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memorabilia: l’archivio teatrale secondo Riccardo Banfi

Riccardo Banfi ha attraversato i depositi silenziosi del Centro Studi del Teatro Stabile di Torino per costruire una narrazione fotografica sospesa tra passato e presente.

Cosa resta di uno spettacolo teatrale una volta calato il sipario e terminate le repliche?È da questa domanda che prende vita memorabilia, progetto fotografico di Riccardo Banfi a cura di Arteco (Alessandra Messali e Beatrice Zanelli), andato in scena dal 18 ottobre 2024 al 4 giugno 2025 nel foyer delle Fonderie Limone a Moncalieri.

Un progetto nato nel cuore dell’archivio del Centro Studi del Teatro Stabile di Torino – che quest’anno
ha celebrato i cinquant’anni dalla sua fondazione – e tra gli oggetti archiviati nei depositi del teatro: costumi, maschere, scenografie in miniatura, frammenti di una memoria scenica in bilico tra realtà e finzione.
La mostra si inserisce come secondo capitolo di un più ampio progetto curatoriale portato avanti da Arteco, volto a raccontare l’enorme patrimonio archivistico custodito dal Centro Studi fin dalla sua fondazione nel 1974, per la raccolta e conservazione di documenti e testimonianze teatrali.
Banfi, da sempre interessato alle tensioni tra documento e interpretazione, costruisce un racconto per immagini che si muove tra passato e presente, tra testimonianza e invenzione. 

La mostra si è articolata in tre nuclei visivi: fotografie di documenti storici che evocano le stagioni teatrali del secondo Novecento; dettagli di modellini scenografici in legno e carta, sospesi tra progettualità e sogno; e scatti degli oggetti di scena – costumi, maschere, prop – ritratti nei magazzini come reliquie dimenticate.
Il percorso espositivo ha guidato il visitatore in un continuo gioco di specchi, dove l’illusione teatrale si riflette nella fotografia e viceversa. La realtà si frammenta e si moltiplica, lasciando spazio a domande più ampie sulla natura della rappresentazione e sulla necessità – profondamente umana – di costruire storie per dare forma al mondo.
Con memorabilia, Banfi non si è limitato a riportare alla luce tracce di spettacoli passati: ma ha messo in discussione la natura stessa dell’archivio, inteso non solo come contenitore della memoria ma come spazio vivo, aperto all’interpretazione e alla costante riscrittura.

Abbiamo incontrato Riccardo Banfi e le curatrici della mostra, Alessandra Messali e Beatrice Zanelli, per approfondire il processo che ha portato alla nascita di questo progetto e il dialogo che si instaura tra immagine, finzione e memoria.


Giulia Morucchio: Lavorare con un archivio significa entrare in dialogo con una memoria stratificata. Qual è l’approccio curatoriale che Arteco adotta in questi casi, e come lo avete applicato nello specifico al patrimonio del Centro Studi del Teatro Stabile di Torino (TST)?

ARTECO: Dal 2010 Arteco lavora sugli archivi – sommersi e non – studiando, catalogando e reinterpretando quella porzione di patrimonio culturale che spesso è inaccessibile ai pubblici. Da questa pratica è risultato evidente che ogni archivio sia un unicum in termini di storia, contenuto, eterogeneità e metodologie, mentre la questione stratigrafica può essere considerata una costante. Stratificazione sia di documenti e materiali ma anche di metodologie legate all’archiviazione, alle letture, alle narrazioni e alle interpretazioni. Il lavoro di Arteco si pone al crocevia di queste questioni con la volontà di dare una una voce agli archivi nell’oggi. Tra gli strumenti da noi utilizzati il più dinamico è quello di invitare artiste e artisti contemporanei a interrogare questo patrimonio per poi reinterpretarlo attraverso una lettura aperta e affine alle singole pratiche artistiche. Per le autrici e gli autori coinvolti non è sempre immediato e facile entrare in contatto con i documenti, le prassi di salvaguardia del patrimonio, le istituzioni e le persone che quotidianamente lavorano negli archivi, ma questa intrusione può essere molto generativa e talvolta può arricchire l’esperienza dei conoscitori apportando punti di vista inesplorati e fertili con un riscontro che tocca anche le istituzioni stesse. L’esperienza con il TST si è mossa partendo da questi presupposti, noi stesse ci siamo confrontate con un universo che conoscevamo poco e tra le stratificazioni ci siamo fatte guidare da tematiche a noi familiari come quella del rapporto tra teatro e arti visive. Tutto questo è avvenuto grazie a un dialogo costante con Lorenzo Barello e Claretta Caroppo, dell’Area Partecipazione, Comunicazione e Sviluppo; Anna Peyron e Davide Giovanninetti, del Centro Studi del TST e grazie alla preziosa assistenza curatoriale di Camilla Zennaro di ARTECO.

