Ha aperto a Torino, con la curatela di Samuele Piazza, la mostra Metronome che presenta la nuova opera dell’artista statunitense Sarah Sze, co-commissionata e co-prodotta dalle OGR insieme ad Artangel di Londra e ARoS Aarhus Art Museum, con il supporto di Victoria Miro (Visitabile fino all’11.02.2024). L’installazione ambientale ospitata nel Binario 1 restituisce la complessa poetica dell’artista che dagli anni Novanta sviluppa un linguaggio visivo che sfida la staticità della scultura. Assemblaggio e stratificazione costituiscono le chiavi di volta della sua pratica, che si esplica attraverso una varietà di media – scultura, pittura, video, disegno e installazione – affrontando sempre la natura precaria della materia, alle prese con l’entropia e la temporalità.
Un ticchettio ci accoglie all’ingresso del Binario ex industriale. Ma non ci sono lancette né alcun quadrante a segnare lo scorrere delle ore. Il suo battito regolare cadenza i passi che ci separano dal globo di luce in fondo alla sala. Tutt’intorno, le nitide pulsazioni luminose si diffondono sulle pareti esplodendo in una danza di ombre e proiezioni colorate. Ogni secondo batte granitico lungo la navata e s’infrange contro le mura per poi rifluire indietro in un ciclo costante.
Già presentata questa primavera alla stazione ferroviaria vittoriana Peckham Rye di Londra, recentemente riaperta al pubblico dopo un lungo periodo di abbandono, Metronome trova ora sede a Torino, all’interno dell’ampio complesso industriale delle OGR. Costruite alla fine dell’Ottocento, per circa un secolo le Officine Grandi Riparazioni hanno rappresentato un’eccellenza nella costruzione e manutenzione dei treni.
È qui che Sarah Sze ambienta la sua opera che, attraverso un delicato link temporale, ci riconduce alla Torino di fine secolo, quando l’improvvisa accelerazione tecnologica trasformò la città in un cantiere di modernità e innovazione. Oggi come allora siamo immersi in una nuova rivoluzione epocale del rapporto spazio-tempo, innescata dall’evoluzione dei sistemi di interconnessione globale e al conseguente azzeramento dei tempi di comunicazione. Il parallelo tra passato e presente è rafforzato in questo luogo dalla compresenza di due immagini altamente simboliche. L’orologio e il treno, strumenti la cui invenzione ha storicamente contribuito a rivoluzionare il rapporto dell’uomo con il tempo e lo spazio, permettendogli di raggiungere traguardi insperati: controllare il corso della vita e accorciarne le distanze.
Come è evidente dal titolo scelto per la mostra, Metronome, Sarah Sze decide di annullare ogni coordinata spaziale stabile, lasciando che sia solo il tempo, incarnato nel battito puro del metronomo, a guidare il montaggio visivo dell’installazione. La sua pulsazione regolare estende la definizione di tempo collocandola in un’orchestrazione non diacronica, in cui ogni battito può rappresentare contemporaneamente un avanzamento o una recessione, a seconda dell’esperienza di chi osserva.
Il lavoro di Sze riempie lo spazio con proiezioni che percorrono le pareti e investono i numerosi schermi, più grandi e più piccoli, che compongono la faccia concava di un’enorme struttura emisferica. Ogni piccolo schermo è in realtà un frammento di carta dai bordi frastagliati sul quale si susseguono immagini – conti alla rovescia, vulcani in eruzione, carte mescolate, anelli di fuoco, tornado, insieme a forme astratte e animazioni al rallentatore – con un ritmo incalzante che ricorda gli spettacolari voli di cinepresa del capolavoro cinematograficoKoyaanisqatsi diretto da Godfrey Reggio. Il tutto è montato su una struttura portante composta da sottili aste in acciaio che crea l’illusione di un globo sospeso magicamente nello spazio. Una scintillante pozza d’acqua proiettata si accumula sul pavimento ai piedi della struttura restituendoci l’immagine di un mondo in procinto di liquefarsi.
Sul lato posteriore della sfera sono accatastati disordinatamente carte, materiali da disegno e da lavoro, intrecciati agli steli sottili di fragili fiori di carta, sormontati da una torre di proiettori rotanti che irradiano sulle pareti butterate del Binario un caleidoscopio di colori, luci, immagini e ombre in movimento. L’installazione ambientale, simile a una lanterna magica, trasfigura l’intero spazio, adattandolo di volta in volta ad inedite configurazioni.
Immerso nell’opera il pubblico si trova davanti a una narrazione filmica esplosa, dove il proprio sguardo è direttamente coinvolto nel ricucire il montaggio visivo secondo una trama personale. L’occhio del singolo osservatore diventa così il canale di un flusso dove immagini e informazioni sono costantemente negoziate, assorbite e rielaborate in un’esperienza visiva sempre unica e personale.
Il ritmo del metronomo tiene in vita il cuore della grande installazione. Ma il tempo scandito dalla sua lancetta invisibile potrebbe muoversi indistintamente avanti o indietro, senza che ce ne accorgiamo, o essersi inceppato tra un secondo e l’altro, dondolando come un pendolo impazzito. Oppure, ancora, quello che arriva alle nostre orecchie potrebbe rivelarsi un conto alla rovescia che piano piano raggiunge lo zero, dove ci aspetta forse la fine del mondo.