In esposizione troviamo pochi ma essenziali oggetti, tracce e una scacchiera in bianco e nero di ceramica smaltata posizionata in alto, ai lati dello spazio lungo gli ultimi scalini. In mostra gli elementi essenziali sono la scultura, il disegno e la luce, selezioni materiche appartenenti a un sogno lucido, a un ricordo psichedelico che rimanda alla visionaria e terrificate ballata degli elefanti rosa, pensata dalla mente surreale di Walt Disney. Così in occasione della personale intitolata Fataità, termine veneziano che riguarda una serie di eventi inspiegabili, Melania Fusco (Napoli, 1987) mette in scena un’ambientazione onirica, un metaluogo non definito.
Viviamo in un tempo sospeso ammantato da una graduazione cromatica in rosa, visione immersiva e contemplativa per celebrare laicamente lo spirito e un’iconografica siluette contemporanea di valore simbolico (acrilico su muro), che riprende un immaginario suggestivo ed evocativo come quello del femminino sacro.
Forme, sagome e colori conducono a un corto circuito antropologico, mitologico e fallocentrico che ruota ironicamente sui concetti di ambiguità, memoria, cultura popolare e poetica dell’errore, nella quale, parafrasando Emanuele Severino, la negazione della verità si intreccia con la totalità finita delle cose. Il progetto site- specific diviene un percorso che guarda non solo a una tradizione letteraria e occidentale ispirata dai versi di Pietro Buratti, ma osserva intuitivamente anche quel mondo della cultura induista e della pratica del tantra durante la quale il devoto può invocare Ganesha, divinità suprema raffigurata con il corpo da umano e la testa di elefante.
Fataità è un’operazione che unisce terra e cielo, il mondo visibile e quello invisibile, la materia e la luce in un discorso che accomuna, che ci accomuna in un’ottica di comprensione e senso di comunità, entriamo dunque in mondo senza avere la pretesa dalle verità assoluta, ma di scoprire e conoscere senza dubbio una nuova identità.
Lecce, fino al 30 giugno ‘21
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