Testo di Clarissa Virgilio —
«Ho pensato molto a cosa succede quando ci si trova nella folla. Perché è così irresistibile la spinta a fare la stessa cosa che stanno facendo le altre persone? Quando succede realizzi di essere tu stesso parte dell’umanità, e questo accade in tanti momenti differenti, come in uno stadio, nel mezzo di una protesta, ad un concerto. Penso sempre fra me e me: le persone stanno cantando, battono le mani. Come fanno a sapere quando cominciare a batterle? È come se fosse una reazione viscerale scatenata dal trovarsi nella società con altre persone.»
Queste le parole con cui Meriem Bennani (1988, Rabat – vive e lavora a New York) inaugura il 31 ottobre l’apertura della sua personale negli spazi della sede milanese di Fondazione Prada, che sarà visitabile fino al 24 febbraio 2025.
Il suo progetto, For my Best Family, si fonda sui temi delle relazioni umane e dell’amore in senso lato, mantenendo una coerenza con gli artisti i cui lavori attualmente occupano le sedi della fondazione in tutto il mondo. «Trovo molto interessante il fatto che in questo periodo Fondazione Prada si sia trovata a lavorare spesso sul tema delle relazioni in quanto campo di scambio e di idee; – commenta Chiara Costa, Head of Programs di Fondazione Prada – penso alla mostra appena conclusa in Osservatorio di Miranda July dal titolo F.A.M.I.L.Y., ma anche ad un progetto che ha inaugurato poche settimane fa di Ryan Trecartin e Lizzie Fitch a Prada Aoyama Tokyo. Loro lavorano da anni su un collettivo artistico molto unito, che ha molte le caratteristiche di una famiglia. Anche a Shanghai (Prada Rong Zhai, nda) il 6 novembre inaugurerà la mostra di Shuang Li Distance of the Moon, incentrata sulla relazione fra l’artista e sua madre. C’è un’intera generazione di artiste ed artisti che sono molto interessati a questo tema, così come noi siamo interessati ad analizzarlo e svilupparlo.»
La mostra di Bennani si compone di due progetti. Il primo, una massiccia operazione installativa sonora che occupa il primo piano del Podium di Fondazione Prada, dal titolo Sole Crushing (2024): 192 infradito e ciabatte sono legate ad un sistema pneumatico che permette di creare una sinfonia ritmica di quarantacinque minuti, ispirata alle armonie della musica marocchina e realizzata dall’artista in collaborazione con il produttore musicale Reda Senhaji. La sua pratica fonde le sonorità amatoriali prodotte in famiglia, come lo sbattere dei cucchiai sulla tavola, a quelle legate alla musica techno. In meno di una settimana, Senhaji ha realizzato un’armonia di ritmi complessa e strutturata che permette alle quasi due centinaia di ciabatte di prendere vita e produrre i suoni più diversi, a seconda delle superfici su cui vanno a sbattere.
Nel raccontare Sole Curshing, Senhaji ricorda il legame profondo che per lui unisce musica e famiglia:
«Questa installazione è caratterizzata da una grandissima libertà, utilizzando un oggetto all’ultimo gradino della catena della moda che qui è stato valorizzato. La tecnica che io ho cercato di applicare nel realizzare questo sistema è stata quella di creare dei gruppi organici che interagissero tra di loro quasi come i diversi spazi di un coro. L’importante per me era che ci fosse un equilibro tra le “conversazioni” che avvenivano tra questi gruppi. Non potevo prescindere da quello che è il suono della mia terra e il desiderio di collegarmi alla tradizione della mia famiglia. (Io e Meriem, nda) Siamo cresciuti in delle famiglie in cui spesso ci si trovava in soggiorno e ci si metteva a fare musica con tutti gli oggetti a disposizione, come le tazze, il tavolo, un secchio. Da bambino venivo spesso escluso perché non andavo a tempo (ride). Sono gli oggetti ciò che dà il via a qualunque tipo di improvvisazione strumentale casalinga. Volevo creare una conversazione tra queste infradito: in alcuni momenti si arrabbiano e in altri interagiscono pacificamente fra di loro. Mi piacciono tantissimo le note vuote, quando tutt’a un tratto la musica si interrompe e ricomincia con un ritmo nuovo.»
