Sulle pareti della grande sala espositiva al primo piano di Palazzo Santa Margherita a Modena, immersa nella penombra, si staglia un universo di incisioni rupestri baluginanti nella luce di videoproiezioni, equivalente tecnologico delle torce delle caverne della preistoria. La mostra Mécaniques Discursives. Don’t Follow the Guide!, curata da Francesca Fontana, rientra nella programmazione primaverile di FMAV Fondazione Modena Arti Visive e rimarrà aperta fino al 20 agosto. Il progetto artistico Mécaniques Discursives, concepito dall’incisore belga Fred Penelle (1976-2020) e dal videografo franco-svizzero Yannick Jacquet (1980), è stato presentato in più iterazioni e varianti in diverse sedi espositive in tutto il mondo a partire dal 2011. Il lavoro, proposto in questa occasione per la prima volta al pubblico italiano, prende la forma di un’installazione immersiva di immagini, luci e suoni non vincolata da narrazioni precise e anzi aperta ad ogni possibilità interpretativa; un ponte sospeso tra l’era della stampa analogica e le nuove tecnologie o, in altri termini, tra Gutenberg e i big data.
La pratica incisoria di Fred Penelle, scomparso prematuramente, si è orientata al recupero dell’antica tecnica della xilografia, allo scopo di attingere con occhi nuovi ad un patrimonio iconografico senza tempo ormai radicato nell’immaginario contemporaneo. Tali immagini affioranti dalla memoria collettiva, rielaborate dal suo genio creativo, subiscono un processo di ibridazione che genera nuove creature del sogno e delle fiabe. Su queste incisioni si stratifica un pattern di videoproiezioni localizzate, che Jacquet ha concepito rifacendosi ad una gamma di segni entrata a far parte del linguaggio visivo condiviso: frecce, infografiche, numeri e percentuali, che in questa sede perdono ogni funzionalità descrittiva e sprigionano piuttosto il loro potenziale fantastico, andando ad animare le figure di Penelle. In sede di conferenza stampa Jacquet ha commentato: “Si tratta di una gamma di segni che abbiamo imparato ad usare in modo quasi automatico, senza interrogarci molto sul loro valore di verità. Ho letto da qualche parte che accostare i numeri a delle informazioni potenzia nelle persone il senso di credibilità e di veridicità di quanto si sta leggendo, come se l’informazione diventasse più autorevole perché accostata ad una cifra. Durante la seconda ondata della pandemia Covid-19 in musei e supermercati sono apparsi strani percorsi contrassegnati da frecce che invitavano a seguire tortuosi camminamenti, quasi come se anche il virus seguisse le indicazioni. Ora che siamo tornati alla normalità non abbiamo più bisogno di rifarci a questo apparato di segni”.
Grafici e numeri scorrono e variano intorno alle figure, inducendo la nascita di storie fantastiche che possono prendere ogni direzione possibile da una figura all’altra, in un procedimento che ricorda gli automatismi psichici surrealisti. Si spiega così anche il riferimento, negli apparati comunicativi della mostra, alle macchine inutili di Bruno Munari e Jean Tinguely, sistemi meccanici chiusi puramente disfunzionali in cui movimento, luci ed ombre si contrappuntano in un perfetto equilibrio. Come affermato dalla curatrice, “il risultato è un universo con iconografie immaginifiche, collisioni e contrazioni temporali, un labirinto narrativo in cui la regola è quella di non seguire la guida, perché lo smarrimento fa parte dell’esperienza”. E così, senza soluzione di continuità, sulle pareti della sala si susseguono piccoli ritratti di personaggi appollaiati su rami e cubi digitali, un albero con alcune teste appese, una battaglia tra soldati in armatura medievale, carri armati e droni quadrupedi. Tutto intorno si accendono frecce e numeri che sembrano suggerire correlazioni di causalità tra le sagome, prestandosi al racconto di gesta di creature enigmatiche, uccelli e asini dalle fattezze antropomorfe.
Nell’ultima parte della mostra è allestito un prototipo per la scenografia di uno spettacolo mai realizzato, che è divenuto installazione autonoma: quattro figure al centro – una nuda e scheletrica, una vestita di nero, una in abiti rinascimentali e una in un completo futuristico – hanno al posto delle teste quattro geometrie luminose e cangianti ideate da Jacquet; intorno a loro si distende una foresta popolata da altre figure più piccole, che osservano e interrogano lo spettatore. Il 19 maggio inaugurerà presso il vicino Museo della Figurina una seconda tappa del progetto, dal titolo Finger plays: dal teatro delle ombre ai social network (fino al 20 agosto). In questa sede Yannick Jacquet interagirà con alcune serie di figurine cromolitografiche conservate nelle collezioni del museo, che raffigurano giochi di ombre con le mani. Questi materiali storici lo hanno indotto a tracciare un parallelismo con i video di coreografie di dita che caratterizzano il trend virale della “finger dance”, diffuso sui social network. Le psico-geografie non orientate di Fred Penelle e Yannick Jacquet sviluppano “macchine discorsive” lungo traiettorie imprevedibili, ambientando miti e pratiche senza tempo in scenari ipertecnologici in cui proliferano segni ribellatisi alla tirannia dell’informazione.