Custodire la scena, Teatro Carignano 2024. Un progetto del Teatro Stabile di Torino a cura di Arteco. Ph: Luigi De Palma
Custodire la scena, Teatro Carignano 2024. Un progetto del Teatro Stabile di Torino a cura di Arteco. Ph: Luigi De Palma
Custodire la scena, Teatro Carignano 2024. Un progetto del Teatro Stabile di Torino a cura di Arteco. Ph: Luigi De Palma

GM: memorabilia è la seconda mostra di un progetto più ampio di indagine sugli archivi del Centro Studi del TST. La prima, dal titolo Custodire la scena, è allestita negli spazi del Teatro Carignano di Torino. In che modo i due progetti espositivi dialogano?

ARTECO: L’esperienza del pubblico a teatro è in primo luogo legata a una forma d’arte che si compie “dal vivo” e ogni messa in scena è frutto di un processo di lavoro molto complesso che lascia dietro di sé una serie di documenti eterogenei. Custodire la scena rivela la complessa macchina che dà vita alle produzioni teatrali attraverso, appunto, la “messa in scena” del patrimonio archivistico custodito presso il Centro Studi del TST dando risalto a bozzetti, figurini, modellini, copioni e fotografie che testimoniano il dialogo tra teatro e arti visive, rivelando aspetti finora poco esplorati della storia dell’arte e dando voce a una serie di maestranze e professioni teatrali spesso non così note. Tra i bozzetti e modellini di costumi e scene troviamo diversi nomi dell’arte italiana del Novecento, tra questi Mario Ceroli, Enrico Colombotto Rosso, Emanuele Luzzati, Enrico Job, Eugenio Guglielminetti, Giulio Paolini e Maurizio Balò. Attraverso la locandina di Orgia di Pier Paolo Pasolini viene ricordata l’esperienza del Deposito d’Arte Presente, sede che ospitò lo spettacolo “fuori dal teatro” e soprattutto le sperimentazioni degli artisti agli esordi dello sviluppo dell’Arte Povera. I bozzetti per le scene e i costumi disegnati da Pier Luigi Pizzi testimoniano la prima regia teatrale di Susan Sontag con l’opera Come tu mi vuoi (1979/80) di Luigi Pirandello e tra le documentazioni fotografiche degli spettacoli troviamo quella delle prove di Gli ultimi giorni dell’umanità (1990/91) per la regia di Luca Ronconi scattate da Armin Linke nella fatiscente architettura del Lingotto, appena liberato dai grandi macchinari FIAT e in attesa della sua riqualificazione.
È risultato spontaneo quindi pensare di proporre alle Fonderie Limone il contraltare di uno sguardo verso il passato, chiamando un artista visivo a rileggere l’archivio perché, come anticipato nella risposta precedente, per Arteco invitare artiste e artisti a lavorare con gli archivi è uno degli strumenti per interrogare il patrimonio culturale attraverso il dialogo con la contemporaneità, attivando riflessioni sul presente. Abbiamo invitato Riccardo Banfi e grazie a questo coinvolgimento ci siamo addentrate in luoghi del TST che non avremmo altrimenti potuto visitare. Nel corso dei sopralluoghi, il suo interesse si è sempre più orientato verso quegli oggetti che non fanno prettamente parte del materiale archiviato nel Centro Studi ma che vengono conservati dal TST perché ad oggi ancora in uso durante le produzioni teatrali; oggetti di scena, scenografie e costumi che raccontano di immaginari potenzialmente inesauribili. Le fotografie che danno forma a memorabilia remixano scenari barocchi a soggetti pop in un’atmosfera che oscilla tra il melanconico e l’horror; suggestioni messe in scena attraverso un display che si interroga sulla natura dei dispositivi di finzione e il loro rapporto con il reale.

