si contrapponeva a una minoranza che occupava specifiche funzioni all’interno della società. Ancora oggi il termine rimanda a un gruppo che non presenta legami significativi tra i suoi membri e si caratterizza per la grande quantità di individui che comprende all’interno, soggetti senza una volontà autonoma e facilmente influenzabili. Nel concetto di massa non è inclusa solo l’idea di una moltitudine indifferenziata, ma anche una serie di caratteristiche come l’apatia politica, l’indifferenza verso gli avvenimenti, l’accettazione supina dei messaggi dei mezzi di comunicazione e l’omologazione dei comportamenti individuali. Partiti politici e movimenti ideali da sempre si nutrono delle potenzialità aggreganti del calcio e dello sport in generale. L’avvento della televisione, le logiche di mercato promosse dall’industria sportiva, la presenza sempre più massiccia degli sponsor configurano oggi lo sport come uno dei più caratteristici consumi della società di massa.
Jonathan Monk (1969) si lascia ispirare propria dalla cultura popolare e in particolare dal calcio e in occasione di Behind Closed Doors – in mostra presso la galleria Norma Mangione – realizza un gruppo di oli su tavola in cui sono rappresentati diversi pubblici sfocati seduti sulle gradinate di alcuni stadi di calcio (fino al 24 ottobre).
In questo momento storico particolare in cui, a causa delle norme di sicurezza legate alla pandemia da Covid–19, le folle di tifosi sono assenti dagli spalti, l’artista ha realizzato una serie di dipinti, basati su immagini provenienti da quotidiani, in cui le figure umane sono cancellate, ridotte a macchie di una folla fuori fuoco.
L’azione centrale – la partita di calcio – scompare e l’attenzione viene esclusivamente rivolta a una moltitudine indistinta, una massa da cui non si distingue nessuna individualità: il pubblico. Lo spettatore sembra rimasto chiuso fuori dalla propria arena, dal teatro dello spettacolo “il ritratto malinconico di una moltitudine che si voleva protagonista”.
Nella storia, il calcio è diventato in poco tempo the people’s game, “il gioco di tutti” sia perché praticato, a livello professionistico e amatoriale, da giocatori di ogni classe sociale, sia perché il pubblico che assisteva alle partite era in genere socialmente molto composito. Oggi si parla di calcio spettacolo, una forma che comprende attività agonistica e di intrattenimento ludico in cui chi vi assiste non sono più solo semplici spettatori che partecipano passivamente a una competizione. Oggi il pubblico è diventato parte integrante dell’evento, i cui protagonisti non sono soltanto coloro che si contendono la palla su un rettangolo di gioco per novanta minuti, ma anche la folla di spettatori che manifesta la propria presenza partecipata in modo spesso scenografico ancor prima che l’arbitro dia il fischio di avvio della partita. Infatti a ben guardare questo tipo di pubblico non rappresenta una massa omogenea e neanche una folla indifferenziata di spettatori di tipo casuale.
Le otto opere presenti in mostra riportano nel titolo un numero, come a sottolineare la condizione del nuovo protagonista che diventa invece sempre più massa senza volto e identità, comparsa in una recita fatta da altri.