Octagon è un progetto-ambiente tanto semplice quanto peculiare, che si mostra nella sua veste discreta. Mette in scena l’essenziale, non vuole apparire, si mostra per quello che è: un appartamento privato d’inizio Novecento, nato dagli artisti per gli artisti.
Allo stesso modo, seguendo un’impeccabile, non pretenzioso fil rouge d’intenti, lo spazio dedicato all’esposizione è semplice: raccolte in un unico ambiente, le opere di Matt Paweski (1980, USA) abitano il salone di forma ottagonale – particolarità planimetrica cui questa nuova realtà, nata poco più di un anno fa, deve il nome.
Quasi fossero elementi d’arredo a metà strada tra design, oggettistica e modellistica industriale (ammesso che sia possibile una divisione, un discernimento tra più parti), tre sculture e un disegno si dispongono ad altezze diverse, sui piani d’appoggio del tavolino in marmo, della boiserie in legno e nella nicchia sopra il camino. Ad eccezione del disegno – che mostra una fase del processo di studio in sezione delle sculture (in un’ideale restituzione delle fasi che caratterizzano il processo creativo dell’artista) – ogni lavoro è autonomo, distinto per tipologia, forma e colore, ma è lo sguardo d’insieme ad essere importante.
Gli elementi che compongono la mostra, cui si aggiunge anche un testo scritto dall’artista – una descrizione minuziosissima della linea M3 della metropolitana di Milano, restituiscono una personale percezione della realtà. Riuscire ad entrare nella sua visione significa osservare il mondo e gli oggetti che lo compongono attraverso un’invisibile lente d’ingrandimento che permette l’osservazione di particolari macroscopici, significa avvicinare qualsiasi cosa ai nostri occhi cogliendone i dettagli al pari di uno schermo retina.2
Matt Paweski. Tre sculture e un disegno presenta oggetti dall’estetica d’influenza modernista, fatti di pannelli d’alluminio e pittura vinilica e tenuti insieme da ingranaggi, giunture, griglie, che derivano da un’osservazione totalizzante e al tempo stesso simmetrica, ortogonale, geometrica, dettagliata e precisissima. Esse traslitterano una lettura oftalmica dei contesti del reale, rielaborata attraverso lo sguardo dell’artista sul mondo: sono inanimate, eppure abitano lo spazio; silenziose, si ritagliano la propria porzione di mondo. È come quando si vive la realtà camminando per strada o attraversando gli spazi, e non la si osserva, eppure lei vive.
Questi lavori sembrano richiamare sezioni di
semafori, cestini, scale mobili, macchinari o mezzi pubblici. Così come nel
quotidiano non cogliamo i singoli elementi, ma soltanto le loro concatenazioni
sistemiche, così le opere di Paweski, se osservate con sguardo attento, e
parafrasando Benjamin, penetrano profondamente “il
tessuto dei dati”, componendosi “secondo una legge nuova”.
Sono addizioni di parti: forma e meccanismo. Senza chiedere nulla, levandosi
indisturbate, appaiono fredde e razionali, eppure sono parte di un tutto,
restituiscono il tutto, lo mostrano ai nostri occhi, rivelandolo nella forma
più pura e distillata.
Matt Paweski. Tre sculture e un disegno
Fino al 17 maggio 2019
Octagon, Milano