GM: Il Centro Studi del TST custodisce un secolo di storia teatrale. Com’è stato confrontarsi con un materiale così ampio e denso? Quali criteri ti hanno guidato nella selezione delle immagini e nella costruzione del tuo percorso visivo?

RB: L’invito di Arteco a confrontarmi con l’archivio del Centro Studi del TST è stata un’occasione per conoscere un universo, quello del teatro, a me poco familiare. Il progetto espositivo ha preso forma a partire da una ricerca condotta sia sulle metodologie e gli espedienti della messa in scena, sia sulle testimonianze storiche custodite in questo archivio. La collezione di documenti, modellini, bozzetti, sceneggiature, rassegne stampa e fotografie, racconta la storia di questa istituzione torinese e, più in generale, del teatro italiano nell’ultimo secolo. Gli archivisti Anna Peyron e Davide Giovanninetti hanno avuto un ruolo decisivo nel guidarmi alla scoperta di questi materiali. Parallelamente, ho potuto approfondire i loro suggerimenti grazie all’immenso archivio digitale consultabile online.
Il mio curiosare mi ha portato nei sotterranei dello stesso edificio dove si trova il deposito “Menodue” (come si può leggere all’interno dell’ascensore per raggiungerlo), in cui è conservata una parte dei costumi e dei prop. Sono stato poi accompagnato a Vadò, il deposito principale del TST nei pressi di Moncalieri, che ospita invece le scenografie delle produzioni interne, insieme a oggetti di scena di ogni tipo e dimensione.
In questi spazi l’approccio al lavoro è cambiato radicalmente. Mi sono lasciato sorprendere da incontri imprevisti come i costumi dell’adattamento teatrale di Fahrenheit 451 diretto da Luca Ronconi, tratto dall’omonimo romanzo di Ray Bradbury, andato in scena durante la stagione teatrale 2006/2007; uno scaffale con un gruppo di animali da cui spuntava la riproduzione di un pappagallo rosso; o una maschera di silicone raffigurante un personaggio demoniaco e adagiata su un supporto di polistirolo modellato a forma di testa umana. Ho ritratto un dettaglio di questa figura scultorea ibrida, enfatizzandone il tono espressivo e al contempo post-umano. Il close-up evoca la presenza di un personaggio, più che mostrarlo nella sua interezza, proprio come nel corso di una rappresentazione teatrale, in cui gli elementi scenici diventano veicolo di significato.
Per questo motivo, insieme ad Alessandra Messali e Beatrice Zanelli, abbiamo individuato questa fotografia – “memorabilia” – come elemento centrale della narrazione della mostra e titolo stesso della serie.

memorabilia, Fonderie Limone 2024. Un progetto del Teatro Stabile di Torino a cura di Arteco. Ph. Riccardo Banfi

GM: Uno dei temi centrali della mostra è il rapporto tra oggetti di scena e realtà teatrale. Come hai scelto di raccontare i “props” e cosa ti ha colpito del modo in cui questi oggetti, apparentemente marginali, condensano così tanta narrazione e immaginario?

RB: Il lavoro, nella sua totalità, mette a confronto la dimensione documentaria con quella allusiva che le immagini e gli oggetti restituiscono, configurando una relazione tra la memoria storica e la materialità del teatro. Se, come accennavo prima, “memorabilia” esemplifica la metodologia di messa in scena teatrale, lo stesso principio lo si ritrova in tutte le immagini della mostra, siano quelle dei prop, dei documenti o dei modellini preparatori. 
In “Natura morta” ad esempio, un insieme eterogeneo di oggetti impolverati è disposto su uno scaffale metallico: ci sono flaconi, contenitori, solventi, insieme a un fioretto, una katana e uno scudo. Questi elementi potrebbero  ipoteticamente appartenere a un’unica sceneggiatura in cui si racconta di una vicenda bellica, in cui il cavaliere protagonista è un alchimista che sperimenta nuove pozioni in un laboratorio segreto. Allo stesso tempo potrebbero essere appartenuti a spettacoli differenti o forse non essere mai saliti su nessun palcoscenico.
Inoltre, dall’incontro di questi elementi emerge un carattere ambiguo che oscilla tra la loro funzione nella vita di tutti i giorni e il valore scenico che possono assumere, aprendosi così a infinite narrazioni. Sono dei dispositivi che l’attore utilizza per suggerire mondi possibili e frammenti di storie e per calarsi in determinati ruoli, trasformando lo spazio e il tempo.

