ATP DIARY

Michele Napoli | Placentia Arte

Fosse stato un linguista, Sun Tzu avrebbe forse sentenziato così: “Se un termine è ostensivo perde in possibilità di significato, se evocativo è più facile a fraintendersi.” Le parole si infrangono contro una membrana riflettente verso l’interno, quella che delimita l’impossibilità di dire fino in fondo ciò di cui parliamo. Armi e scenari bellici senza […]

COME OVER COME OVER COME OVER COME OVERCOME [#1] - mylar + iron + silk               cm. 93x55 [flag], installation-variable dimensions, 2017.  photo credits - Marco Fava
COME OVER COME OVER COME OVER COME OVERCOME [#1] – mylar + iron + silk cm. 93×55 [flag], installation-variable dimensions, 2017. photo credits – Marco Fava

Fosse stato un linguista, Sun Tzu avrebbe forse sentenziato così:
“Se un termine è ostensivo perde in possibilità di significato, se evocativo è più facile a fraintendersi.” Le parole si infrangono contro una membrana riflettente verso l’interno, quella che delimita l’impossibilità di dire fino in fondo ciò di cui parliamo. Armi e scenari bellici senza storia sono strumento per affrontare i confini del linguaggio all’interno di ipotesi irreali di rivendicazione del proprio diritto di affermazione.
I coloni britannici del New England rivendicavano le loro intenzioni umanitarie mettendo in bocca suppliche d’aiuto agli indigeni raffigurati sui loro blasoni.
Il titolo della mostra inverte l’ordine delle parole presenti sul Gran Sigillo della Massachusetts Bay Colony: Come Over (venire) diventa Overcome (prevalere, sopraffare).
L’immagine del sigillo compare su improbabili bandiere statunitensi, simboli di un’America negata ai suoi stessi nativi al punto di privarli persino dell’identità nominale, chiamandoli indiani senza mai correggersi nei secoli. Armi a doppia e contraria impugnatura si mostrano come oggetti di una battaglia impari sempre in atto nel linguaggio, luogo convenzionale per una relazione incompleta tra gli uomini. Riecheggia il diktat wittgensteiniano: la natura delle cose è fuori dalla portata del nostro dire” (da comunicato stampa).

Segue una breve intervista all’artista.

ATP: Opere come Ak-474-kA (lovefully right)Il Servizio Buono e A City Upon A Hill presentano armi che si negano o neutralizzano mediante il loro doppio, ma allo stesso tempo si ribadiscono riflettendosi nello specchio. Mi spiegheresti meglio di cosa ci parlano questi lavori?

Michele Napoli: Non di armi. Parlano delle parole; e come le armi, anche loro sono strumenti con un fine. Ma se mi chiedi di spiegare le parole con le parole sarebbe come tentare di tagliare una lama con se stessa. Si finirebbe per rimanere intrappolati in una tautologia come l’immagine di uno specchio allo specchio. Parlano di questo. É contorto?

ATP: Puoi spiegare in che modo e perché te ne sei interessato?

MN: In un periodo della mia vita ho dovuto fare da referente famigliare presso una clinica psichiatrica. I medici parlavano di “psicosi della cura”. Ogni tentativo di aiuto da parte loro era collusivo con la psicosi. L’unico modo era uscire dal concetto di cura. I medici non l’hanno capito, ma il paziente lo ha dimostrato con la propria vita: ora sta meglio. È stata una feroce e silenziosa battaglia. Ecco perché le armi.

ATP: L’opera Come Over Come Over Come Over Come Overcome nasce dalla combinazione del Gran sigillo della colonia inglese della Massachusetts Bay con la bandiera attuale degli Stati Uniti. Di cosa si tratta? 

MN: Un giorno passeggiando sul bagnasciuga di Rimini, Noam Chomsky mi ha detto che l’immagine di quel sigillo dovrebbe essere dissepolta e attaccata sui muri di ogni aula. Io mi sono fidato e ho cominciato da quelli di Placentia Arte. Si tratta del “sogno americano”, una lunga storia di prevaricazione. Ma è una storia triste, non voglio rattristare te che mi sembri così entusiasta del tuo lavoro [sorride].

ATP: Emblematicamente decidi di terminare la mostra con l’opera Silenzio, e nella spiegazione della stessa viene citato Wittgenstein: “Ciò di cui non si può parlare, si deve tacere”. Limiti del linguaggio, possibile superficialità della parola, rischio che essa non raggiunga “l’essenziale” (da cs). Come nasce questa opera e perché hai deciso di dare una possibile chiusura alla mostra con essa?

MN: Non credo nell’essenza di niente, le cose si manifestano ogni volta con diverse sfumature, non c’è niente più di questa superficie, o se c’è comunque non ci compete. Così mi sembra. Silenzio è l’unica opera non pensata in origine per questa mostra. Faceva parte di una mia precedente esposizione che si è tenuta sul palcoscenico di un teatro di Padova, mentre a sipario chiuso in platea si svolgeva una conferenza sul confronto tra scuole di formazione per psicologi. Era una semplice insegna luminosa che aveva la funzione di intimare silenzio agli avventori, ma che allo stesso tempo si proponeva come contraltare alle voci che venivano al di là del sipario. Proprio l’idea di contrappunto alla parola è ciò con cui desideravo chiudere la mostra a Piacenza. 

Michele Napoli — OVERCOME and HELP
Fino al 22 aprile
Placentia Arte, Piacenza

A CITY UPON A HILL [#1] - wood + acrylic + iron + feathers + oil painting, cm. 230x110x110, 2017. Photo credit Marco Fava
A CITY UPON A HILL [#1] – wood + acrylic + iron + feathers + oil painting, cm. 230x110x110, 2017. Photo credit Marco Fava
Ak-474-kA (lovefully right) - ceramics + steel/iron alloy, cm. 150x40x6 [each], 2016. photo credit Marco Fava
Ak-474-kA (lovefully right) – ceramics + steel/iron alloy, cm. 150x40x6 [each], 2016. photo credit Marco Fava
COME OVER COME OVER COME OVER COME OVERCOME [det./flag]                                       mylar, cm. 93x55, 2017. Photo credit Marco Fava
COME OVER COME OVER COME OVER COME OVERCOME [det./flag] mylar, cm. 93×55, 2017. Photo credit Marco Fava
IL SERVIZIO BUONO [#1] - steel/iron alloy + iron + wood + acrylic + silver leaf, installation-variable dimensions, 2016/17. Photo credit Marco Fava
IL SERVIZIO BUONO [#1] – steel/iron alloy + iron + wood + acrylic + silver leaf, installation-variable dimensions, 2016/17. Photo credit Marco Fava