Il ritmo e gli oggetti del quotidiano sono quindi, tanto per Senhaji come per Bennani, un elemento che simbolicamente richiama l’unione familiare, l’infanzia e lo stare insieme. Una comunicazione non verbale che trasmette amore, memoria e tradizione. Vi è inoltre una riflessione sul concetto di respiro, che lega profondamente Sole Crushing con la seconda parte del lavoro di Meriem Bennani, l’art film For Aicha (2024) proiettato al piano superiore del Podium. A muovere le infradito è infatti un complesso sistema pneumatico, dove l’aria svolge una funzione prioritaria per garantire l’animazione dell’installazione. Quando ad una parte del coro di ciabattine viene indirizzata tutta l’aria per far colpire loro i pedali, l’altra parte viene privata di questa stessa aria rimanendo “senza fiato”. Lo stesso fiato di cui rimane spesso priva Bouchra, la protagonista asmatica del film d’animazione For Aicha. L’art film diretto da Meriem Bennani in collaborazione con Orian Barki, John Michael Boling e Jason Coombs presenta una narrazione metacinematografica: la protagonista Bouchra – alter-ego dell’artista – è una lupa antropomorfa di origini marocchine che lavora come regista a New York. Sta lavorando ad un film di animazione che vede come protagonista lei stessa ed il rapporto complesso con la sua famiglia d’origine – in particolare con la madre – in seguito al suo coming out. Oltre alla forte componente autobiografica presente nella trama di questo film, For Aicha presenta degli elementi sia nel doppiaggio che nelle scene che conferiscono all’animazione caratteristiche di vivido realismo, creando un contrasto divertente con la natura dei personaggi, che sono tutti animali antropomorfi.
Meriem Bennani è in grado di creare con incredibile precisione le atmosfere delle strade di Casablanca e Rabat, la polvere sulle strade, i ragazzini seduti sul marciapiede concentrati a guardare un video sul cellulare. Allo stesso modo, con nitidezza mostra le strade buie di New York City, in cui la protagonista Bouchra cammina con aria sicura in cappotto di pelle e occhiali da sole. La vediamo poi più serena, in tuta a piedi nudi seduta assieme ai suoi genitori davanti alla televisione. L’espressività dei personaggi è rinforzata dai cambi di luci e costumi tra il Marocco e gli Stati Uniti. Non mancano però alcuni dettagli che sembrano voler legare i due mondi: un divano sporco e strappato gettato nel sottoscala di un vicolo newyorkese ricompare nel film qualche minuto dopo, in bella mostra nella radio in cui lavora l’amica di Bouchra in Marocco. Per quanto riguarda i dialoghi, sono tantissime le scene in cui sembra che l’animazione sia stata creata attorno ad un dialogo reale, piuttosto che un’operazione di doppiaggio standard. L’interazione fra i personaggi è magistralmente realistica, soprattutto fra Bouchra e la sua amica lucertola (doppiata da Orian Barki, con cui Meriem Bennani aveva collaborato durante il lockdown del 2020 per creare la serie animata 2 Lizards) e nei dialoghi madre-figlia. Il tema portato avanti da For Aicha è quello della comunicazione, o meglio del danno che l’incomunicabilità può portare al benessere del rapporto con l’altro. Bouchra tenta di comunicare con la madre affinchè le dica che cosa prova a seguito della scoperta della sua omosessualità: per nove anni dopo il coming out della figlia, le due non ne hanno mai parlato. In una scena densa di emotività, Bouchra rivela alla madre quanto sia stato difficile nascondere nelle sue telefonate oltreoceano l’amore condiviso con un’altra donna. Dall’altra parte del telefono, raramente ottiene vere risposte. È proprio il silenzio a danneggiare il loro rapporto: quello autoimposto di Bouchra per non far soffrire la famiglia che non riesce ad accettare la sua omosessualità e quello causato dalle tradizioni e dal pudore della madre, che non riesce a parlare dei suoi sentimenti contrastanti nei confronti di una figlia tanto diversa da lei. «Gay», una parola che viene pronunciata solo negli ultimi minuti del film, quando finalmente madre e figlia sono a cena e hanno un primo vero dialogo. Da quel momento nella narrazione si verifica uno sdoppiamento: Bouchra presenta alla madre l’attrice che la interpreterà nel film che sta girando, che non è altro che la madre che lo spettatore ha sempre visto in scena. È come se in quel momento si dichiarasse che tutta la storia mostrata fosse solo il film girato da Bouchra, e non da Meriem. Solo alla fine quindi, grazie alla risoluzione del contrasto tra madre e figlia e la fine di un silenzio durato nove anni, una delle pareti si rompe e lo spettatore può vedere la vera famiglia di Bouchra. L’ultima scena vede i parenti della protagonista (non gli “attori”) riuniti finalmente intorno ad un tavolo. Cantano, ridono – persino la madre, con un po’ di imbarazzo – e la zia di Bouchra commenta la sua gioia con una frase semplice: «I am with my best family.»