Natura morta, 2024. Courtesy Riccardo Banfi, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale e Arteco. 


GM: L’allestimento nel foyer delle Fonderie Limone è molto suggestivo e completa il racconto. Come avete lavorato insieme alla sua definizione e quali considerazioni hanno guidato la disposizione delle immagini nello spazio?

RB e ARTECO: L’allestimento, progettato da noi e realizzato con Attitudine Forma, è parte integrante del progetto espositivo. Nella sua essenzialità, lo abbiamo pensato come un’estensione architettonica del lavoro fotografico in dialogo con le scenografie che di volta in volta vengono realizzate dal TST, spettacolo dopo spettacolo. Le sei strutture disposte nel foyer delle Fonderie Limone sono composte da pannelli di legno, sorretti da scrosce assicurate a terra con sacchi di sabbia. Su queste strutture temporanee, le fotografie sono esposte in cornice, ad eccezione di tre ingrandimenti applicati a parete dove sono raffigurati dei modellini preparatori in miniatura con un cambio di scala che crea uno spaesamento visivo. Il visitatore è portato a pensare che si tratti di ambienti reali e solo avvicinandosi realizza che sono riproduzioni architettoniche in carta e cartone.
Per enfatizzare questa ambiguità percettiva abbiamo scelto di includere in mostra una sola fotografia che ritrae uno luogo fisico del TST, ossia il laboratorio che si trova accanto al foyer e in cui campeggia un telamone, parte delle scenografie dello spettacolo L’uomo difficile di Hugo von Hofmannsthal, per la regia di Luca Ronconi (1989/90).

GM: Che tipo di reazioni avete ricevuto dal pubblico dall’apertura della mostra? Ci sono stati commenti, osservazioni o dialoghi che vi hanno colpito particolarmente?

RB e ARTECO: Nel corso delle visite guidate è stato a noi chiaro quanto il pubblico sia incuriosito e affascinato da questi materiali e da tutto quello che nell’esperienza a teatro resta fuori scena. memorabilia, così come la mostra Custodire la scena presso il Teatro Carignano, è allestita in un foyer e la maggior parte del pubblico visita le mostre prima di entrare in platea a vedere gli spettacoli e nelle pause. Questo è uno degli elementi cardine delle visite perché la ricezione avviene in rapporto all’esperienza che ne segue, quella di assistere ad uno spettacolo dal vivo.
Tra i dialoghi più interessanti nati attorno a memorabilia ci sono quelli con chi frequenta assiduamente le sedi e gli spettacoli del TST, pubblico generico ma anche operatori e maestranze che lavorano nei laboratori delle Fonderie Limone. Durante l’allestimento e nel corso delle visite, c’è chi si è soffermato a osservare le stampe, riconoscendo costumi, oggetti di scena e gli spettacoli nel corso dei quali sono stati utilizzati. Le fotografie di Banfi suggeriscono immaginari possibili e ravvivano memorie personali dove oggetti e soggetti secondari all’interno di una vastissima produzione, diventano il punto di partenza per condividere racconti e aneddoti che riguardano storie, testi, regie e persone che hanno reso viva la storia del TST.

Cover: memorabilia, 2024. Courtesy Riccardo Banfi, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale e Arteco.

memorabilia, Fonderie Limone 2024. Un progetto del Teatro Stabile di Torino a cura di Arteco. Ph. Riccardo Banfi
memorabilia, Fonderie Limone 2024. Un progetto del Teatro Stabile di Torino a cura di Arteco. Ph. Riccardo Banfi
memorabilia, Fonderie Limone 2024. Un progetto del Teatro Stabile di Torino a cura di Arteco. Ph. Riccardo Banfi